So già di fare, con questo pezzo, decisamente il Bastiancontrario, ma davvero non credo che nel deprecatissimo “comma 29” contro il quale la rete si ribella (compresa wikipedia che per protesta “chiude” le sue voci) ci sia nulla di scandaloso. In sostanza il comma istituisce il diritto di poter chiedere la rettifica a notizie comparse sulla rete, equiparando quindi il web a tutto il resto del mondo della comunicazione. Se qualcuno ritiene, a ragione, che sia stata scritta in una qualche parte del web una cosa falsa ai suoi danni, invece che querelare può educatamente chiedere la rettifica con una mail. Il responsabile del sito è tenuto, entro 48 ore, a pubblicare la rettifica, altrimenti rischia una multa. Dove sta lo scandalo?
Ormai il web è letto e visto quanto Tv e giornali. Le informazioni sono lette da milioni di persone. Ci sono le testate giornalistiche on line, ma ci sono anche i blog e i siti su cui ognuno può scrivere quel che vuole. Imporre il limite che non si possa calunniare nessuno nè si possano scrivere falsità spacciandole per vere mi sembra assolutamente logico.
Ovvio che il comma sia di difficile attuazione, ma questo è un altro discorso che fa i conti col fatto che volontà di regolamentazione e evoluzione della tecnologia e del web vanno inevitabilmente avanti a velocità totalmente diverse e ogni tentativo di imporre regole risulta sempre tardivo e non totalmente adeguato.
Parlare di “bavaglio” non ha però senso. Il bavaglio c’è, ma è per i calunniatori o quelli che, prima di scrivere, non ci pensano due volte e non si rendono conto che tutto quello che viene scritto va pesato, perchè tutti lo leggono. Quindi è un bavaglio giusto perchè non toglie nessuna libertà se non quella di calunniare e scrivere cose false.
Altra cosa sono gli sfottò, altra cosa è la satira, ma certo il comma 29 non va a colpire questi frangenti. E certo non sono fra quelli che danno ragione a Vasco Rossi che se l’è presa con la “Nonciclopedia”…
Ultimamente, inoltre, ha fatto notizia la sentenza della magistratura aretina che ha condannato l’autrice di alcuni commenti ritenuti diffamatori su un sito di informazione locale. Anche in questo caso non sono di quelli che gridano allo scandalo. Se il contenuto era realmente diffamatorio, allora è giusto che l’autrice sia stata multata.
E’ davvero giunta l’ora che il web faccia un passo avanti verso la maturità. E la maturità è che ogni parola scritta stia sotto la responsabilità di chi l’ha scritta e anche chi commenta non possa, sotto il velo dell’identità falsa, sparare tutto quello che gli passa per la testa senza alcuna conseguenza.
Ed è giusto che tutti, ma proprio tutti, debbano adeguarsi.