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Il criticone musica – Folk Connection

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Erland & The Carnival – E & T C (Full time Hobby 2010)

Negli ultimi tempi molti giovani musicisti inglesi hanno riscoperto il fascino discreto della loro tradizione folk. Dagli splendidi Leisure Society, ai “quasi famosi” Mumford & Sons, passando per il menestrello pazzo Alasdair Roberts, il folk rock di Frank Turner, il Graham Coxon folgorato da Nick Drake, è tutto un fiorire di dischi folk oriented provenienti dalla terra di Albione. E ovviamente l’elenco potrebbe essere molto più lungo. Quindi niente di eclatante se un cantautore nativo delle isole Orcadi, tale Gawain Erland Cooper, si unisca al polistrumentista Simon Tong (già nei Verve, Blur e nei The Good, The Bad & The Queen) e al batterista David Nock (già negli Orb, nei Cult e nel progetto Fireman di Paul McCartney) per rileggere brani folk anglo-scozzesi e scrivere canzoni originali prendendo spunto sempre da questa nobile tradizione musicale.

Ma siccome siamo in tempi globalizzati dove le influenze sono tante e varie, i nostri riescono a produrre una musica che si fa influenzare volentieri anche dal rock, dalla psichedelica, da suoni garage, dal pop della Swinging London e da suggestioni sonore care alle musiche da film. Un enorme calderone, direte voi. E invece no. Questo loro esordio discografico, pur nelle sue numerose influenze, risulta essere un lavoro unitario, intenso e originale. Il disco si apre con “Love Is A Killing Thing”, un’antica ballata scozzese che parte sommessa e corale, per poi impennarsi elettrica fino a vette rumoristiche che ricordano gli ultimi Wilco e ritornare dolcemente evocativa. Il riff iniziale di chitarra che introduce “My Name Is Carnival” è un palese omaggio a un classico del rock: “White Room” dei Cream. Il brano, una stravolta cover di Jackson C. Frank, si sviluppa poi come una ballata pop leggiadra con la bella e profonda voce di Cooper che ricorda il raffinato Scott Walker. “You Don’t Have Be Lonely” sembra una danza folk arrangiata come una canzone pop di Nancy Sinatra. In “Trouble In Mind” il folk è solo una scusa per creare una deliziosa canzone dalle sonorità garage-rock. “Tramps and Hawkers” affascina con la sua ipnotica andatura da valzer malinconico. Con “The Derby Ram” il ritmo si alza di nuovo, mentre con “Disturbed This Morning” si approda ai lidi più tranquilli di una soffice ballata folk venata di psichedelica. Ma è con “Was You Ever See” che i nostri raggiungono l’apice della loro arte compositiva. Battiti di mani che segnano un ritmo cadenzato sono avvolti da un organo alla Animals, mentre un Erland particolarmente ispirato canta con elegante malinconia. “The Sweeter The Girl The Harder I Fall” non avrebbe sfigurato nei primi album degli Hothouse Flowers, con quel suo incedere da rock celtico (anche la voce di Erland ricorda quella di Liam O Maonlai). Con “Everything Came Too Easy” si torna al folk riletto in chiave psico-garage alla maniera di Sky Saxon dei Seeds. “One Morning Fair” è la perfetta canzone psichedelica con l’organo fluido, la chitarra acida e un ritornello da urlo. In “Gentle Gwen” il folk viene riletto in maniera solare con una ritmica in bella evidenza e un approccio giocoso da Summer Of Love. In chiusura dell’album troviamo “The Echoing Green”, il brano più eclettico del disco, che mischia tentazioni elettroniche ad un suono indie-folk, il tutto in un’atmosfera sonica da soundtrack.
Questo splendido esordio dimostra ancora una volta che, quando c’è talento, l’influenza del passato è solo il trampolino di lancio per percorrere originali sentieri sonori. VOTO: 8

Michele Lupetti

Colui che nel lontano 2006 ideò tutto questo. Fondatore e proprietario di ValdichianaOggi, dopo gli inizi col blog "Il Pollo della Valdichiana". Oltre a dispensare opinioni sulle cose locali è Beatlesiano da sempre (corrente-Paul Mc Cartney), coltiva strane passioni cinematografiche e musicali mescolando Hitchcock con La Corazzata Potemkin, Nadav Guedj con i Kraftwerk. I suoi veri eroi, però, sono Franco Gasparri, Tomas Milian, Maurizio Merli, Umberto Lenzi... volti di un'epoca in cui sarebbe stato decisamente più di moda: gli anni '70

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Michele Lupetti

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