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L’inquietante maturità del Bisbetico Donato

Jorge de Burgos

Correva l’anno 1990. I PC non avevano ancora il mouse. L’hard disk era un accessorio per ricchi e non superava i 20 MB. Internet era quasi fantascienza. I cellulari erano solo una leggenda, erano grandi quanto una cabina telefonica e la batteria durava 10 minuti. Francesco Cossiga era il Presidente della Repubblica, mentre Giulio Andreotti era al suo sesto mandato di Presidente del Consiglio sostenuto da DC-PSI-PRI-PSDI-PLI, il famoso “pentapartito”. Antonio Di Pietro faceva il magistrato. Gianni Bugno era il leader incontrastato del Giro d’Italia.

Pesavo 58 KG. Ero così magro che a scuola potevo andarci via fax (adesso mi ci vorrebbe Bartolini…).

Finite le lezioni verso i primi di giugno, mi concessi una settimana sabbatica di mare (che era a 30 secondi da casa) per disintossicarmi e cominciare al meglio la preparazione per gli scritti. Italiano il primo giorno e matematica il secondo: un classico del liceo scientifico. Nemmeno avevo cominciato a prepararmi che già era arrivata la vigilia. La sera prima del grande giorno ero in preda ad un’ansia pazzesca. Mio padre, visibilmente preoccupato, mi somministrò mezzo chilo di salsicce pugliesi rinomate per possedere, oltre una certa dose, proprietà sedative ed allucinogene. Anche mio nonno – mi raccontò mio padre – gliele aveva somministrate il giorno prima dei suoi esami e il giorno dopo il matrimonio.

Funzionò. La notte entrai in una specie di coma farmacologico e soltanto nell’ultima ora di sonno sognai che svolgevo la prova di italiano in una biblioteca piena di libri e giornali da cui potevo attingere senza restrizione alcuna e affianco a me c’era Umberto Eco che poteva suggerirmi. Sarebbe stato un bel sogno se non fosse stato per i libri in cui mancavano la maggior parte delle parole dato che qualcuno su ogni pagina aveva giocato ad Arkanoid usando le parole come mattoncini. E poi Umberto Eco era in costume e si spalmava la crema solare.

“La scienza è spesso accusata di aver addensato sull’uomo pericoli terribili, fornendogli un potere eccessivo sulla natura” (Lorenz). Quali argometazioni possono addursi secondo voi per confermare o confutare tale accusa.

Fu la traccia da me scelta andando per esclusione. Le altre erano abominevoli. Non ricordo assolutamente cosa scrissi a parte l’ultima frase “Ai posteri l’ardua sentenza” perché sostenevo di non essere abbastanza saggio, vista l’età, per accusare o prosciogliere la scienza e che avrei avuto bisogno di qualche anno in più di esperienza. D’altronde, dissi poi all’orale, la maturità per un ragazzo di 18 anni significa anche essere consapevoli di non essere abbastanza maturi per certi temi. Per fortuna la cosa piacque. Ma a dire il vero anche adesso che sono alle porte degli anta chiederei qualche anno di proroga per esprimere un parere su quel tema…

Avevo appena finito di apporre il mio cognome e nome sull’ultima colonna del foglio di protocollo che sento alle mie spalle una voce austera e fiera: “Si scrive prima il nome e poi il cognome”. Era il commissario d’italiano, un frate francescano di una età indefinita compresa tra gli 80 e i 120 anni. Tre lauree. Un uomo di una cultura immensa. Si vociferava che avesse scritto la Treccani dalla M alla Z. Per come era vestito e per la sensazione di autorità che fortemente emanava mi ricordava Jorge de Burgos nel film “Il Nome della Rosa”. Tremavo al solo pensiero che l’avrei avuto d’avanti alla prova orale.

La notte successiva, prima della prova di matematica, sognai che non era suonata la sveglia e che quindi ero in forte ritardo. Per accedere all’ingresso della scuola c’era una lunghissima scala mobile che ovviamente andava nella direzione opposta. Non avevo portato il foglio di protocollo e dovevo scrivere sulla carta igienica. E poi era buio pesto perché avevano oscurato le finestre per impedire di comunicare con l’esterno e tutti avevano portato una bajour e io no. E avevo solo un accendino e dovevo finire il compito prima che si spegnesse. Ancora adesso con qualche variante ricorre quell’incubo.

La prova di matematica andò bene. Tra i fumi dell’ansia e dello stress non mi ero accorto che all’inizio della traccia c’era scritto “Svolgere due dei seguenti tre quesiti” e li svolsi tutti e tre arrivando stremato e devastato alla fine del tempo.

Mancava solo l’orale alla libertà. Il sorteggio volle che il mio giorno fosse l’ultimo. Era una bella notizia. avevo più tempo per prepararmi.

Una mattina andai ad assistere agli orali di alcuni miei amici. Avevo un paio di pantaloncini un po’ sdruciti e una maglietta qualunque. Dopo qualche minuto fui invitato ad uscire perché il mio abbigliamento era inadeguato. Mi sarei voluto dare fuoco ma per fortuna l’accendino l’avevo completamente consumato durante la prova di matematica 😀

La notte prima dell’orale sognai Dante, Foscolo e Leopardi vestiti da francescani che pattinavano a piedi nudi su di un’enorme fetta biscottata spalmata di burro. Al centro della pista c’era anche Sandro Pertini (non chiedetemi il motivo) che ballava il tuca tuca da solo indossando dei guanti da boxe.

La mattina ritardai un po’ perché rimasi una buona mezzora inchiodato in bagno per un imbarazzante inconveniente che non sto qui a dettagliare…

All’orale portavo italiano e geografia astronomica. Di cosa dissi e mi chiesero per geografia astonomica non ricordo assolutamente niente, mentre ricordo abbastanza bene la parte di italiano.

Jorge era davanti a me. io e lui soltanto. il resto del mondo era un ricordo sbiadito. Cercavo di barare ostentando sicurezza, ma era inutile: il suo sguardo serio e indagatore mi dominava completamente.

Mi chiese di leggere un canto del Paradiso. Scelsi il primo (anche perché era l’unico che ero riuscito a preparare). Cominciai a leggere dapprima con voce tremula, poi più coraggiosa impostando la voce come se stessi facendo la parodia di Vittorio Gassman. Jorge mi disse che per come l’avevo letto si capiva che ne avevo compreso il significato profondo e non mi fece parafrasare. “Che culo” pensai tra me e me.

Poi mi chiese qual era l’autore che avevo più apprezzato e io risposi Foscolo perché tramite le sue opere avevo rivissuto la nascita del mio dissidio religioso che poi si era acuito leggendo Leopardi. E mentre parlavo mi accorgevo che lui aggrottava sempre più le sue folte e bianche sopracciglia. E allora proseguii mentendo spudoratamente: dissi che grazie a Manzoni avevo ritrovato la luce della fede. Il sereno tornò sul suo viso. Menomale.

Mi fece altre domande che non ricordo ma alla fine mi disse “T’amo pio bove” aspettandosi che io continuassi la poesia ma io spiegai che Carducci non era nel programma e conclusi il mio esame con la frase “la giuria non tenga conto di questa domanda”. Accennò un sorriso e come un nonno mi fece uno sguardo affettuoso quasi avesse compreso il sollievo che stavo provando in quel momento. Era finita.

 

“Non avere paura del domani, in fondo oggi è il giorno che ti faceva paura ieri.”
Bob Marley

Donato Apollonio

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Donato Apollonio

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