30 anni (e un giorno) fa moriva Rino Gaetano. Ovvero uno dei più creativi e innovativi cantautori italiani. Un incidente d’auto interrompeva, a soli 31 anni, la sua parabola tempestosa; tempestosa come il suo carattere e il suo non facile rapporto col mondo. Con i discografici, col pubblico, con la critica. Deriso e messo in secondo piano da tanti Soloni dell’epoca, probabilmente perchè troppo poco politicizzato e senza troppe bandiere in mano, quindi molto poco alla moda, la sua fama è aumentata a dismisura negli anni successivi alla sua morte.
Insomma: se c’è stato un vero bastiancontrario nella musica italiana, quello è stato lui.
Oggetto di culto di una nicchia (politicamente spesso orientata a destra) per quasi due decenni, dalla metà dei ’90 ha goduto di una generale riscoperta e col suo cielo sempre più blu è divenuto nel decennio da poco concluso uno dei più amati artisti italiani di sempre. E anche i Soloni e i sinistrorsi si sono finalmente accorti che era tanto, troppo più avanti di tanti osannati poetoni a lui contemporanei, molti dei quali non sono e non andranno mai oltre il ’68 o il ’77.
Finalmente, giustamente, Rino ha avuto il successo e la stima del grande pubblico.
Fu poeta ironico, sarcastico, distaccato ma sensibile di un periodo di storia italiana; il suo stile fu innovativo e i suoi testi stralunati sono qualcosa di eterno e sempreverde.
Per me, dall’adolescenza in poi, quando lo ascoltavo in cassette copiate da un amico del liceo (si..di destra pure lui…), fu come un fratello maggiore. Un fratello in mezzo a tanti “figli unici”, proprio quelli che lui dileggiava ma a cui comunque voleva bene.
Ciao Rino, e grazie.