Tre gli spettacoli del terzo appuntamento della rassegna di teatro – danza “Invito di Sosta” al Teatro Comunale di Castiglion Fiorentino, avvenuto sabato 28 gennaio. Sul palco vediamo due donne, vestite con colori di tinte diverse tra loro. Udiamo in sottofondo una sorta di “Gioca jouer”, molto più melanconico di quello che conosciamo dalle discoteche, che chiede alle performer di fare certi movimenti.
(“Chi ha tradito si metta a pancia in giù”, per esempio). Così inizia il primo pezzo “Waiting for Suite-hope”, di e con Chiara Frigo, accompagnata da Marta Ciappina. Dopo questo primo inizio di “gioca jouer”, la musica cambia e diventa movimentata, e le due performer ballano con forza e vitalità su queste note, con una vasta gamma di gestualità in cui dimostrano la loro abilità tecnica. Di conseguenza le due si separano in modo brusco e Chiara Frigo esce di scena, lasciando l’altra a un monologo danzato molto intenso. Le luci poi si spengono e ritroviamo la stessa danzatrice nuda, sdraiata a pancia in giù sul palcoscenico. Sta così per una manciata di lunghi secondi, finché Chiara Frigo non ritorna sulla scena, dove dispone accuratamente una serie bamboline fatte con la carta che si abbracciano tra loro.
Non sono riuscito, a dire il vero, a entrare a fondo dentro questo spettacolo, dove non ho potuto capire il significato – se c’era – di quel ballo sfrenato avvenuto quasi all’inizio. Sicuramente si tratta in linea generale del problema della solitudine, della tristezza della solitudine, una solitudine che le protagoniste sono costrette a soffrire – visto che Marta Ciappina sarà costretta a rimanere stesa, da sola e nuda, sopra al palcoscenico e Chiara Frigo, non riuscendo a trovare un saldo legame con la sua compagna, sarà costretta a “costruirsi un mondo fittizio”, di pupazzi ritagliati con la carta. Si passa dai colori vivaci dell’inizio alla nudità delle donne – anche Chiara Frigo alla fine è seminuda. Si passa quindi dall’esternazione all’interiorizzazione. Molto bello il tableau con la nudità della ragazza stesa contornata da tutte le figure di carta appena esposte in scena. Indubbia, inoltre, la capacità tecnica delle protagoniste, abilissime nello sfruttare l’intero spazio scenico.
Cala la tela
Scrivo così perché è stato il turno di un breve intervallo di preparazione allo spettacolo successivo: “Verdinastella” di Oretta Bizzarri e con Mariella Celia, che, per l’occasione dell’attesa, hanno fatto preparare un video di presentazione del personaggio rappresentato, visibile nel fouie.
Rientriamo in sala: il sipario è chiuso e vengono proiettate delle immagini in bianco e nero senza sonoro. Vediamo Verdinastella nelle varie situazioni della vita: comiche e drammatiche. Verdinastella è un personaggio, al pari di Charlot. Un Personaggio che sa recitare, ballare e cantare – tutto rigorosamente nel delizioso dialetto napoletano.
Si apre il sipario e Verdinastella indossa un abito un po’ trasandato con cui compie una veloce danza composta di passi concitati, per poi ritrovarla, in seguito, con un’elegante vestito. In questo momento interpreta la “sorella buona”, quella che subisce, quella dolce, quella dai tratti più femminili. Così la vediamo danzare sul palco con passi vivaci e raccontare storie nel dialetto del sud. Arriva poi il momento della “sorella cattiva”, vestita con un rosso sgargiante, una donna, questa, dai tratti più aggressivi e mascolini, che si arrabbia, che s’infuria: è una donna presa dall’ira, un’ira che si placa, quando Verdinastella indossa nel finale ancora i panni della ragazza “buona”. Ora è seduta, illuminata da una luce circolare al centro e ci canta una commovente canzone napoletana, che parla di amore. La ragazza sembra triste e, piano piano, comincia a sfilarsi le vesti, mostrando i suoi seni – la mancanza di amore per una donna, che non aspetta altro che trovare l’uomo giusto per provare quell’emozione tanto agognata: la passione.
