Eccoci al racconto dell’ultimo giorno di questa quinta edizione del Mix Festival. Evitando purtroppo di parlare dell’evento su Michelangelo Buonarroti con Costantino d’Orazio – eravamo assenti ingiustificati, ahinoi – vi dovevamo aggiornare sull’esito di HackCortona, la gara di programmazione che si è svolta a Sant’Agostino, con informatici e geniacci di tutto il mondo. Noi avevamo pensato ad una macchina che trasformasse le erbacce tolte dalle mura in energia elettrica per alimentare i profili facebook dei lamentoni professionisti. Purtroppo, era troppo tardi per iscriversi.
L’evento letterario del giorno, con un bel pienone, è stata la presentazione di Ciao, il nuovo libro di Walter Veltroni. Vuoi per le origini foianesi, vuoi per la bella esperienza della Scuola di formazione del PD, Veltroni è venuto più volte a Cortona negli ultimi anni. In questo caso ha proposto un racconto autobiografico, sulla propria infanzia e sulla storia di suo padre, il giornalista Vittorio Veltroni, morto di leucemia quando lui era ancora molto piccolo. Appena accennati i riferimenti alla politica, capitolo che lui ritiene ormai concluso. Nel pubblico, anche il famoso cantante.
A seguirlo nel cortile di Sant’Agostino, lo scrittore russo-italiano Nicolai Lilin, che ha presentato il suo sesto romanzo, Spy story love story. Nato in Moldavia nel 1980 da una famiglia di cultura siberiana, Lilin si trasferì in Italia nel 2004. Il suo primo romanzo, Educazione siberiana (2009) fu un grande successo e lo fece emergere come una delle voci più interessanti della sua generazione; sicuramente si tratta del più noto scrittore migrante. Con una dizione quasi perfetta, un tono pacato e uno sguardo magnetico, Lilin ha raccontato l’importanza che ha la vita vissuta nei suoi romanzi: sono una conseguenza delle sue esperienze giovanili, come la partecipazione al conflitto tra Moldavia e Ttransnistria (1992), le conoscenze socio-antropologiche che intessono la sua narrativa, a partire dall’ampia conoscenza della criminalità russa, con i suoi tic e le sue ossessioni (la religione, i tatuaggi). Ma, da buon russo, Lilin non rinuncia a fare propria la grande tradizione del romanzo russo, con la sua visione dell’amore come sentimento manicheo, inarrestabile e tragico allo stesso tempo.
Il concerto di Ian Anderson, evento che chiudeva il Festival, è apparso sin dal momento dell’annuncio come il pezzo forte del Festival. Praticamente l’unico sold out di questa stagione (escludendo l’anteprima al Palazzone), ha vendicato i risultati non convincenti del concerto di apertura di quest’anno (i valzer di sabato 30) e il finale dell’anno scorso con Alex Neri. Questa volta abbiamo chiuso con gli ingorghi di gente, il che è una bella soddisfazione. Un’ora e mezzo di concerto e un pubblico focoso, stregato dalle note del flauto e dagli efficaci commenti che introducevano le canzoni. Ora, noi Irons non ci intendiamo tanto di prog, ma il risultato è parso eccellente: magari poteva durare un po’ di più, ma capiamo che a 69 anni non sono tutti Springsteen.
La prova di Ian Anderson, così come quella di Steve Hackett un paio di anni fa, è la dimostrazione che quando il Mix si calibra su un target specifico – in questo caso il quaranta-cinquantenne che ascoltava il prog negli anni Settanta – centra nel segno (cioè, c’erano anche i più giovani, ma il pubblico privilegiato era quello). Il peccato originale, lo abbiamo scritto più volte, è nel nome stesso del Festival, perché mixare eventi di ogni risma e ottenere consenso è difficilissimo. Ma capiamo che le esigenze da coprire sono tante e il rischio è apparire distanti e settari, come accadeva al Tuscan Sun Festival. Esisterà un punto di incontro tra queste posizioni?
A domani, con il tiro delle somme!
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