Voglio ringraziare gli organizzatori del “Simmetrie“, il Festival che in questi giorni ad Arezzo ha cercato di riempire un vuoto biblico: l’assenza prolungata, in una città che è capoluogo di provincia, di una manifestazione di richiamo nel campo dello spettacolo e dell’arte. Mi ha fatto piacere dare il mio minuscolo contributo, conducendo nel pomeriggio di domenica un incontro sotto le Logge Vasariane di Piazza Grande con due cantautori: Paolo Benvegnù e Luigi Grechi, che da qualche anno è tornato a farsi chiamare col suo vero cognome: De Gregori. Per chi non lo sapesse trattasi del fratello maggiore di Francesco
Per onestà ammetto che, appena mi è stato proposto di condurre questa intervista pubblica, ho tremato di paura di fronte al tema del dibattito: la musica d’autore… che come i miei più affezionati lettori sapranno è un campo da cui per gusto personale ho sempre teso a tenermi distante
E invece alcuni giorni di studio matto e disperatissimo, con annessa full immersion nel mondo dei due artisti per arrivare preparato all’appuntamento, mi hanno ammorbidito tante ferree convinzioni e, soprattutto, ridato speranza
Speranza perchè ero di fronte a due persone che hanno costruito grandi cose restando sempre fedeli a sè stessi: nonostante l’Italia, nonostante l’industria discografica, nonostante la musica commerciale, nonostante i direttori artistici
Benvegnù, che ha vissuto l’onda musicale italiana anni ’90 con gli Scisma (una delle tante ottime band italiane che mi fa fieramente rimarcare di essere stato giovane in quel decennio) è poi approdato nella sua carriera solista verso un cantautorato originalissimo, profondo, intenso, che per sua genesi si impone il rifiuto totale del banale e della soluzione semplice. Una carriera ricca di bei dischi (l’ultimo è Earth Hotel), tanto da meritarsi un Premio Ciampi, l’appellativo di ‘miglior autore italiano‘, una canzone interpretata da Mina e molte altre soddisfazioni. Mi ha colpito per l’ironia, la mentalità aperta, il coraggio che dimostra anche quando parla. Davvero un grande
Il coraggio e la coerenza sono gli elementi che più mi hanno colpito di Luigi De Gregori Grechi. La sua passione è il folk e ad esso ha dedicato la vita: un’esistenza fatta di viaggi, di rifiuto delle convenzioni, di fuga dai compromessi, alla ricerca di storie da raccontare con giri armonici semplici. Storie bellissime come quella de Il Bandito e il Campione, che ha vinto il premio Tenco e che secondo un discografico dell’epoca era una canzone “di cui non sarebbe fregato niente a nessuno“. Di 7 anni più grande di Francesco visse dall’interno l’epopea del Folkstudio (il mitico locale trasteverino che sta al cantautorato italiano come il Cavern sta al ‘beat‘ inglese) e fu proprio lui a buttare il fratello, giovanissimo, su quel palco che gli diede le prime fortune. Poi dieci anni da bibliotecario a Milano non gli impedirono di accompagnare spesso Francesco nelle sue tournèe (c’era anche lui al Palalido nel 1976, nella serata del “processo proletario” di cui ci ha fornito il suo racconto facendoci depennare le molte fonti contraddittorie lette via via negli anni) producendo dischi come “Accusato di libertà” che, risentito adesso, è quanto mai attuale e moderno.
Di storie meravigliose ne abbiamo sentita qualcuna, sarebbe stato bello sentirne tante altre. Un peccato che questo incontro sia potuto durare solo un’oretta
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