Indovinate chi è stato il primo Direttore di Topolino…

Topolino ben rinchiuso, fatto ardito, anzi gradasso, al bestione in pieno muso scaglia dritto un grosso sasso

Questo è un esempio dei testi rimeggiati che apparivano sotto le strisce della prima edizione italiana del fumetto che poi sarebbe diventato il giornalino più letto in assoluto dai bambini italiani e il cui primo numero fu pubblicato in Italia il 31/12/1932: Topolino.

 

E chi fu il primo Direttore del suddetto giornalino?

Ma uno della famiglia (molto cortonese) Lorenzini, naturalmente… Paolo Lorenzini (II) alias Collodi Nipote!

Grazie a lui, come già scritto più volte, siamo venuti a conoscenza delle vicende biografiche della famiglia Lorenzini (Domenico, Angela, Carlo “Collodi”, Paolo il Direttore della Ginori e Ippolito – alias Ippolito Cortona – padre proprio di Collodi Nipote.

Ma è stato solo questo il suo merito? No, anche Collodi Nipote, come il resto dei Lorenzini discendenti di Domenico, era stato contagiato da quello che lui stesso definisce il “vizio di famiglia” che l’aveva portato a spaziare in vari campi dell’arte della comunicazione. Insomma: anche lui aveva il “male di scrivere”. Oltre ad un folto gruppo di titoli di libri per ragazzi (tra cui alcuni sequel del Pinocchio collodiano), Paolo ha avuto il merito di scrivere uno dei più divertenti libri per bambini: Sussi e Biribissi.

 

 

Non so che effetto potrebbe fare ad un ragazzino dei nostri tempi, ma questo libro che era stato pubblicato nel 1902, quando ero bambina era ancora molto apprezzato. Io e le mie coetanee ad esempio organizzavamo pomeriggi di lettura di gruppo perché questo libro produceva reazioni a catena di risate contagiose che moltiplicavano il divertimento fino a farci arrivare ai cosiddetti “lucciconi”.

Se volete provare a farlo ascoltare o leggere ai vostri ragazzi, inserisco qui sotto il link della versione audio e di quella della copia digitalizzata del libro:

Link audio – Sussi e Biribissi

Copia digitalizzata del libro 

 

Per chi non ha avuto la pazienza né di ascoltare né di leggere cercherò di fare un breve riassunto: la storia è quella di due “ragazzotti”, uno lungo e magro che definiremo generosamente più “intellettuale” ed uno più sempliciotto basso e grasso e del loro gatto Buricchio che come loro parla fiorentino e forse è l’unico dotato di un po’ di senso pratico e lungimiranza. Questi due eroi, dopo aver letto il libro allora tanto di moda “Viaggio al Centro della terra” di Jules Verne, decidono di guadagnarsi una “Croce al merito” arrivando anche loro al centro della terra. Ma quale strada scelgono per arrivare a questa ambiziosa meta? La via delle fogne di Firenze! E’ inutile dire che questa soluzione, foriera oltreché di poco piacevoli olezzi facilmente immaginabili, è per i due ingenuoni e per Buricchio, il gatto dalla lingua tagliente e “toscanaccio” doc, fonte di numerose sdivertenti avventure.

 

Tornando ai meriti di Collodi Nipote va detto che il suo genio si manifestò anche nell’attività di funzionario dell’EIAR (antesignana dell’attuale RAI) e precisamente nella veste di presentatore-animatore del programma radiofonico “Il cantuccio dei bambini”.

E non basta: partecipò alla realizzazione del film uscito nel 1936″I due sergenti” , scrisse anche qualche romanzo poliziesco e fu inoltre paroliere di alcune canzoni dell’epoca.

Ma uno dei motivi importantissimi per cui è stata fondamentale la sua opera è l’aver scritto la biografia “Collodi – Pinocchio” pubblicata nel 1954, grazie alla quale non solo siamo venuti a sapere le notizie e le curiosità sulla discendenza Lorenzini e figli, ma sappiamo anche qualcosa di lui e dei suoi rapporti con i componenti di questa stirpe davvero eccezionale.

 

E vediamo appunto cosa sappiamo di lui: era nato nel 1876 ed era il primo dei dieci figli – tutti maschi – di Ippolito, uno dei fratelli di Collodi. Suo padre, come vi ho già detto, era un’artista di quelli bruciati dal sacro fuoco e questo gli impediva di impegnarsi a fondo a garantire sicurezza economica alla famiglia.

