Per i lettori abituati alle mie “acidate” anti-aretine questo articolo suonerà strano, ma voglio intervenire a difesa della Giostra del Saracino per replicare al pezzo del sempre ottimo Luca Trippi letto su queste pagine. Il buon Luca lancia appunti dall’alto di una sua sicura preparazione in campo folkloristico (ottimi ad esempio i suoi articoli sul palio dei rioni della “sua” Castiglion Fiorentino) che lo autorizza pienamente a sindacare sul tema, ma secondo me non si rende troppo conto del molto di buono che c’è nel Saracino.
Innanzitutto non dice che si tratta di una tradizione ripristinata ormai moltissimi anni fa, novecentesca ma comunque ben più lunga e duratura di tanti pali e medievalate varie che si vedono in giro, ormai pressochè in ogni comune del nostro territorio, molte delle quali sono una vera e propria cialtronata.
Inoltre, a parte alcune edizioni un po’ scarsette, ha dalla sua una certa spettacolarità e una discreta spendibilità in chiave televisiva, tant’è che le dirette da Piazza Grande su Teletruria e le altre emittenti locali sono sempre piacevoli da vedere.
Poi da un po’ di anni riesce a suscitare un sempre più forte attaccamento della gente, e in questo senso esalta l’aretinità, una caratteristica che per molti verso mal sopporto, ma che esiste. Gli aretini sono contenti, fieri del loro botolismo ringhioso che certo a noi della Chiana non resta troppo simpatico e che spesso non è amico del bon ton. Ma quello sono, botoli ringhiosi, e contenti loro contenti tutti.
Inoltre negli ultimi anni è aumentata a dismisura la partecipazione dei giovani: il Saracino è l’evento dell’anno, specie in un’Arezzo priva di eventi e personaggi di rilievo come quella di quest’anno. Tantissimi giovani indossano il foulard, tifano, sostengono il loro quartiere. Divertimento, tante sbornie alle cene propiziatorie, ma anche valori.
Insomma: il Saracino non mi sembra poi così male. Basta guardarsi in giro (un nome a caso? Cortona…) per trovare ben di peggio, sia dal punto di vista dell’organizzazione che della credibilità della (pseudo) tradizione e (soprattutto) dell’attaccamento e della partecipazione della cittadinanza.