{rokbox title=| :: |}images/veltroni1.jpg{/rokbox}Noto con piacere cinico e pure un po’ macabro che di nuovo la sinistra sta facendo di tutto per perdere. Perdere anche eventuali nuove elezioni, nel caso si facessero davvero, a Marzo dell’anno prossimo. E perdere probabilmente anche le amministrative, che qui da noi a Maggio o Giugno 2011 coinvolgeranno comuni importanti. Due casi topici, tanto per fare esempi concreti.
Partiamo dal locale. Apro il giornale l’altra mattina al bar e rivedo una sfilata di facce note tutti sullo stesso tavolino. Tutti insieme appassionatamente, come era una volta, poi non era stato più. Sono quelli della sinistra che si tende a riassumere da un po’ come ‘radicale’. Adesso si rimettono tutti insieme, dopo le divisioni e gli scannamenti, tutti uniti e contenti così come fu nel (disastroso) cartello elettorale della Sinistra Arcobaleno, anno domini 2008. Da lì l’esplosione in mille pezzi, tutti sempre più piccoli, pezzi che si scontravano l’uno con l’altro rispaccandosi ancora in tanti più piccoli pezzettini. Adesso una riunificazione che quantomeno fa sorridere.
Tale sinistra cosiddetta radicale (i radicali, in realtà, sono un’altra cosa e pur nelle loro tante stranezze hanno perlomeno una tradizione di coerenza) è composta sostanzialmente da due tronconi: i vendoliani e i comunisti. I primi, su scala nazionale, pur essendo un partito sostanzialmente inesistente e del tutto subalterno al PD, con cui governano praticamente ovunque senza dare grosso disturbo, beneficiano del successo mediatico di un leader che sa di nuovo, appunto Vendola. Uno che sta simpatico anche ai fan di Beppe Grillo e a quelli che ascoltano i comizi-messa cantata di Travaglio sul web. Ma evidentemente manca un Vendola ad Arezzo e provincia, e così si sceglie di rimettersi insieme agli altri, i comunisti, che dal canto loro hanno passato due anni a boccheggiare con la falce e il martello in mano e sono ormai alla frutta.
Poi c’è il caso nazionale. L’insopportabile Veltroni. Dopo aver condotto alla deriva il ‘suo’ partito, dopo essere stato il primo a gettarsi in mare quando la barca affondava, dopo aver giurato che sarebbe sparito in Africa, eccolo di nuovo che torna in pista. Con l’aria da salvatore della patria, con l’arroganza di essere l’unico ad aver capito quello che bisogna fare, arroganza mascherata dal solito tono ecumenico che tanta presa ha nell’elettorato del PD e rischia veramente di mettere nuovamente in crisi i precarissimi assetti interni. Però, come al solito, a parte la voce impostata, da grande retore, si capisce solo la critica, non si capisce la proposta. Per carità, non è che Bersani in questi mesi abbia risolto tanti dei guai del PD, ma anche in questo caso sentir pontificare un tizio pluri-sconfitto, padre di un partito dal volto incomprensibile e dall’azione politica suicida fa davvero sorridere. E a forza di sorrisi, coi voti che escono da tutte le parti fra derive forcaiole, democristiani insoddisfatti e astensionismo galoppante, si sa già chi vincerà.