Economia Circolare, Innovazione e futuro del lavoro nella globalizzazione
Perugia 13 ottobre 2017 – Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia
Intervento introduttivo di Lorena Pesaresi
1.Vorrei riprendere un concetto che condivido molto e più volte evocato durante la Manifestazione in piazza di sabato scorso a Perugia con i lavoratori della perugina: La ricchezza non si produce con la finanza ma creando e conservando lavoro, occupazione, stabilità.
Ecco a proposito di economia circolare, voglio subito mettere in chiaro come la chiusura del “cerchio” – appunto – in un contesto di Economia-innovazione-lavoro, debba essere realizzato combinando tutti gli anelli del sistema, da quelli del processo produttivo, a quelli del ciclo di vita delle persone, compresa l’età pensionabile, a quelli della qualità ambientale, sociale, economica. Ciò che in sintesi costituisce la sostenibilità di un Paese come insieme delle risorse disponibili che non sono infinite.
2. Da un lato, l’energia che usiamo e i prodotti che consumiamo (dai quali generiamo rifiuti), derivano in larga parte dal consumo di risorse naturali il cui tempo di rigenerazione è estremamente più lungo del tempo di vita dei prodotti che tali risorse (naturali) andranno a formare.. Per ciò i processi produttivi e i consumi stessi sono definiti “lineari” e “dissipativi”, fondati sui principi del “prendi-usa-getta”. Un modello vecchio, pericolosissimo e che ha un impatto non più sostenibile sull’ambiente in cui viviamo e sulle città che cambiano.
D’altro canto, l’innovazione tecnologica non può portare riduzione di lavoro e di occupabilità come sta succedendo, ma ci deve portare a reinventare il mercato del lavoro (vedi articolo di Corrado Clini Reinventing the jobs market); così come creare nuovi lavori non può significare GIG ECONOMY (economia dei lavoretti o economia del precariato), fatta per lo più di multinazionali (airbnb, uber, foodora…) in settori che vanno assolutamente regolati perché oggi purtroppo e troppo spesso producono di fatto mercificazione della persona, della forza lavoro, offendono i diritti fondamentali e la dignità dei lavoratori.
3. Ecco io vorrei dire questo: la trasformazione del modello di sviluppo ci sta portando ad una passaggio cruciale: da un sistema di economia lineare ad un’economia circolare, su cui dobbiamo puntare per raggiungere gli obiettivi e per tre motivi:
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perché viviamo un contesto internazionale di profondi cambiamenti ambientali e climatici in cui le risorse ambientali e naturali non sono infinite;
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perché l’Economia circolare quale – appunto – sistema economico pensato per potersi rigenerare da solo senza consumare, senza inquinare l’ambiente, il suolo, le risorse naturali, il clima, l’acqua, l’aria che respiriamo, è l’unica via per garantire futuro migliore;
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perché gli impegni assunti negli anni – direi negli ultimi decenni – dall’Italia, dall’Europa e a livello internazionale, devono diventare impegni cogenti, non più derogabili, e non solo di intenti.
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4. Tutto questo deve farci riflettere perché le situazioni cambiano, perché gli scenari cambiano e velocemente, affinchè la politica non sia impoverita e inaffidabile come lo è ora e come non lo è mai stata nella storia dell’Italia, perché i giovani possano crescere nella speranza di poter realizzarsi e realizzare i propri sogni di vita, perché c’è un estremo bisogno di formare decisioni e decisori pubblici capaci di agire scelte di governance, di gestione del bene comune nell’interesse di tutti e non di pochi.
Vi è necessità di creare una cultura che sia “patrimonio” collettivo e non solo di addetti ai lavori, affinché sia garantito futuro, sostenibilità, benessere e progresso per tutti. Ciò che nella mia cultura politica e in quella di tanti oggi significa essere riformisti progressisti ma ancora con scarsi risultati.
5. E’ indubbio che la sfida per costruire città smart è la green economy uno degli assi portanti della politica industriale italiana e europea e l’economia circolare rappresenta l’approccio più efficace in termini di un nuovo modello di sviluppo. Si possono fare tante cose a vantaggio dell’economia e dell’ambiente perché “riuso” significa meno suolo consumato, meno materie prime utilizzate, meno CO2 emessa in atmosfera. Si possono per creare nuovi settori di produzione, nuovi spazi per la ricerca scientifica. Riuso deve poter significare ad esempio recupero degli inerti da crolli a causa del terremoto….
