In un immaginario Paese latinoamericano, Faguas, grazie a una provvida eruzione i cui fumi interferiscono con la produzione di testosterone, un gruppo di donne sale al potere. E’ l’occasione per dimostrare che organizzando il Governo in maniera analoga a quanto si fa per le faccende domestiche tutto funzionerà meglio.
Questo è solo uno dei tantissimi luoghi comuni, cliché e stereotipi veterofemministi presenti nel romanzo. La penna è quella di una scrittrice generosa, abile poetessa, che in altri contesti (“La donna abitata” o “Waslala”) ha regalato brividi di suggestione e ricordi che tutt’ora si affacciano alla mia mente come se avessi vissuto in prima persona quelle avventure. Ma non ora. La protagonista bella, brava, simpatica, intelligente, altruista e soprattutto in splendida forma (imperdonabile: nessuna donna potrà mai provare simpatia per un simile mostro!), Presidente del Partito della Sinistra Erotica, viene raggiunta da un proiettile che la riduce in coma già nelle prime pagine. Ma, ahimè, non muore. Non subito, almeno: bisogna aspettare l’ultimo retorico e melenso capitolo per scoprirlo. Nel frattempo, in un flashback onirico vengono narrati i fatti. C’è un’idea intrigante che mi è piaciuta: nel labirinto misterioso del coma, Viviana ritrova se stessa e la propria storia in una stanza dei ricordi, uno sconfinato capannone al cui interno, su innumerevoli scaffali, sono conservati oggetti perduti o dimenticati, al cui contatto si rievocano in 3D le vicende che li hanno visti protagonisti o semplici testimoni. A dire il vero, questo mi riporta a qualcosa di già visto: sembrano i poteri magici di Phoebe, la più piccola delle “Streghe” del telefilm, che toccando qualcosa o qualcuno vedeva e capiva tante cose. Tornando alla vicenda, gli ormoni la fanno da padroni sull’umore e sulle decisioni da prendere, ma non c’è il clima spassoso del genere “Donne sull’orlo di una crisi di nervi”, solo musi lunghi; scene forzate, come quella in cui la bellissima e in gambissima “ministra” della Difesa estrae la limetta e ripara un’unghia spezzata nel bel mezzo di una discussione di faccende di sicurezza nazionale. Addirittura nei programmi del Partito trova posto la femminilizzazione del linguaggio, ovvero l’abolizione del generico maschile e la cacofonica trasformazione di alcuni termini in femminile. Fortuna che non alla Belli non sia venuto in mente di far diventare con qualche stratagemma le donne partenogenetiche, come gli insetti stecco, altrimenti gli uomini sarebbero stati fatti fuori definitivamente. Se l’intento è ironico (come a volte ho sperato) questo non risulta affatto chiaro, ma anzi sospetto il contrario: l’autrice infatti rivela a fine romanzo di dedicare questa storia a se stessa e ad altre donne con le quali circa trent’anni or sono aveva realmente creato il PIE – Partido de la Izquierda Eròtica. L’opera in oggetto è dunque la realizzazione immaginaria di questa utopia. Ho letto romanzi con figure femminili vere, intense e dignitose, pur nella loro semplice e ordinaria quotidianità. Offrire a dei personaggi un contesto eccezionale in cui esprimersi non li ha risparmiati dal banale e dall’insulso. Bocciato.