Dopo la lunga pausa festiva torna l’Angolo del Bibliotecario e per recuperare il tempo perduto si presenta con una speciale puntata doppia. Ebbene sì, oggi vi propongo due libri al prezzo di uno (cioè gratis, come sempre) diversissimi tra di loro sotto tutti i punti di vista, tranne per la particolarità, a me gradita e spero anche a voi, di essere stati scritti da due nostri conterranei. E poiché si tratta di un maschietto e di una femminuccia posso affermare di avere salvaguardato anche la rappresentanza di genere.
Allora, per cavalleria credo che sia giusto cominciare da Serena Milaneschi, foianese d’origine e fiorentina di adozione, col suo libro intitolato “Bastava una carezza” edito da SEF. Poiché si tratta di una breve antologia di racconti (11 per la precisione), è necessario fare una premessa. In Italia, come credo sia noto, si legge poco e di conseguenza si vendono pochi libri, ora bisogna sapere che tra i generi letterari nostrani (tra cui troneggiano i testi per l’infanzia e i libri di cucina) il meno considerato in assoluto e il più negletto è di certo il racconto breve. Non è così ovunque, anzi tutt’altro.
Nel panorama anglosassone ad esempio il racconto gode di grande considerazione, come prova il fatto che uno degli ultimi Premi Nobel per la Letteratura (2013) sia stato assegnato alla scrittrice canadese Alice Munro che durante tutta la sua carriera ha scritto solo ed esclusivamente racconti. Da noi, ripeto, purtroppo non è così e già questo fatto è sufficiente, a mio giudizio, per rendere simpatica la nostra giovane autrice. Ma i meriti della Milaneschi non finiscono affatto qui, i suoi racconti presentano trame costruite con eleganza e personaggi (specie femminili) ritratti con affettuosa e partecipata tenerezza, perfino quelli più sgradevoli e negativi. Soprattutto, Milaneschi sa scrivere e lo fa utilizzando uno stile asciutto e preciso che garantisce sia emozione che leggibilità. Un solo appunto mi sento di farle ed è che, a volte, tende a portare il lettore fino al climax del racconto per poi lasciarlo lì d’un tratto, attonito e confuso, senza una esplicita conclusione, a chiedersi quale fine faranno le vicende narrate. È possibile che sia una precisa scelta concettuale che allude all’indeterminatezza della condizione e dell’esistenza umana, se fosse così chiedo venia. Comunque sia l’opera resta altamente consigliata.
Il secondo libro di oggi (solo in ordine di esposizione, s’intende) è un testo davvero particolare, che ha al centro non un personaggio e neppure un avvenimento specifico, ma nientedimeno che una squadra di calcio, sicuramente la più nota in ambito italiano (lo dico indispettito) e cioè la Juventus. Devo necessariamente avvertire il lettore, qualora non fosse ancora abbastanza chiaro, che il sottoscritto non ha alcuna simpatia calcistica per la squadra torinese e che il mio cuore batte da sempre per altri colori (che non svelerò
mai, neppure sotto tortura).
E allora, mi chiederete, perché hai deciso di parlare proprio di questo libro? Per due motivi che sono pronto ad esplicitarvi. il primo è personale e riguarda l’autore, Marco Caneschi, un amico cui mi sento legato da antica e solida simpatia. L’altro è più serio ed è che “La Juventus spiegata a mia figlia” edito dalla piccola ma prestigiosa casa editrice Castelvecchi non è solo un libro che parla del più bel gioco del mondo, di una squadra, dei suoi protagonisti, delle sue molte vittorie e anche (vivaddio!) delle sue sconfitte. No, il libro in ealtà parla di noi italiani, della nostra storia, dei nostri pregi e difetti e infine, non vi sembri strano, parla di due cose intangibili ma fondamentali: l’amore tra un padre e sua figlia e, addirittura, la felicità. E quello che più stupisce è che Caneschi sa raccontare tutto questo con uno stile brillante, divertente e colmo di una semplicità e di una leggerezza che (come sa chiunque si sia provato a scrivere anche solo la lista della spesa) è così difficile da raggiungere per un autore che il più delle volte non basta una vita intera di tentativi.
Insomma consigliato a tutti, ai tifosi juventini in primo luogo, ma anche e soprattutto a coloro che sanno leggere nello sport la meravigliosa metafora della vita stessa.