“la democrazia dà la sensazione di poter scegliere”
G.Vidal
Aldilà dell’effimero successo del PD, del crollo del movimento 5 stelle, della sconfitta leghista nelle roccaforti venete (peraltro tutti elementi non privi di significato e meritori di opportune riflessioni ), il tema principe di questa tornata elettorale è indubbiamente la forte astensione che, nella capitale, ha sfiorato il 50% degli aventi diritto al voto.
“Vince l’astensionismo” è il titolo più gettonato nelle testate nazionali. Politologi di qualunque orientamento politico culturale, nei talk show commentano l’indifferenza dell’elettorato, attribuendola alla crisi della politica, piuttosto che al crollo della fiducia da parte dei cittadini nei confronti delle istituzioni (che poi sono più o meno la stessa cosa), oppure alla delusione – precoce direi – verso quei movimenti che, incarnando il sentimento dell’antipolitica, avevano raccolto grandi successi nella precedente tornata elettorale.
E non mancano, né mancheranno, sagge riflessioni sullo stato di salute della nostra democrazia (che a me pareva non messa bene nemmeno quando a votare ci andava l’80%) e sulla sua tenuta, in un momento di grave crisi non solo economica ma anche politica e istituzionale.
Mi chiedo – un po’ condizionato dal coltivare dubbi semi seri sul suffragio universale – quanto sia corretto ritenere che, mutuando dal primo diritto dei lettori che è quello di non leggere, anche per gli elettori si possa considerare un sacrosanto diritto il non votare. E mi domando quanta maggiore consapevolezza vi sia nell’atto di non andare a votare di quanta – molto spesso – ve ne sia nel suo opposto. Forse dobbiamo farcene una ragione e sapere che il richiamo al dovere non solo può non essere sufficiente, ma addirittura sbagliato. Proprio perché la politica attraversa, soprattutto in Italia, una crisi che riguarda più di una dimensione – forma, contenuto, etica, morale- ci si deve porre l’obiettivo di attrarre l’elettore, fornendo ad esso più di una motivazione e maggiore consapevolezza, affinché decida di esercitare il diritto di voto. In caso contrario è assurdo e sbagliato parlare di democrazia dimezzata. Quel che accade non è imputabile a destino cinico e baro e soprattutto è frutto di scelta consapevole. Chi non va a votare non può non sapere che altri decidono per lui. E quindi, con il suo comportamento – per quanto mi riguarda criticabile ma rispettabile – legittima qualsiasi decisione, fosse pure presa fra pochi intimi. Che il sindaco di Roma sia eletto dal 20% degli elettori piuttosto che dal 60 non è faccenda che deve scomodare dubbi sulla rappresentatività dell’eletto, bensì questione che riguarda i cittadini, siano essi votanti o astenuti. Facciamocene una ragione in attesa di tempi migliori.