Verdinastella è un doppio personaggio e, grazie a questo doppio (sorella buona e sorella cattiva), ha la possibilità di scatenare sia le sue doti più femminili sia quelle più aggressive. Uno spettacolo veramente molto colto, una sorta di Varietà – dove Varietà lo scrivo con la lettera maiuscola. Una sorta di Macchietta – dove Macchietta è anche questa scritta con la lettera maiuscola.
È incredibile il talento scenico di Mariella Celia, che sfrutta in modo magistrale l’intera superficie del palcoscenico. La sua interpretazione si fa seguire, è credibile, è sentita! Lei CREDE in quel personaggio, lei È quel personaggio. Brava quando recita, brava quando danza, brava quando canta; brava nelle parti dolci, brava in quelle aggressive; brava a esteriorizzare i suoi stati d’animo. Danza e medita sotto note di musica classica, che conferisce allo spettacolo un’atmosfera da sogno, un’atmosfera in cui la poetica lingua napoletana è indispensabile.
Sono i contrasti interiori di Verdinastella che vengono fuori allora da questa messa in scena, una messa in scena disegnata a pennello per la protagonista (in questo va dato merito a Oretta Bizzarri), una bravissima performer che, se continua così, mi azzardo a dire che la storia non dimenticherà.
Giungiamo così all’ultima tappa di questo percorso serale: “Psyche” di Gabriella Maiorino, con Valentina Campora. Luci basse, una donna nella semioscurità in posa monumentale – sembra il “Discobolo di Mirone”. Sta così per minuti, vuole che la gente la guardi, vuole recuperare il valore sacrale dell’Arte: l’Arte è sacra e va ammirata. Poi comincia a danzare, con una gestualità sempre ieratica, sacrale appunto. Danza sul palco come danzasse una statua – nel senso positivo del termine, non fraintendetemi. È vestita con un semplice abito corto a tinta grigia: non vuole apparire, vuole danzare per rappresentare l’Arte e per rappresentare l’interiorità: La “Psyche”, appunto, termine greco che significa “Anima”.
È la danza dell’anima allora quella che si ammira sul palcoscenico per circa 15 minuti, accompagnata dalle musiche di Andy Moor e di Yannis Kyriakides; una danza la cui interiorità è resa molto bene dalla danzatrice, che si muove con grazia, delicatezza e ieraticità.
Gli spettacoli sono finiti, ma, prima di concludere, vorrei fare una piccola riflessione: in “Waiting for suite – hope” una donna, nel finale, sta distesa nuda sul palcoscenico; in “Verdinastella” la manifestazione dei seni della protagonista è un altro esempio di nudità, così come in altri spettacoli contemporanei, come, per esempio, in “Nera Mamba”, assolo di Elisabetta Di Terlizzi, recensito da me non molti giorni fa, la performer alla fine cammina mostrandosi nella sua nudità. Perché questo bisogno artistico di manifestare la propria nudità, mi chiedo? È stato un corpo di cui si è troppo abusato, credo. Un corpo che questa società ha fatto diventare un oggetto e, di conseguenza, gli uomini e molte delle stesse donne, non lo valutano più come dovrebbe essere. Il corpo femminile ha forse perso “l’aura”? per dirlo alla Benjamin – rimando a “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”. Non solo l’arte è diventata seriale, anche il corpo femminile: il corpo femminile adesso sta più sulle riviste, nei programmi televisi, nei siti web, piuttosto che occupare un posto da podio. Forse, queste attrici, con le loro performance, stanno chiedendo alla società di rivalutare quel corpo di cui non si riconosce più la “vera bellezza”? Quel corpo di cui si vuole solo abusare senza ammirare? Può darsi e credo che ne avrebbero anche tutte le ragioni.