Per la sua sesta fatica discografica Nina si fa aiutare da un nutrito gruppo di musicisti, tra cui spiccano i nomi di Jeff Parker (chitarra dei Tortoise), del polistrumentista Paul Bryan, qui in veste anche di arrangiatore, di Jay Bellerose alla batteria e di Steve Albini in cabina di regia. Il malinconico folk della Nastasia è delicatamente arricchito dalla presenza di un classico quartetto d’archi e a volte viene movimentato dal discreto intervento di un quartetto di fiati (oboe, clarinetto,clarinetto basso e corno).
Il disco, così concentrato su atmosfere struggenti ed eteree, risulta di diafana bellezza . La voce di Nina culla le nostre anime con splendide ballate melodiche come Cry Cry Baby, You Can Take Your Time, Wakes o con brani che profumano di antico come You’re A Holy Man, quasi un madrigale post-moderno, This Familiar Way, caratterizzato da un ritmo di tango impreziosito dall’intervento solistico di un violino tzigano e What’s Out There, drammaticamente espressionista. Un’opera preziosa da custodire gelosamente per l’imminente stagione autunnale. VOTO:8+
Gemma Ray – It’s A Shame About Gemma Ray – Bronzerat Records 2010
Parafrasando il titolo di questo album, si potrebbe dire che sarebbe una vergogna se Gemma Ray stavolta non incontrasse i favori del pubblico: infatti questa sua nuova fatica discografica è molto bella. E pensare che si tratta di un album di covers… Ma Gemma ha classe da vendere e riesce a personalizzare ogni brano, fino a renderlo proprio. Per riuscire in questa non facile impresa, la nostra abbraccia l’estetica della sottrazione: con pochi tocchi di chitarra, con la sua voce evocativa e le percussioni del bravo Matt Verta-Ray, le canzoni acquistano una scarna bellezza che lascia il segno. Gli autori scelti dalla cantautrice americana sono molto diversi tra loro: si passa da standards r&b (una I’d Rather Go Blind ridotta all’osso, cavallo di battaglia della grande Etta James, una dolce Just Because di Lloyd Price), ai Sonic Youth (una stravolta versione di Drunken Butterfly inserita sul tema di Rosemary’s Baby), si va dai Mudhoney “rallentati” di Touch Me I’m Sick, ai Gun Club di una malinconica Ghost On The Highway. Tutti i sedici brani del disco sono piccole perle che compongono una collana sonica di affascinante essenzialità . VOTO: 8
Anaïs Mitchell – Hadestown – Righteous Babe 2010
Ad ulteriore testimonianza dell’ottima salute di cui gode attualmente il talento femminile nella popular music, esce questo stupefacente disco della Mitchell, da considerarsi una vera e propria folk-opera. La sorpresa nasce dal fatto che, viste le precedenti fatiche discografiche della nostra, nessuno poteva prevedere una sua svolta così creativa. La piccola cantautrice del Vermont punta in alto e decide di scrivere nientemeno che un disco sul mito di Orfeo ed Euridice, convocando al suo cospetto fior fior di musicisti. Fanno parte del cast Justin Vernon (alias Born Iver) che è Orfeo, Ani DiFranco nelle vesti di Persefone, un solfureo Greg Brown che veste i panni di Ade, Ben Knox Miller dei Low Anthem che interpreta Ermes, il trio vocale femminile The Haden Triplets, che interpretano il Fato e naturalmente Anaïs che è Euridice. Oltre alla Mitchell, che imbraccia anche la chitarra acustica, ho contato almeno altri quattordici musicisti che partecipano al variegato suono del disco, ispirato alla musica popolare americana degli anni trenta. Infatti Anaïs decide di ambientare la mitologica vicenda nell’America della Grande Depressione, che tanto ricorda quella attuale del dopo 11 settembre. Il disco va ascoltato con attenzione e passione come un unico corpus; ma possiamo almeno citare la splendida ballata Wedding Song in cui Anaïs duetta dolcemente con Justin Vernon, Way Down Hadestown, marcetta strampalata che sembra uscita da una bettola di New Orleans e dove Ben Knox Miller è vero clone vocale di Tom Waits, Our Lady Of The Underground dove spicca la classe della DiFranco, la bellezza degli impasti vocali delle Haden Triplets nella swingante When The Chips Are Down. Eclettismo musicale. VOTO: 8
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