Leggo del secondo posto a livello nazionale per qualità dell’offerta formativa della facoltà di lettere aretina, ma leggo pure che la facoltà vive un momento difficile con molti professori “in fuga” verso Siena, di cui Arezzo è una sorta di “succursale”. Nei mesi passati avevo sentito parlare, e letto, di ridimensionamenti, di chiusure di corsi e del salvataggio in extremis proprio di lettere, un corso che doveva essere sostanzialmente cancellato, salvo poi proteste e successivi ripensamenti indotti. Qualcosa non va e a questo punto credo sia il momento di fare un veloce riflessione sul tema delle sedi universitarie distaccate.
Ha senso continuare a volerle tenere in vita?
Introdotte in pompa magna durante gli anni ’90, sulla scorta (spesso) di esperienze pre-esistenti (magisteri e simili) significarono l’Università a portata di tutti. Avere una sede vera ad Arezzo per moltissimi ragazzi miei contemporanei-coetanei significò un motivo in più per continuare a studiare. Se non ci fosse stata Arezzo in tanti avrebbero smesso e sarebbero andati a lavorare. E invece si sono laureati.
Erano i tempi in cui, ancora, c’era il vecchio ordinamento e con Arezzo si poteva tranquillamente fare i pendolari, evitando grosse spese alle proprie famiglie. Ma soprattutto si poteva studiare in un ambiente di poco dissimile da quello delle scuole superiori, visto che il numero dei frequentanti dei corsi era bassissimo e i professori erano a portata di mano. Infine c’era la sensazione che le facoltà fossero più abbordabili, e certo i programmi di studio così come la media generalmente bassa di bocciature agli esami non facevano niente per smentire questa sensazione.
Tutto questo, nell’immediato, fu qualcosa di positivo. Potevi studiare ad Arezzo, seguito da prof indubbiamente bravi, in molti casi giovani e molto motivati a fare bene, con cui era possibile instaurare un contatto diretto e umano molto forte e proficuo. La fila alle segreterie non raggiungeva mai lunghezze chilometriche come in una qualsiasi altra sede italiana. Non si arrivava mai al collasso nervoso. Il sistema funzionava e c’era quindi la possibilità, per chi aveva davvero i numeri, di arrivare a risultati importanti. Gli altri, più semplicemente, continuavano a studiare e si laureavano. E si potevano fregiare del titolo di “dottori” e andare a cercare lavori importanti in mezzo al mucchio proprio perchè laureati. Mica male…
Ma quello che mi chiedo…ripensandoci a quindici anni di distanza, alla luce della situazione attuale….tutto questo ha avuto senso?
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