Domenico Lorenzini e la moglie Angiolina Orzali ebbero ben dieci figli. Ho già parlato di Carlo “Collodi” (del quale non c’è bisogno di ricordare oltre a Pinocchio le grandi doti di giornalista, critico musicale, critico teatrale e d’arte, polemista e da ultimo scrittore di romanzi) e di Paolo che come abbiamo già visto esercitò la sua genialità in campo imprenditoriale e commerciale come Direttore della Manifattura Ginori di Doccia facendola apprezzare internazionalmente. Ma le sorprese non finiscono qui. Anche l’ultimo dei dieci figli, Ippolito, merita un approfondimento.
Ippolito nacque nel 1842 quando i fratelli Carlo e Paolo avevano già rispettivamente 16 e 13 anni. Anche lui aveva una dote molto spiccata: un temperamento artistico eclettico che spaziava dallo scrivere al dipingere, al cantare ecc…
Assunse, come nome d’arte, lo pseudonimo “Ippolito Cortona” o “Icilio Cortona” scegliendo di onorare il luogo di origine del padre, così come Carlo aveva fatto per il paese natio della madre.
Si, direte voi, ma lui però non è assurto agli onori delle cronache letterarie…
Questo è vero solo in parte. Certo è stato meno fortunato in quanto a successo, ma il suo genio è forse stato pari a quello dei fratelli maggiori. E guardate qui in questa lista quante sue opere (commedie, monologhi, versi per musica o per cantate) sono conservate presso Biblioteche Comunali e Universitarie delle più svariate città d’Italia: Biella, Firenze, Rieti, Rieti, Macerata, Mantova, Bologna…
Purtroppo per lui e per noi cortonesi il destino di Ippolito è stato molto diverso da quello di Carlo e di Paolo forse perché, come dice la Dott.ssa Marcheschi in un articolo apparso sulle colonne del “Sole 24 ore” del 10 settembre 2015 intitolato “Pirandello e il fratello di Collodi”, probabilmente il suo è stato un genio un po’ troppo in anticipo rispetto ai gusti dell’epoca in cui ha vissuto e che per questo motivo non poteva essere apprezzato pienamente dai suoi contemporanei.
Eppure, in una delle sue opere teatrali intitolata “Un brillante perduto” – atto unico stampato a Firenze dal tipografo Ducci – la Marcheschi stessa dice che: “è l’aria alla Pirandello che colpisce“. Sempre grazie all’illustre scrittrice dell’articolo veniamo a sapere che in questa commedia il nostro Ippolito Cortona : “presenta fra gli “Attori in Commedia” appunto il Capocomico, il Brillante, l’Amoroso, l’Amorosa e, “Fuori di Commedia”, Due Voci di Platea e Un Caporchestra in teatro per un dramma che tarda a iniziare perché il “sig. Brillante” non si trova. Questi all’improvviso esce fuori e ne nasce, a partire dal titolo, tutta una serie di equivoci e dialoghi farseschi anche con gli altri attori. Tutti hanno qualcosa da ridire, mentre la pièce che dovrebbe parlare d’un anello perduto e di un amore contrastato è annunciata ma non può esser rappresentata per i dinieghi e le continue interruzioni: ora la “servetta” indugia troppo, ora manca il suggeritore. Né può essere sostituita con un altro perché gli attori usano “recitare a soggetto”…. il Brillante non sapendo più cosa fare recita una poesia satirica sulla politica“.
Dice ancora la Dott.ssa Marcheschi “si scivola di continuo nel metateatro e nell’assurdo, come appunto accadrà, con altra grandezza drammatica e letteraria, nei Sei personaggi in cerca di autore“
Troppo in anticipo, tant’è che quando Pirandello pubblicò i “Sei personaggi in cerca di autore” nessuno si accorse che qualcuno poteva aver anticipato alcuni spunti.
Quando Ippolito aveva appena due anni il padre Domenico lasciò Firenze e la propria famiglia per venire a rimettersi in salute a Cortona. Ma il trasferimento non servì a migliorare le sue condizioni fisiche e infatti il 27 settembre del 1848 Domenico morì .
Ippolito perse quindi il padre a soli sei anni e non ne seppe dare molte notizie al figlio Paolo (Collodi Nipote) che è stato il primo biografo della famiglia Lorenzini.
Il bambino, nascendo per ultimo, non dovette vivere quelli che furono poi definiti spiritosamente da Carlo”gli anni del fagioletto” ossia quel periodo in cui la miseria non permetteva alla famiglia Lorenzini di mangiare cose diverse dai fagioletti.
Quando Ippolito era ancora bambino i fratelli Carlo e Paolo avevano infatti già iniziato a contribuire al mantenimento della famiglia e soprattutto Paolo stava velocemente ascendendo economicamente e socialmente.
Forse proprio per questo Ippolito, al contrario dei fratelli, crebbe con meno senso di responsabilità. Dice di lui il figlio Collodi Nipote “un temperamento artistico davvero squisito” “un ragazzo pieno d’ingegno che non aveva alcuna voglia di applicarsi agli studi. Preferiva disegnare, dipingere, far versi e poiché aveva una bella voce, andare ogni tanto a cantare in chiesa“.