Fu battezzato con lo stesso nome dello zio Paolo il quale, non avendo figli propri ed avendo buonissime disponibilità finanziarie (abbiamo già visto nella puntata precedente quanta stima e guadagni gli procurò il suo lavoro alla Ginori) insieme allo zio Carlo (Collodi) tentò di formarlo a studi che gli permettessero di essere inserito in lavori che garantissero al ragazzo una sicura e valida remunerazione.

Il bambino trascorreva le vacanze estive nella Villa dello zio insieme alla nonna paterna, la vedova del nostro Domenico Lorenzini . Nei pomeriggi delle domeniche il bambino veniva affidato dalla nonna Angiolina alla zio Carlo (Collodi) il quale, conoscendo ciò che piaceva al nipotino lo portava alle Cascine col tranvai a vapore.. In queste occasioni Carlo, apparentemente burbero, si sottoponeva al fuoco di fila delle domande di “Paolino” dando risposte così spassose che dimostravano al bimbo che, al contrario di quanto poteva sembrare, Collodi capiva ed amava i bambini tanto che il nipote chiude la descrizione delle sue domeniche con Carlo dicendo: “Che buon babbo sarebbe stato se avesse avuto dei figlioli!”

 

Paolo Collodi Nipote, che anche noi chiameremo così per non confonderlo con lo zio omonimo, parlando della sua infanzia ed adolescenza ci racconta di esser stato molto meno irrequieto del padre Ippolito dicendo di se stesso: ” A quattro anni, io ero, modestia a parte, un bel figliuolo…. Ero di intelligenza superiore alla comune poiché già facevo le elementari e con profitto. C’è una menzione onorevole delle mie maestre di allora che lo comprova. Ero di carattere molto serio e riflessivo, tanto che piacevo anche al Collodi, che i ragazzi rumorosi, chiassosi, piagnucolosi, riffosi, rompicolli non li poteva soffrire. Mi chiamava ‘l”omino” e come un omino mi trattò sempre.” Ma quando quest’ “omino” forte dei lusinghieri giudizi degli insegnanti, aveva confessato allo zio Carlo di aspirare ad intraprendere la carriera letteraria, aveva dallo zio ricevuto questa risposta molto poco entusiasta perché proprio lo zio Carlo, che in prima persona aveva sperimentato quanto poco redditizio fosse esercitare quest’arte e quanto fosse difficile sopravvivere con i proventi di questa, lo sconsigliò dicendo: “Eh, faresti un bel capo di lavoro! – esclamò battendo un pugno sulla tavola. “Ho visto che sei di buon appetito, e ti assicuro che con l’arte dello scrivere non riuscirai a cavartelo!

E forse proprio nella speranza di scongiurare al ragazzo questo precario destino economico convinse il fratello Paolo ad iscrivere il nipote al Collegio Militare di Firenze. La salute, però non permise al giovane di continuare in questi studi, e allora gli zii lo fecero iscrivere ad un Istituto scuola Tecnico nella sezione Fisica-Matematica, ma il “vizio di famiglia” evidentemente non fu sconfitto e quando il giovane dopo esser tornato dall’Argentina dove era emigrato all’età di 21 anni, nella speranza di far fortuna emigrò in Argentina e dove svolse i più diversi mestieri, ed esser rientrato in Italia nel 1900, dopo aver riscontrato che il tentativo di far fortuna come emigrante era stato infruttuoso, esordì nell’arte dello scrivere con la raccolta di poesie “Canti mesti”. Questo fu l’inizio. La sua carriere letteraria non finì qui, anzi iniziò per lui la sua più che dignitosa avventura nelle varie branche della comunicazione che vi ho descritto ad inizio post.

Morì a Firenze quando aveva 82 anni.

Antonella Scaramucci

Vi chiederete il perchè di questa foto. Beh, prima di tutto perchè crescendo sono peggiorata. E poi perchè, dovendo parlare di Pinocchio e delle origini cortonesi di Collodi, è bene tornare ai tempi in cui il mio babbo Folco me lo leggeva alla sera, facendosi (pure lui) delle grosse risate

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Antonella Scaramucci
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