Isla Nublar: a vent’anni di distanza dal primo tentativo di Parco Giurassico (e il Triassico e il Cretaceo?) ne viene ripristinato uno nuovo. Molto più sicuro -dicitur- e tecnologico, vanta anche specie ex novo, prodotto -tanto quanto i dinosauri sensu stricto- di ingegneria genetica. E’ così che nasce l’Indominus rex, perché “i bambini ormai guardano un triceratopo come se fosse un elefante” [e quindi? L’elefante è fichissimo, se non ti sorprendi al suo cospetto, hai seri disturbi mentali, ndr].
Questo Indominus somiglia al dinosaurone dell’Era glaciale 3, Rudy la Bestia, ed è un tale miscuglio di cromosomi, che poco gli manca per i superpoteri: è scaltro come un Velociraptor, possiede cromatofori di seppia per mimetizzarsi, cresce a dismisura e, come il robot cattivo degli “Incredibili”, impara dall’esperienza, diventando sempre più pericoloso.
Ora nel parco lavora -inviato dall’esercito per sperimentazioni a fini bellici- tale Owen, babbeo mascherato da fustaccio, gagliardo addestratore di Raptor, i quali, similmente ai piccoli dinosauri imprintati su Cid, nella già citata Era Glaciale, lo considerano la loro “mamma”. Più o meno. In quanto figo e coatto buono, Owen viene convocato per valutare la sicurezza dell’exhibit dell’Indominus ed è lì che la sua dabbenaggine scatena la sciagura: con un trucchetto che neanche i peggiori Dalton escogiterebbero, la Bestia si fa aprire la porta et voilà. Da qui si avviano le immancabili sequenze di fughe rocambolesche e uomini ed altri animali variamente sgranocchiati.
Il nuovo proprietario dell’isola è un indiano decisamente accattivante ed anticonformista, di cui tuttavia non ci si spiega la presenza, se non per la par condicio razziale. Risoluto ed intraprendente, sebbene non ancora “patentato”, nell’emergenza non esita ad impugnare, gioiosamente, i comandi di un elicottero, in una missione killer nei confronti di “Rudy”; ma si schianta sulla voliera che ospita gli pterodattili. Sono abbastanza convinta che la voliera del De Vico del Bioparco di Roma avrebbe retto l’impatto diversamente: non sempre l’americani so’ mejo. In ogni caso, l’incidente dà luogo ad un’ampia citazione hitchockiana, sottolineata da alcuni cenni musicali di “The birds”.
Gli stereotipi si susseguono senza tregua: dai due ragazzini protagonisti che montano su una proditoria jeep e che, come ogni abitante degli States, hanno imparato a guidare nel vialetto del nonno, all’impostazione didascalica che evidenzia i cattivi, senza possibilità di errori, a vantaggio degli spettatori più “di coccio”. Uno dei cattivi è l’ingegnere giapponese (ma ancora questo retaggio???), cinico e freddo, come si confà agli invasori di Pearl Harbour, in contrapposizione al coatto cattivo, che sproloquia di un ordine gerarchico della Natura. La morale è che, contrariamente a quanto asseriscano questi due malvagi, con la Natura non si scherza (ma va?). Ma intanto la frittata è fatta e l’unica cosa che conta ora è salvare la pelle. Ed ecco allora che la protagonista femminile, nonché dirigente del Parco e zia dei ragazzini, si rimbocca letteralmente le maniche del tailleur di MaxMara, sotto al quale indossa una sportivissima canottiera di Decathlon (perplessità della sottoscritta); il baldo Owen, dal canto suo, è un fine psicologo ed un etologo che darebbe lezioni a Konrad Lorenz, applicando con successo i principi freudiani (e chissà, anche l’astrologia) ai dinosauri. Ma qui mette da parte il suo ragguardevole cervello ed imbraccia un fuciletto della Città del Sole, fino a quando le cose non iniziano a mettersi male sul serio. Ed ecco allora, come un deus ex machina, il T-rex (però è proprio bello, ancora mi emoziono se ripenso al primordiale Jurassic Park), battuto in velocità dall’ex elegantona zia, che gli sfreccia davanti su tacchi a spillo vertiginosi; il “Re delle lucertole tiranne”, come mamma dinosauro nella ormai citatissima “Era Glaciale 3”, unendo le forze a quelle dei Raptor, si oppone strenuamente all’orribile mostro in provetta. Ancora suspence ed esito incerto, quando finalmente il Mosasauro balza fuori dall’acqua esclamando forse tra sé “E basta, qui c’è gente che dorme” e in un sol boccone fa piazza pulita del rettile cattivo.
I rimandi all’originario “Jurassic Park” sono numerosi e sostanzialmente salvano il film: dalla colonna sonora (che pure alla fine inspiegabilmente scivola sulle note di “La favola mia” del nostro Renato), alle vestigia del vecchio quartier generale, già teatro di altre epiche lotte. Fino alla scena finale in cui il T-Rex, dall’alto di un terrazzo, domina l’isola e lancia il suo ruggito a rimarcare chi comanda.
Ma sì, alla fine ai naturalisti e ad altri sognatori piace. Non è come la scena in cui il paleontologo Alan Grant esclamava “It’s a dinosaur!”, che anche la cinquecentesima volta fa spuntare la lacrimuccia, ma insomma ci piace, anche se è coatto. Parecchio coatto.