Invece di cercare di conservare il lavoro stabile alla Ginori (che gli aveva procurato il fratello Paolo) Ippolito cercò di soddisfare le sue velleità vendendo disegni acquerellati che, rappresentando tavolini con sopra gli oggetti più svariati – qualcosa di molo simile alle “nature morte”, venivano posti sotto il piano di cristallo di un tavolino, di solito rotondo. Venivano chiamati “tavolini a inganno” ed erano, all’epoca, di gran moda. Il figlio racconta: “Il babbo ne faceva di bellissimi e ne vendette parecchi con buon guadagno“. Un’ altra fonte di guadagno per Ippolito fu il lavoro che faceva per alcuni litografi, poiché aveva una calligrafia meravigliosa.
Anche lui, come i fratelli, fu un patriota e si arruolò come volontario facendo tutta la campagna bellica del 1866 tornando a casa col grado di sottotenente di fanteria di linea. E il suo patriottismo si concretizzò anche nella composizione dei i versi per l’inno la cui musica fu scritta da Felice Antonietti “La mia bandiera – Inno al tricolore d’Italia“.
In seguito riprese la sua attività di disegnatore e di decoratore di pergamene. Scrisse diverse opere teatrali, alcune delle quali pedagogiche, e poesie giocose che venivano pubblicate nei giornali.
Fu poi assunto, sempre grazie al fratello Paolo, come impiegato all’Archivio del Comune di Firenze e lì rimase per quarant’anni nonostante non si potesse dire che fosse un impiegato modello.
Sposò a 32 anni una ragazza 16enne ed ebbe da lei ben 10 figli. Potete leggere qui sotto, dalla spassosa descrizione che ha fatto il figlio Paolo / Collodi Nipote di come il padre arrivò ad attuare questa sua decisione che tutti i parenti consideravano sciagurata.
” All’età di 32 anni quell’eterno ragazzo, prese una cotta fenomenale per una ragazza, una certa Giulia Morelli, figlia di un ex maestro delle scuderie del duca Roberto di Parma , e diuna ex cameriera della principessa Puniatosky. Persone perbene e con qualche risparmio , ma a un matrimonio non c’era neanche da pensarci. Con quello che Ippolito guadagnava e con ……..la sua testa, non era davvero consigliabile un passo di quel genere. Lo Zipoli, la mamma e i fratelli cercarono di persuaderlo a non farne di nulla. Carlo tentò di fargli capire che non era tipo da metter su famiglia, che si riconoscesse, al par di lui, troppo amante della libertà per farsi schiavo di una moglie troppo giovane per lui e probabilmente con meno giudizio di lui. Ma per quanto gli dicessero, non riuscirono a fargli abbandonare l’idea di sposarsi. L’unica cosa che capì molto bene, fu quella che nessuno lo avrebbe aiutato a commettere quella corbelleria e , senza quattrini, non avrebbe potuto metter su casa per conto suo.
Ma quando è detto che a un pover uomo debba capitare una disgrazia, non c’è santo che gliela ripari e il babbo ebbe la insperata fortuna di vincere 5.000 lire al lotto! A quei tempi era una discreta sommetta , e Ippolito si credette diventato un secondo Bastogi. Prese subito in affitto un quartiere in Via Sant’Antonino in quel casone sopra i loggiati, prospiciente al mercato centrale, del quale allora si scavavano le ferramenta. Era di proprietà del Comune e poté averlo per 400 lire all’anno. Lo ammobiliò decentemente, si sposò e andò a starvi con la moglie, il suocero, la suocera e un fratello di questa come dozzinante.
E cominciarono i guai! Da quel matrimonio io nacqui il 12 Gennaio 1876 e fui il primo di una serie di ben 10 figli, tutti maschi, che resero ben difficile l’esistenza di quel pover’uomo.”
Insomma un bel tipetto davvero, il classico artista che non riesce ad adeguarsi ai canoni di vita di chi non è arso dal sacro fuoco dell’arte. Chissà che Carlo “Collodi” non abbia osservato lui quando ha descritto così bene le simpatiche intemperanze del suo famoso burattino! Contrariamente a Pinnocchio però Ippolito non ha mai trovato un grillo parlante o una fatina che lo convincessero a trasformarsi in un un bravo ometto.
E forse perché aveva avuto la fortuna di crescere nel periodo meno tribolato della famiglia Lorenzini, il destino si vendicò con lui permettendogli soltanto di essere discretamente conosciuto ed apprezzato in vita, ma non così tanto da raggiungere la popolarità e fortuna che invece fu ed è ancora riconosciuta a Carlo e Paolo.
Noi cortonesi, comunque, dovremmo comunque essere grati a Ippolito di aver scelto la nostra città come suo pseudonimo. Le sue intenzioni erano senz’altro quelle di venir inscritto nel Libro dei Grandi Artisti e di conseguenza portare fortuna anche a Cortona. Non c’è riuscito, però… ci ha provato! E diciamo che se l’è cavata più che dignitosamente, tant’è che non è detto che in futuro, magari…