Spero di trovare qualcuno in grado di darmi una risposta. La dizione “precario” tanto in voga di questi tempi ha secondo voi un valore riferito ad una generale condizione di insicurezza lavorativa o è direttamente e necessariamente collegata al fatto di possedere un contratto lavorativo di quelli (a termine, a progetto ecc) definiti come “precari”? In parole povere: io, che esercito una professione e ho una partita IVA, non guadagno certo tanto, non ho certo tante sicurezze di sopravvivere col mio lavoro e vengo subissato di tasse, posso fregiarmi del titolo di precario? La domanda vi sembrerà stupida, ma non lo è affatto.
Perchè non è per niente sicura e non precaria anche una vita come la mia, che peraltro assomiglia a tanti milioni di italiani con partita IVA, professionisti o prestatori d’opera che siano, anche e soprattutto giovani.
A pensarci bene, comunque, neanche sicura e non precaria è la vita di chi fa impresa, di chi investe e assume, magari ora guadagna molto ma può sempre ritrovarsi col sedere per terra se sbaglia qualche mossa o ha un po’ di sfortuna.
Se quindi il “precario” nel senso del contratto è autorizzato (spessissimo a buona ragione) a fare la vittima e a lamentarsi allora tale facoltà voglio sia concessa anche a me (la cui unica certezza futura è quella che finchè ci sarà questo sito potrò scriverci perchè Michele è un tipo simpatico, disponibile e tollerante) e anche a tutti coloro che fanno impresa, o che comunque non hanno la strada segnata da anni di lavoro già programmata e pensione (probabilmente) certa alla fine del percorso.
Insomma: per me o siamo precari tutti o non è precario nessuno. Decidiamoci