”Quando la leggenda diventa realtà si stampi la leggenda”
John Ford
Troppo gustosa la notizia per chi è sensibile al fascino delle storie che stanno in equilibrio sottile fra realtà e mito. Mi riferisco a quella apparsa su siti e quotidiani, relativa al concorrente di quiz giapponese che, vittima di una domanda tranello, ha risposto che i mondiali di calcio del “42 (mai esistiti?) si svolsero in Patagonia. E si che lui ne era convinto, tanto da arrivare ad incatenarsi, chiedendo solidarietà al mondo intero. Che qualcuno lo aiutasse insomma a testimoniare che quel mondiale si era davvero disputato. E l’aiuto, insperato forse anche da lui, è arrivato. È spuntato un video dell’epoca in cui si vedono giocatori che si allenano e cerimonie di inaugurazione, nonché testimonianze di indigeni che giurano che quel mondiale si giocò davvero (e che lo vinsero loro).
Di certo in questa storia c’è che del mondiale in Patagonia ha mirabilmente scritto Osvaldo Soriano, grande appassionato di calcio (e lui stesso calciatore, centravanti per la precisione) ma soprattutto inventore di storie senza uguali.
A quelle storie si è quasi portati a voler credere, per quanto esse, assurde ai limiti dell’impossibile, si muovono nel confine fra realtà e finzione. Parlano di arbitri che sparano colpi in aria invece di fischiare, di portieri che ipnotizzano gli avversari, di un calcio di rigore interminabile, per il quale il portiere Gato Diaz oltre l’imbattibilità perde l’amore della sua donna. O narrate attraverso personaggi straordinari, come il mister Peregrino Fernandez, che allo stesso Soriano, che lo intervista mentre trascorre i suoi ultimi giorni in una triste residenza per anziani, dice “torna domani e portami un gelato. Se mi porti il gelato ti racconto la storia del portiere senza mani”.
Sarà che di questi tempi la realtà del calcio non offre spunti particolarmente esaltanti o che la cronaca sportiva è raramente in grado di esaltarci con narrazioni iperboliche che in altri tempi hanno alimentato miti e leggende nello sport, sarà per tutto questo, forse, che a noi queste storie surreali (o ad arte inventate) piacciono da morire. E non solo a noi se è vero, come è vero, che sulla leggenda del Mundial in Patagonia si è realizzato un film che esce nelle sale in questi giorni e che prova a raccontare il non vero, il leggendario, anche avvalendosi delle storie di Soriano. In fondo diventato lui stesso una leggenda, dal momento che gli si attribuiscono narrazioni nelle quali non c’entra nulla. Come quella di Carlovich detto “el Trinche”. Una bella storia. Vi invito ad andare a cercarla nelle pieghe di internet per saperne di più, mentre provo a raccontarla in breve. Ad una trasmissione televisiva, a Fillol, ex portiere della nazionale Argentina (quella del 78), viene chiesto di indicare la selecion ideale, la migliore nazionale di tutti i tempi. Lui attacca con se stesso ovviamente e poi – guarda un po’ – Tarantini, Olguin, Ardiles…al momento del libero, invece di Passarella inserisce Carlovich. Panico: Chi è costui? “Il più grande calciatore che abbia mai visto” come disse di lui Josè Pekerman ex ct della nazionale Argentina (nonché discendente dell’attore Gregory Peck, tanto per restare nel mito). Un calciatore come pochi, secondo Luis Cesar Menotti. Persino Maradona, intervistato su chi fosse il più grande calciatore al mondo disse “dovrei essere io ma mi dicono c’è un certo Carlovich” aggiungendo “dov’è che lo dribblo..”
Narra la leggenda che proprio Menotti lo vide in una amichevole fra la squadra del Rosario, in cui Carlovich militava, e la sua nazionale. In quell’occasione ovviamente el Trinche segnò un goal, manco a dirlo in rovesciata. Menotti si segnò il nome e decise di convocarlo per una partita della nazionale B, un test per scegliere chi portare al mondiale, quello che poi l’Argentina vinse. L’occasione della vita direte voi. Alla quale però El Trinche non si presentò. Già, perché a lui piaceva pescare e nel viaggio si portò, insieme alla valigia, una canna da pesca. C’era un laghetto nel tragitto e gettò la lenza.
Pare che ancora oggi per chi gli chiede come fece a perdere la grande occasione El Trinche abbia un’unica risposta: “abboccavano”.
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