«Andrea Chimenti canta David Bowie»
«E chi è Andrea Chimenti?»
«Uno con una voce fantastica, era il cantante dei Moda, negli anni Ott…»
«Ma non si chiama Kekko?»
Ovviamente no, i Moda non li ricordano in tanti, ma non hanno niente a che spartire coi Modà. Chissà che roba sarebbe Kekko Silvestre canta David Bowie. Idea ipnotica.
Il concerto di Andrea Chimenti è stato superlativo, e l’abbondante pubblico del Teatro Signorelli ha dimostrato di averlo apprezzato a dovere. Non si è trattato solo di un meritato omaggio al grandissimo artista inglese scomparso a gennaio, ma di un momento di musica d’altissimo livello, che alternava classica ad art rock. Prima ancora dell’ingresso in scena del cantante e della band, è comparso sul palco il Quartetto d’archi “I nostri tempi” (Clarice Binet e Elisa Marashi al violino, Edoardo Rosadini alla viola e Pietro Horvat al violoncello), che si è esibito in un quartetto di Beethoven e uno di Prokofiev. A quel punto, è stato il turno del canzoniere di Bowie, dal quale si può scegliere qualsiasi cosa senza aver paura di sbagliare. Chimenti, vestito di tutto punto (pareva un Brian Ferry italiano), ha interpretato brani recenti (come Lazarus e la tristissima Where are we now) e degli anni Settanta (Space oddity, Lady stardust, Starman, Life on Mars), senza dimenticare gli anni Ottanta (Absolute beginners). Dopo un lunghissimo applauso, il bis ha visto il Quartetto tornare a Beethoven e Chimenti eseguire Heroes alla chitarra. Lo ha raggiunto sul finale di brano la band, costituita da Francesco Chimenti al piano, Davide Andreoni alle chitarre, Marco Fanciullini alla batteria e Mauro Maurizi al contrabbasso. Tutti bravissimi, tutto bellissimo. Quanto ci manca Bowie. Il Mix ha fatto bene ha ricordarlo, e lo ha fatto alla grande.
Prima di cena, la chiesa di San Francesco ha accolto un pubblico più ristretto per un evento particolare. Chiara e Francesco è un delicato collage di letture riferite a Francesco d’Assisi e a Santa Chiara, recitato in prima assoluta da Caterina Murino e da Riccardo Vannuccini. Il tutto era affidato alla forza delle parole e a una scarna – ma efficace – regìa. Vannuccini ha aggiunto, di tanto in tanto, effetti sonori con la voce che davano profondità al racconto. A mo’ di introduzione e di intermezzi sono stati riprodotti brani di Bach, del compositore minimalista contemporaneo Arvo Pärt e del gruppo prog-new age tedesco Popol Vuh.
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