”..solo un pensiero approssimativo è generatore di realtà..”
Camus
Fra i vari insegnamenti che questa crisi devastante e che appare interminabile ci sta consegnando vi è probabilmente quello di diffidare di dogmi e stereotipi, di rifuggire da frasi fatte e luoghi comuni e persino di guardare, non tanto con sospetto, ma magari con un pizzico di indifferenza alla oggettività di dati e valutazioni che vengono espresse da istituti di statistica o agenzie di rating.
Le categorie sopra citate in genere danno luogo a teorie e ricette che si basano su rigide contrapposizioni. I fautori del rigore assoluto contro quelli della crescita, chi sostiene che la causa di ogni male è la deregulation finanziaria contro coloro che vedono nella spesa pubblica l’origine della disfatta. Lasciamo perdere lo spread che ormai tutti abbiamo imparato a conoscere, che dire delle valutazioni delle agenzie di rating, che sembrano essere una sorta di vangelo. E così scatta il panico quando le stesse agenzie tolgono una A al debito sovrano del paese e tutti a fare i conti su quanto ci costerà questo declassamento e avanti a ipotizzare nuove manovre e nuove tasse. Ma le agenzie che ci giudicano così severamente, sono le stesse che hanno allegramente (si fa per dire, visti i risultati) valutato in maniera positiva quella marea di titoli – successivamente definiti spazzatura- che hanno causato la più grande crisi finanziaria dopo quella del ’29.
Triple A a gogò per i titoli cosiddetti derivati, per quelli che hanno gonfiato a dismisura il debito di paesi come l’Islanda con conseguenze catastrofiche per l’intera economia mondiale. Quanto ai dati, un uomo che ne sapeva di economia – e non solo- qual era Federico Caffè, sosteneva che basandoci solo su di essi “si corre il rischio di produrre una programmazione e una pianificazione sterile rispetto alla complessità dei comportamenti umani”.
È della capacità di leggere la realtà con occhi non deformati e con lo sguardo lungimirante e non condizionato da stereotipi e pregiudizi ciò di cui avremmo bisogno. Qualcosa che sia in grado, meglio della sterile nudità dei dati numerici, di capire e interpretare la condizione reale delle persone, delle imprese, della società e soprattutto di valutarne le potenzialità insieme al grado di difficoltà in cui siamo precipitati. Per dirla in breve – e forse un po’ banale e non nuova – serve la politica, la buona politica. Quella che non si vergogna di ascoltare per meglio capire, che non rifugge la complessità anzi prova ad interpretarla, che non nega l’espressione di punti di vista diversi, sforzandosi di comprenderne le ragioni.
Se non è questo che si mette in campo le scelte che ci attendono le possiamo facilmente indovinare.
Risponderanno ai desideri di chi ha più voce e maggiori poteri. O si orienteranno prevalentemente a soddisfare una bieca demagogia populista o qualche interesse di bottega, qualunque esso sia.
Ma non produrranno una visione nuova dello sviluppo, che sappia guardare oltre, al futuro e, soprattutto, al bene comune.
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