E’ terminata una settimana trascorsa a destreggiarsi tra eventi mondani bambineschi, in appositi “divertifici” zeppi di mostruosità colorate, gonfie di aria, circondate dal rumore assordante dei pargoli festaioli e dal ruggito, più che ronzio, del generatore di corrente che pompa l’aria; giganti dalle forme più disparate, come il Titanic, o il Castello delle Fiabe, dall’alto dei quali i fanciulli si lanciano, cozzando tra loro secondo le modalità delle particelle nell’acceleratore del CERN e riportando contusioni e lesioni di varia entità.
Il momento torta è allietato dalla diffusione della canzoncina che intona “Tanti auguri”, con un eloquente silenzio al momento del nome: trattandosi di luoghi con multispazi, mutlifeste, multinomi, ogni gruppetto, nel proprio settore, potrà gridare il nome del festeggiato al momento giusto. Se il Sommo Poeta si fosse trovato in un simile frangente, in quale bolgia ci avrebbe collocati? Saranno stati anche secoli bui, ma perlomeno nel Medio Evo non conoscevano Gommolandia.
Finalmente il settimo giorno, ma non si prevede riposo. Come dimenticare il momento in cui si riceve quella telefonata: “Ciao, come stai? Sono il tuo lontanissimo parente, i nostri figli condividono circa lo 0,2% per cento di geni [caspita, con i lemuri ho più affinità]. Sai, mio figlio prenderà la Santissima Prima Comunione ed abbiamo pensato che in un momento così mistico non poteste mancare, tu e la tua famiglia, per contribuire con un congruo regalo [vedi lista apposita] e strafocarci tutti insieme in ricordo del nostro avo comune. A proposito, salutami tanto tua nonna… ah, come dici, è morta 5 anni fa? Allora condoglianze sentitissime.”. Stesso copione per gli inviti a sfarzosi matrimoni i cui protagonisti già si cornificano da due anni, ma i preparativi sono iniziati tre anni fa e dunque ormai non si può più tornare indietro; ormai la Rolls, il mega villone hollywoodiano e il pranzo che risolverebbe la fame di un intero Stato africano per 6 mesi sono stati concordati. I bachi per la seta del vestito da sposa sono già stati lessati e l’industria floreale ligure fallirebbe se non si dovesse più addobbare il palazzo della nubenda, la chiesa e tutto il vialone di ingresso della suddetta villa.
Tralasciando gli appuntamenti con parrucchiere ed estetista e sperando di essere incorsi in un evento in cui nessuno abbia ancora visto l’abito, riciclato dal battesimo/cresima/nozze d’argento di qualche altro sconosciuto consanguineo, finalmente ci si imbarca. Tutti in tiro, si sale in macchina e si parte. Si prende l’autostrada. Poi si entra in un paese; poi una stradina laterale, qualche via del pozzo, via del fosso, via della marana. Nella capitale non esiste un locale decente per l’occasione, è necessario uscire dal raccordo e rigorosamente in direzione diametralmente opposta a quella in cui abita il protagonista della festa. Ecco dunque che, mentre ci si avventura sullo sterrato alla ricerca della location, si percepisce vieppiù la futilità ed inopportunità dei tacchi e dei volant. Con un po’ di esperienza si impara a portare le scarpe di scorta.
Giunti alfine (abbiamo elegantemente dribblato la cerimonia, che ci avrebbe costretto ad attraversare la città andata e ritorno nel senso opposto al ristorante), eccoci a salutare calorosamente, sforzandoci di ricordare il nome di questo e di quello, o perlomeno evitando di usare il soprannome.
Non parliamo del pranzo, che in alcuni sfortunati casi unisce la pessima qualità del cibo a quella del servizio, con una schiera di Conti Ugolino che, alle 3 del pomeriggio, pur di sanare il calo di zuccheri (tutti a colazione si tengono leggeri in vista del Pranzo), si avventano sulla prima tartina dal contenuto misterioso e su aperitivi dai colori fluo. Passiamo invece a come questo momento venga allietato: il karaoke. Chi ricorda la scena del film “Tre uomini e una gamba” di Aldo Giovanni e Giacomo in cui la Littizzetto-sposina brandiva il microfono cantando una canzone di Fiorella Mannoia? Oggi ho vissuto esattamente quella scena: “E ci fanno compagniaaaa, certe lettere d’amoreeeeee…” a cui ha fatto seguito un’aspra contesa tra le interpreti per il microfono. Coerente accompagnamento per le portate malcotte e salate.
In questa domenica di fine maggio nella quale l’Europa chiamava i cittadini alle urne, ahimè, l’astensionismo è cosa conclamata. E senz’altro la percentuale dei votanti è superata di gran lunga dalla percentuale degli invitati a cerimonie. Anzi, è quasi possibile affermare che la Coscienza Mondana prevalga sul Senso Civico: difatti, nel caso di eventi che implicano agli invitati un viaggio, se ci sono le votazioni, l’invitato non vota e basta. L’alibi è lapidario: avevo un matrimonio. Non ho contezza invece della scusa inversa: “Scusa, non potrò esserci, perché ho un’imperdibile occasione per esprimere il mio parere su questioni che riguardano tutti noi e i nostri figli”. Ma di che ci lamentiamo, poi!