Come sanno bene i miei (pochi) affezionati lettori, visto che l’ho detto e ripetuto un’infinità di volte, uno degli scopi principali di questa rubrica è quello di fare conoscere non solo i libri di autori che meriterebbero una platea molto più ampia di quella che invece viene loro riservata dal grande circo mediatico, ma prima ancora le case editrici indipendenti che, pur schiacciate dalla potenza di fuoco della grande editoria, continuano a lavorare per sostenere la letteratura, quella vera, in un Paese che certamente non la annovera tra le sue priorità.
Alcune di queste case editrici possiedono anche un ulteriore valore aggiunto che giudico molto positivo, quello di portare in Italia opere provenienti da particolari aree geografiche del mondo, spesso molto lontane dalla nostra, contribuendo così alla conoscenza di culture che non rientrano nei consueti confini linguistici anglofoni o, al massimo, francofoni cui siamo da sempre abituati (e che comunque, sia chiaro, anch’io non disdegno affatto). Fra di esse mi viene subito in mente SUR, specializzata nella fantasmagorica letteratura latinoamericana, oppure Iperborea che si occupa quasi esclusivamente della variegata produzione letteraria dei paesi scandinavi.
Ecco, a questa tipologia virtuosa si è recentemente aggiunto, con una scommessa coraggiosa e degna di nota, anche un nuovo editore, Metropoli d’Asia, che fin dal nome prescelto non ha mai fatto mistero del proprio obbiettivo che è “…scoprire, tradurre e proporre a un vasto pubblico narratori contemporanei asiatici che propongono temi e scritture innovativi.” Alla sua nascita (2009) il progetto si era avvalso di una partnership con Giunti che ne curava promozione e distribuzione, ma dal 2011 in poi la collaborazione si è sciolta e Metropoli d’Asia ha ritrovato la sua indipendenza, continuando però in quella missione dichiarata che ha già consentito a molti curiosi lettori italiani di conoscere alcune tra le voci più significative di India, Cina, Corea, Malesia ecc.
Tra i molti titoli interessanti presenti nel catalogo di Metropoli d’Asia ho scelto un libro cinico, tagliente e in qualche misura anche provocatorio che ha il merito, secondo il mio modesto parere, di mostrare in filigrana le tante contraddizioni della Cina contemporanea, dilaniata dal contrasto tra l’antica tradizione e l’incipiente modernità, tra la miseria delle masse e la ricchezza smodata dei potenti, tra comunismo di facciata e capitalismo invadente.
Si tratta di “E adesso?” di A Yi (pseudonimo di Ai Guozhu) quarantenne autore di punta del giovane e innovativo panorama letterario cinese, giunto alla scrittura dopo avere lavorato come poliziotto e giornalista sportivo e capace di padroneggiare uno stile asciutto, tagliente e descrittivo e di fare emergere dai suoi personaggi crudeli e indifferenti l’essenza di una nazione che sta attraversando un cambiamento epocale, correndo però il rischio di vedersi disumanizzata e sacrificata sull’altare del successo e del profitto.
La storia narrata è semplice e terribile. “Un giorno qualunque in una provincia della Cina. Mentre conduce la sua vita normale, un adolescente sta progettando il brutale assassinio della sua unica amica. La attira in una trappola, la uccide, infila il cadavere in una lavatrice e fugge dalla città, dando il via a una caccia all’uomo piena di imprevisti…È un’analisi scioccante della disperazione che intrappola gli abitanti poveri delle campagne e allo stesso tempo un’incursione condotta con grande abilità tecnica nel campo dell’horror e della suspense.”
Al di là della trama però, quello che più colpisce dell’opera di AYi è l’acume psicologico, l’abilità di restituire in maniera credibile i pensieri deviati dello psicopatico protagonista, la rabbia fredda e calcolatrice che lo pervade e la totale assenza di empatia nei confronti sia del mondo che lo circonda, sia soprattutto degli individui con i quali gli capita di interagire. E’ un personaggio che richiama subito alla mente il Raskolnikov di Dostoeskij e infatti, come in “Delitto e castigo”, egli assurge a simbolo di un disfacimento e di una decadenza che non riguardano esclusivamente la sua persona, ma che si respirano nel paesaggio deteriorato che lo circonda, nella famiglia disciolta che lo ha abbandonato e in una società spenta e disorientata in cui egli finisce per interpretare, suo malgrado, il doppio ruolo di vittima e di carnefice. Insomma, si potrebbe tranquillamente sostenere senza tema di smentita che la vera protagonista del racconto sia l’alienazione crescente di un’intera generazione di giovani cinesi precipitati nel tunnel di una solitudine esistenziale così devastante che a volte può addirittura sfociare nella follia.
Ovviamente e per fortuna nella realtà quotidiana non tutti diventano dei feroci assassini, ma la forza dell’apologo di A Yi sta proprio nel condurre il lettore oltre l’ultimo confine, quello della perdita definitiva dell’umanità. Nessuna speranza di redenzione, nessuna volontà di riscatto illumina la vicenda narrata né su un piano immanente né tanto meno su quello trascendente che anzi non viene neppure lontanamente evocato, perché non esiste alcuna salvezza sotto il cielo plumbeo della Cina.