Sono una lettrice seriale ed appassionata di gialli: non disdegno di seguire le saghe, quelle in cui oltre alla trama del romanzo c’è un filo conduttore da seguire volume dopo volume, se l’autore ci sa fare. Maurizio De Giovanni – decisamente – ci sa fare. Ed ha creato un personaggio che lascia il segno. L’ambientazione è la sempre meravigliosa Napoli, nel mezzo del Ventennio, prima del secondo conflitto mondiale. I personaggi sono caratterizzati ed il mistero mai scontato.
Ma chi è questo commissario? E’ un uomo affascinante, a tratti inquietante; non omologato, senza cappello, con un eterno ciuffo ribelle sulla fronte e occhi verdi di cui non si scorge il fondo; indifferente al freddo, al caldo e alla pioggia, è ben altro quello che gli si agita dentro. Infatti, quest’uomo schivo e taciturno conosce bene il dolore e la morte, perché condannato da un potere che gli fa vedere i morti per cause violente nell’ultimo atto e pensiero. Questa finestra sul trapasso è la principale motivazione del suo lavoro: non gli consente di scoprire l’assassino, anzi talvolta lo conduce fuori strada, ma lo spinge a cercare la verità, tenue balsamo a tanto dolore. Le donne (compresa la sottoscritta) si innamorano di lui: lo corteggiano, tentano di sedurlo, ma Ricciardi non ha occhi che per una maestrina, alta e allampanata, forse pure un po’ racchia, ma si autocensura perché lei non debba scontare con lui la condanna di guardare sempre in questo abisso cruento. Appunto qui volevo andare a parare: ‘sto commissario è troppo serio! Maurizio, fallo divertire un po’! In svariati romanzi che ho letto, c’è stata un’unica sporadica scena di sesso: è sprecato, noi ammiratrici vorremmo vederlo un po’ di più in azione, caspiterina! Poi che resti pure fedele con il cuore alla sua maestrina Enrica Colombo, come Florentino Ariza nel romanzo Di Garcìa Màrquez “L’amore ai tempi del colera”, ma nel frattempo…
Luigi Alfredo “Mainagioia” Ricciardi, barone di Malomonte, cilentano e montanaro, è circondato da una corte di personaggi ben riusciti: il brigadiere Raffaele Maione, che sempre lo affianca e spesso ne sorveglia l’incolumità. Il dottor Modo, medico legale ma non solo, contestatore del regime: ironico e donnaiolo, sembra a volte che comprenda i pensieri dei morti più dello stesso Ricciardi. La bella cantante Livia, lo sgradevole funzionario Garzo, il transessuale Bambinella. E poi le tate cilentane: Rosa che anche dopo la dipartita continuerà con lo spirito a sorvegliare il “signorino” e Nelide, bruttissima ragazza di forma cubica, che a pieno titolo prenderà il posto della zia nell’accudire casa, cucina, affari e forse affetti di questo atipico nobiluomo.
Mentre cammina per i “bassi” il commissario riflette, ragiona. Il viso imperscrutabile, freddo e distaccato all’apparenza, è in realtà turbato dalle passioni. Quando le riconosce dentro di sé le analizza ed il lettore con lui, scoprendolo e scoprendosi: De Giovanni infatti scandaglia l’animo umano e non di rado ci si riconosce nelle “stagioni” e nei sentimenti da cui tutto scaturisce.
Al termine del romanzo spesso l’autore “incontra” uno dei personaggi e lo intervista, in un dialogo surreale che sfuma i contorni della fantasia.
Napoli, chiassosa, vivace e colorata, è protagonista e quasi sovrasta il Commissario: i profumi di pizza fritta e sfogliatelle escono dalle pagine e si mescolano all’aroma del caffè. Io ci vado, ogni tanto, lì nei vicoli o al Gambrinus, a cercare il bel poliziotto tenebroso, chissà che non spetti a me vincere la sfida per la contesa del suo cuore.
Appropriato in questi giorni, tra i vari titoli, “Per mano mia – Il Natale del Commissario Ricciardi”: le mani che hanno affondato la lama nelle carni, ora con perizia compongono i pezzi dell’immancabile presepe; vale la pena di indagare, anche perché, oltre il trait d’union che lega ogni romanzo all’altro, la vicenda è sempre originale e spesso, scoperto in apparenza il colpevole, si arriva alla verità solo nelle ultime pagine, rovesciando schemi e preconcetti, ma trovando la chiave proprio in quell’ultimo pensiero che il protagonista coglie, ormai postumo.
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