Ebbene, sembra proprio ufficiale: la Storia dell’Arte sarà bandita dalle scuole italiane perché troppo “onerosa”. Peccato. I nostri figli, salvo progetti complementari alle attività curricolari e salvo, ovvio, gli strenui tentativi dei genitori di rimediare ad una tale mostruosa lacuna, vivranno nella beata ignoranza circa le cose belle per eccellenza. La perdita non è legata in modo stretto all’Arte in sé, ma è di più ampio respiro.
Come potranno comprendere l’Ariosto quando descrive “Michel, più che mortal, Angel divino”? E l’ermellino/furetto della dama leonardiana sarà solo il collo di pelliccia di qualche spocchiosa signora? I virtuosi capaci di disegnare un cerchio perfetto non saranno che emuli inconsapevoli di Giotto. Senza contare i particolari piccanti legati al gossip dell’Arte: le vicende di Costanza Bonarelli, donnina decisamente allegra, moglie di un artigiano della bottega dei Bernini, amante dei fratelli Gian Lorenzo e Luigi (entrambi bellocci, non c’è che dire) e sfregiata per vendetta, ma non prima di essere immortalata in un busto mozzafiato. O, ancora più succulento, il peccaminoso legame tra una suora ed il padre confessore, nonché pittore, Fra’ Lippo Lippi, che generò un altro artista, Filippino Lippi, non meno talentuoso dell’omonimo genitore: altro che Dan Brown e i suoi “Angeli e Demoni”!
Ma già un’altra Arte è stata penalizzata nelle nostre scuole: mi riferisco alla Musica, il cui relitto di studio compare solo alle scuole medie, con una discrezionalità totale degli insegnanti : si spazia dalla nozionistica particolareggiata e fine a se stessa di ogni singolo strumento (fiati, archi, percussioni… legni, ottoni, corde…) al karaoke corale di classe dei grandi successi di Michael Bublè (il Gigi D’Alessio d’Oltremanica), con annessi scricchiolii sinistri delle gracili porte delle aule. Con il risultato che nella patria di Giuseppe Verdi si confonda la musica lirica con Andrea Bocelli, si creda che il quartetto del Rigoletto sia una versione più audace dei “Tre tenori” e che in un quotidiano appaia l’affermazione che l’aria “Va pensiero” sia contenuta nell’Aida! Se parliamo di Puccini, non si sa bene cosa abbia scritto, se non le parole (!) di “Vincerò” di Pavarotti, Mascagni è un ristorante a Villa Borghese (e la “Cavalleria rusticana” è ambientata nel Far West), mentre Leoncavallo è un covo di zecche comuniste a Milano, vagamente riconducibile ad una spassosa opera sui clown. Beethoven ha scritto solo le prime quattro note della 5° sinfonia e Bach sono i fiori da abbinare alle cure omeopatiche.
Dovrei essere contenta, le Scienze ancora resistono: arrivati alle superiori, con otto anni di questa materia alle spalle, i miei pupilli dovrebbero possedere rudimenti di botanica e zoologia sufficienti a distinguere un verme da un serpente e un fungo da una quercia. E invece ogni volta le stesse espressioni scandalizzate alla “scoperta” che noi siamo scimmie e commenti ancora più scioccati quando apprendono che il pomodoro è un frutto (è un ortaggio, lo dice anche la Clerici). L’alunno scaltro, quello che non si fa turlupinare dal primo laureato che arriva, non per nulla lui è un ripetente, ha una certa esperienza delle cose della vita, osserva: “A pressorè, ma che davero la noce è un frutto??? See, vabbè: allora mo’ pianterò un nocio!”. Figurarsi se tagliassero anche le Scienze.