Annie Ernaux è senza dubbio una delle voci più autorevoli del panorama culturale francese. Le sue opere, lette ed amate in tutto il mondo, sono state incredibilmente ignorate in Italia e sarebbero probabilmente rimaste sconosciute se non fosse stato per l’opera meritoria della piccola Casa Editrice L’Orma che prima ha egregiamente tradotto il romanzo col quale il suo talento si è consacrato (Il posto, 2014) e che le è valso la vittoria del prestigioso Premio Renaudot e poi, recentemente, quello che è universalmente considerato il suo libro più complesso e ambizioso (Gli anni, 2015), salutato oltralpe come un capolavoro assoluto da critica e pubblico (Premio Marguerite Duras e Premio François-Mauriac).
Non volendo e non sapendo scegliere ve li propongo entrambi, anche perché si tratta, a mio parere, di due libri strettamente connessi l’uno con l’altro e che trattano gli stessi temi fondamentali: il tempo che scorre, il passaggio dall’infanzia all’adolescenza e all’età adulta, l’esistenza individuale che diviene paradigma universale di umanità, e tutto questo lo fanno con uno stile elegante ed essenziale, facendo trasparire emozioni forti, ma evitando ogni stucchevole sentimentalismo.
Nel primo la Ernaux descrive con dolorosa tenerezza la parabola esistenziale del padre da poco scomparso, uomo semplice (prima contadino, poi operaio, infine gestore di un bar-drogheria in una città della provincia normanna) che però lascia nella figlia un segno indelebile.
Nel secondo la scrittrice narra un’intera epoca attraverso la sua esperienza di bambina, ragazza e poi donna nella Francia contemporanea: la Liberazione, l’Algeria, la maternità, de Gaulle, il ’68, l’emancipazione femminile, Mitterrand; e ancora l’avanzata della merce, le tentazioni del conformismo, l’avvento di internet, l’undici settembre, la riscoperta del desiderio.
Buona lettura.
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