Io l’articolo 18 non so cosa sia. O meglio, so benissimo cos’è e cosa garantisce, ma non so cosa significhi in termini pratici, non avendone mai potuto beneficiare sulla mia ancora giovane pelle. Per questo non riesco a seguire se non con estremo distacco il grande dibattito in corso in queste ore e non riesco a spiegarmi tutte queste battaglie se non pensando che c’è chi a tale articolo dà un forte valore simbolico, trattandosi di uno dei punti cardine dello Statuto dei Lavoratori. La mia però è un’altra realtà e l’ho talmente chiara da spingermi a dire che ormai l’art.18 è stato superato dagli eventi.
La mia realtà è quella di un giovane (ma neanche più tanto) che vive nella precarietà lavorativa e ormai ha imparato a farci i conti. I contratti, se ci sono, durano 3 mesi e non sai mai fino al giorno prima della scadenza del terzo mese se ti verrà rinnovato di altri 3. Spesso continui a stare nel tuo ufficio anche dopo la scadenza del contratto perchè nessuno ti dice “vai a casa”, passa qualche giorno e ti dicono che il contratto te l’hanno rinnovato. I pagamenti (gli “stipendi”) non hanno una scadenza chiara. Spesso c’è da aspettare. Magari arrivano due mesi insieme, poi stai 3 o 4 mesi ad aspettare un nuovo bonifico.
L’idea di poter far valere qualche tuo diritto non passa neanche nell’anticamera del cervello. Dovevi lavorare 12 ore perchè così era scritto nel contratto? Ne lavori 40 e stai zitto. E se insistono a tenerti lì nei weekend ci stai. Avevi pensato di andare al mare domenica? Eh, ci dispiace, non puoi. Hai la febbre? Sarebbe meglio tu venissi in ufficio. E poi di licenziarti nemmeno hanno più bisogno, basta semplicemente che non ti rinnovino il contratto. Meglio ancora se hai la partita iva: una mattina arrivi in ufficio e puoi sentirti dire “non ci servi più, grazie tante”
L’art.18, quindi, esiste soltanto per una categoria di lavoratori. Per il resto, e soprattutto per i giovani, è un concetto inesistente. Le vie sono quindi due: o continuiamo a riproporre vecchi schemi anni 70, ma allora li rivogliamo in tutto, con tutti i diritti che c’erano, oppure si guarda avanti. E guardare avanti significa costruire un sistema nuovo, nel quale esista la flessibilità, ma esista anche la tutela di chi lavora. In modo moderno e non anni 70, magari. Per ora, però, vedo solo riforme monche e allora quasi quasi mi metto a protestare in difesa dell’art.18. Anche se di fatto non so cos’è