Il libro di cui parlo oggi è rimasto a lungo sul mio tavolo prima che mi decidessi ad aprirlo e, dopo averlo letto e catalogato e fornito di regolare fascetta sulla costa, è rimasto ancora molti giorni davanti a me senza che riuscissi a collocarlo sullo scaffale della biblioteca, finalmente disponibile al prestito. Eppure stiamo parlando di uno degli esordi più recensiti degli ultimi dieci anni, candidato al Premio Strega, discusso, analizzato, sottoposto ad un’autentica autopsia letteraria da parte di giornali e riviste specializzate.
Ripensandoci adesso, mentre scrivo (buon ultimo) la mia modesta recensione, non posso fare altro che attribuire il mio atteggiamento a quella che chiamerei l’intima costruzione bipolare del testo, che da una parte disgusta ed impaurisce il lettore, dall’altra lo attrae irreversibilmente verso il precipizio, istillandogli dentro un senso di vertigine.
La trama (potete leggerla in fondo all’articolo) che pure si muove entro ambiti viscidi e sdrucciolevoli, normalmente considerati indecenti o addirittura estremi, come quelli del porno artistico e che sfocia in scene allucinate e violente, non c’entra nulla.
C’entra invece la qualità ipnotica della scrittura e l’ambientazione decadente e spettrale in una città immaginaria che fin dal nome, Fortezza, evoca una dimensione claustrofobica. E poi la presenza ingombrante ed ambigua del serpente che, come si sa, rappresenta da millenni la forma archetipica del peccato. Oppure, dal punto di vista eminentemente culturale, c’entra l’influenza sotterranea di autori come Kafka o Poe o Ballard. Ed infine il mescolarsi continuo della dimensione materiale con quella onirica che percorre in maniera ossessiva l’intero racconto. A tutto questo si aggiunge il mistero di una voce narrante collettiva, un “noi” che non si sa a chi corrisponda e che richiama alla mente una sorta di mostruoso blob, un magma indistinto animato da uno spirito oscuro.
Questi contenuti insieme potenti e spietati li troviamo disseminati tra le pagine del libro allo scopo di graffiare lo stomaco, lasciando tracce profonde del loro passaggio, come se lo stile asciutto e tagliente di cui sono composti, frutto di un talento autentico e sorprendente, li incidesse direttamente sulla carne viva.
Concludo dandovi conto della trama (sinossi ripresa dal sito della casa editrice) e augurandovi, come sempre, una buona lettura.
“Il collezionista di serpenti Rivera, grazie a un video amatoriale, entra in contatto con l’insolita e seducente scena della pornografia d’arte. Questa esplorazione si trasforma ben presto nella discesa in un abisso popolato da figure oscure, tra le quali spicca un argentino a dir poco enigmatico: Alexandre Tapia.
Proprio attraverso la frequentazione di Tapia, Rivera scoprirà un universo di abiezioni private e catastrofi collettive, vittime invisibili e carnefici rimasti impuniti.”
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