John Legend And The Roots – Wake Up! – Columbia 2010
Qualcuno potrebbe obiettare : ma come, hai detto che non stai parlando del nu soul e poi mi recensisci uno dei suoi massimi rappresentanti? A quel qualcuno risponderei che il signor John Stephens, in arte Legend, mi aveva entusiasmato nel 2006 con un disco elegante e caldo come Once Again (Columbia) che dava fondate speranze di aver finalmente trovato un interprete capace di rinverdire i fasti della musica dell’anima. Poi il nostro aveva preso la deriva di un pop patinato che raffreddava i precedenti entusiasmi. Adesso John fa uscire questo disco insieme ai Roots, una delle realtà hip hop più interessanti degli ultimi 20 anni, diventati originali e noti anche perché suonano strumenti veri (certo che viviamo in un mondo veramente strano…). Il risultato di questa collaborazione è spettacolare e produce un autentico capolavoro di black music. Il progetto è nato durante l’esaltante campagna elettorale di Obama del 2008. L’idea era quella di riprendere brani soul degli anni 60-70 caratterizzati da forti tematiche sociali e politiche. In questo clima di ritrovata consapevolezza civile i nostri eroi sono rimasti fedeli anche al suono di quegli anni, sporcandolo con felici contaminazioni hip hop. I Roots suonano meravigliosamente bene (una menzione speciale al corposo drumming di ?uestlove), la voce di John non è mai stata così calda ed ispirata. Tutti i brani sono notevoli, ma mi piace ricordare una formidabile Hard Time che apre l’album come meglio non si potrebbe (introduzione vocale di Legend da chiesa battista, ritmi funky e innesti hip hop), la potente e declamatoria Our Generation, l’elegante Little Ghetto Boy, interpretata originariamente dall’immenso Donny Hathaway, gli incredibili e infuocati undici minuti di I Can’t Write Left Handed scritta dal grande Bill Withers (con un funambolico assolo chitarristico di “Captain” Kirk Douglas , degno erede del mitico Eddie Hazel dei Funkadelic), un solare gospel come I Wish I Knew How It Would Feel To Be Free, dove l’usignolo Legend rende omaggio alla superba Nina Simone. E alla fine del disco John ci regala anche l’unico brano originale, Shine, elegante e soffusa ballata che fa la sua gran bella figura. New Soul back to the Roots! Voto: 9Aloe Blacc – Good Things – Stones Throw 2010
Anche il trentunenne Aloe Blacc sembra essere stato folgorato sulla via di Damasco del soul-funk anni 60-70, quando questa musica era la coscienza morale del ghetto nero. Ciò è tanto più evidente se si ascolta il suo esordio solista del 2006, dopo che il nostro aveva avuto un passato da rapper. Infatti Shine Through (Stones Throw) era un disco incerto, a metà fra ricordi hip-hop, derive nu soul e tentazioni pop latine. Qualche lampo di classe si intravedeva soprattutto nelle capacità vocali del nostro (come nella breve e minimale title track e nella ballata I’m Beatiful). Ma allora nessuno poteva prevedere una svolta così radicale. A dire la verità la recente splendida interpretazione di Billie Jean, suo tributo a Michael Jackson, resa come una ballata soul-blues , aveva fatto drizzare le orecchie a molti amanti della black music. E adesso, sotto l’ala protettiva degli ottimi produttori Truth & Soul, Aloe ci stende con un grande disco di soul music che si confronta coraggiosamente con i grandi maestri del passato. L’album si apre con un grande singolo, I Need A Dollar, caratterizzato da un’irresistibile piano ritmato; gustosa la funkeggiante Hey Brother con fiati assassini e una micidiale chitarra wha wha che fa tanto blaxploitation. Eccellente l’interpretazione vocale nella struggente soul ballad You Make Me Smile. Miss Fortune è il frutto intenso scaturito dall’incontro tra funky e reggae. Loving You Is Killing Me è un altro potenziale singolo. Incantevole il falsetto nell’elegante Life So Hard. Ma il vero tocco di classe è una versione deliziosa di Femme Fatale, che qui si trasforma in una dolce soul ballad alla Curtis Mayfield, avendo perso la decadente bellezza dell’originale. New Soul back to the Roots and Good Things are coming… Voto: 9