6. Siamo in Umbria dove la strada è ancora molto in salita e dove per ripensare questo modello dobbiamo prima di tutto fare i conti con la crisi economica interna che da anni colpisce la nostra economia regionale, le cui criticità ahimè sono anche il frutto di ritardi della politica. Penso a Terni (area di crisi complessa), penso a Perugia (area di crisi industriale: vedi la Perugia, Colussi) penso alla Merloni in crisi costante penso a come nascono e muoiono tante aziende nel giro di poco tempo… penso a tanti giovani che se vanno….
7. Manca ancora una politica industriale, compresa quella innovativa dei trasporti di persone e merci in questa regione (la causa delle cause del nostro isolamento). Un politica industriale capace di riconvertire le attività in sofferenza, di rendere competitive nel mercato globale le nostre aziende, di realizzare ad esempio la filiera circolare – appunto- del ciclo dei rifiuti: manca la politica per il mercato del recupero e del riuso in Umbria, a differenza delle regioni del nord che dei rifiuti hanno fatto davvero la loro ricchezza, nuovi prodotto, nuovo mercato, nuove fonti di lavoro, mentre noi esportiamo ancora la nostra raccolta differenziata nelle Marche, in Emilia Romagna con aggravi di costi trasportistici e inquinamento, e il superamento delle discariche è di la da venire. Qui si confonde ancora tra l’opinione pubblica, compresi i mass media, un impianto di compostaggio con una discarica…potrei continuare….
8. Quale risposte alla crisi ?
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la crisi che stiamo vivendo va affrontata come un’opportunità di cambiamento epocale – e non un problema – per ripensare la società, le città che cambiano e l’economia circolare, la green economy sono una risposta decisiva. Per fare questo serve la politica, servono politici sensibili e competenti, serve imprenditorialità, servono ricercatori che vanno valorizzati, riconosciuti, stabilizzati e non precarizzati a vita. Siamo consapevoli o no che la ricerca è la linfa del cambiamento, del futuro? E che i giovani devono poter lavorare con dignità?;
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Serve una riforma in senso ecologico del sistema fiscale (fiscalità ecologica) che, a parità di gettito, alleggerisca la pressione sul lavoro e sull’impresa spostando il carico fiscale dai redditi da lavoro e da impresa ai consumi di risorse naturali, di energia e di materie prime, sulle attività a più alto impatto ambientale con appropriati incentivi/disincentivi secondo il principio “chi più inquina più paga”. Questa è una risposta fondamentale oggi per investire in innovazione, qualità, ricerca e non limitandosi agli sgravi fiscali per le nuove assunzioni nelle aziende che cessano al cessare degli incentivi con il risultato che i giovani se ne vanno via.
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Così come serve una riforma della fiscalità urbanistica capace di rovesciare la logica perversa che induce ancora oggi molti Comuni, anche a causa delle ristrettezze finanziarie, a incrementare il consumo di suolo, premiando al contrario la riqualificazione delle città, la messa a norma, la manutenzione, conservazione e recupero dell’immenso patrimonio edilizio pubblico e privato, storico, ancor prima di pensare a nuove costruzioni il cui invenduto oggi in Italia è enorme e a Perugia e in Umbria è di oltre il 30% (riconversione industria delle costruzioni). Serve in sintesi puntare su una nuova cultura dell’”Abitare” e del “costruire” concependo edifici che “non consumino” ma che producano autonomamente energia pulita e risparmio energetico-idrico;
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E’ chiaro che la rotta governativa non può che essere la decarbonizzazione dell’economia italiana (abbattimento emissioni inquinanti, efficientamento energetico, riduzione della dipendenza energetica da combustibili fossili), a partire dalla mobilità alternativa e sostenibile nelle città che cambiano. L’Italia è molto indietro rispetto ad altri Paesi sulla mobilità elettrica e sostenibile. L’Unione Europea arriva con oltre dieci anni di ritardo quando ormai la strada tracciata è quella dei motori elettrici e ibridi.
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Oggi la mobilità elettrica deve diventare la cifra con cui segnare una grande discontinuità rispetto al passato (I Paesi del nord Europa sono molto più avanti), perché è questo più di altri, come dimostrano gli studi fatti, il settore fermo e quello che dovrà assicurare invece un apporto fondamentale per raggiungere gli obiettivi al 2030 e non al 2050 (SEN strategia energetica nazionale). Un cambio di passo – diciamo noi – non più differibile che insieme a una più decisa spinta alla sostenibilità energetica nell’industria edilizia e nella progettazione del residenziale (tra i comparti più inquinanti insieme alla mobilità), può rappresentare grandi passi in avanti per l’Italia.
Non rispondere a queste impellenti esigenze in tempi rapidi per la salvaguardia del Pianeta, per garantire futuro alle generazioni prossime, significa ignorare i rischi crescenti fino al possibile punto di non ritorno.