Sul periodico Cortonese, tempo fa, è apparso un trafiletto in cui la figlia Silvia invitava gli amici della mamma al Ristorante Tonino per l’ultimo saluto alla dott.ssa Aurelia Ghezzi, scomparsa di recente a Boston. Figura familiare nella città toscana dagli anni Settanta al Duemila, come vice direttrice degli Studies Abroad Program, dei quali era stata cofondatrice per conto della University of Georgia di Athens. Insieme a John Keoe, artista e direttore dei corsi in Italia, di cui Aurelia era braccio destro e anche sinistro, erano considerati amici più che rappresentanti di una istituzione, nella cittadina in cui tutti ci si conosce e ci si tratta confidenzialmente. Affettuosità che i due avevano piacevolmente assimilato da nuovi residenti, avendovi acquistato ciascuno una casa per sé e le rispettive famiglie, segno evidente di trovarsi egregiamente. Così ben inseriti da vivere la loro vita, liberi da impegni di lavoro, tra la gente comune. Di Aurelia e del marito Bob, gli abitanti del quartiere che gravitano su porta Colonia ricordano accese e divertenti gare a bocce, che Aurelia vinceva sistematicamente, a dispetto del fatto che Bob, essendo libero dal lavoro, trascorreva molte ore del giorno allenandosi, giocando con altri sfaccendati.
Dal nulla, con difficoltà logistiche enormi, Aurelia e John (Jack per gli amici) realizzarono con successo corsi universitari per centinaia di studenti americani, necessitando di tutto: dalle aule ai laboratori, come quelli per la fusione del bronzo e la produzione artigianale della carta, per i quali si erano arrangiati, agli inizi, nei fondi e nel cortile esterno del complesso di Sant’Agostino.
Ad Aurelia non sfuggiva alcun dettaglio, curando tutto di persona. Qualsiasi cosa mancasse Lei lo approvvigionava, appoggiandosi a fornitori locali od ovunque reperibili, chiedendo, s’era il caso, aiuto al Comune e all’Azienda di Soggiorno. Adsit iniuria verbis, Aurelia era la “trottolina” risolutrice, non solo attaccandosi al telefono, ma scalpicciando per i lastricati cittadini, in saliscendi impegnativi. Difficilmente, nonostante le fatiche, perdeva calma e sorriso. Sorriso abbozzato, sul volto all’apparenza austero, ma convinto, sgorgando dal profondo di una natura positiva e gioviale. Non mi ha meravigliato che nel suo necrologio sono riportate le parole di Henry Scott-Holland: “La morte non conta. E’ la vita che abbiamo vissuto insieme con affetto che rimane, intoccabile, immutabile. Qualunque cosa eravamo uno per l’altro, lo saremo ancora…Ridiamo come abbiamo sempre riso…Divertiti, sorridi, pensa a me. Lascia che il mio nome sia sempre quella parola famigliare che è stata. Parla di me senza l’ombra del rimpianto… perché dovresti dimenticarmi solo perché non mi vedi? Va tutto bene”. Parole straordinarie in un testamento. Di una persona colta, e affettuosa verso chiunque l’ha incontrata. E che ha voluto che la figlia Silvia riportasse le sue ceneri a Cortona, dove chiaramente ha molto sorriso e lasciato tanta simpatia. Di cui ho anche ricordi personali. Come quando una decina di anni fa, scomparso un grande amico comune, Vittorio Scarabicchi, mi arrivò una e-mail commossa di Aurelia da Boston. Allora scoprii la forza dei ricordi di quanti sono scomparsi, e la dolce-amara nostalgia di condividere certi sentimenti, che in quel momento avevo messo nero su bianco, da oscuro Pereira di provincia. (Personaggio di Antonio Tabucchi, nel romanzo Sostiene Pereira, era un giornalista incaricato di scrivere necrologi, che, si badi bene, non è il mio pane anche se ne frequento ogni tanto la materia). Tra i cortonesi più bazzicati da Aurelia per lavoro, con cui aveva intessuto legami intimi, era stato senz’altro Vittorio.
Originaria di Milano, bibliotecaria al Museo della Scienza, Aurelia emigrò giovane in USA per insegnare Letteratura Comparata, prima di intraprendere l’avventura transatlantica di far conoscere agli studenti di Athens una piccola ma significativa Città nel Vecchio Mondo. A proposito del suo insegnamento, Letteratura Comparata, volli chiederle se conosceva lo scrittore Jack Kerouac, come suo giovanile estimatore. La risposta fu negativa. Per quanto, invece, io pensai Aurelia molto vicina allo spirito di quell’artista avendo scelto Bob come ultimo compagno di vita. Allegro, elegante, sempre pronto alla gozzoviglia o alla partita a bocce, il tempo per lui non era più denaro ma attimi in cui godersi la vita. Anche se aveva limiti linguistici nell’apprendere l’italiano, era di comunicativa facile e immediata così come legava facile in comitive goduriose. Una sera di quelle in cui tutti avevamo dato dentro a bere forte, Bob uscì con un’espressione che più cortonese non si può: “Ragazzi, so’ mézzo!” Era giunto il momento di stoppare le bevute per tornare a casa in piedi!
Nell’elogio funebre, Silvia (avvocato e dirigente aziendale nel ramo delle Risorse Umane, quelli che “tagliano le teste”, funzione che, però, Silvia ha detto sorridendo lascia svolgere ad altri) ha scritto: “Una fantastica mamma, nonna, zia, sorella e amica, mia madre, Aurelia, ha dato alla nostra famiglia una vita di amore, di serenità, di conoscenza ed esperienze”. Ed ha aggiunto: “La vita di mia madre è passata attraverso momenti di felicità e di difficoltà, di successi e di delusioni, ma lei si è sempre dimostrata una persona amorevole, forte e determinata”. Penso che tra le sue “delusioni” sia ascrivibile quella di essere stata protagonista alla pari del Prof. Keoe “Direttore”, ma di aver ricevuto minori riconoscimenti, in quanto “Vice-direttore”, per quel che oggi è il risultato anche del suo lavoro: la fondazione del campus universitario permanente della Università della Georgia, nei locali della ex Casa di Riposo Camilla Sernini e nell’ex istituto scolastico di Via delle Santucce, già Fondazione Cinaglia. E’ il destino dei numeri due, dove solo al numero uno vanno tutti i meriti. Tuttavia, non è retorica, resta di Aurelia la straordinaria stima in chi l’ha conosciuta anche per gli esiti pregevoli duraturi del suo lavoro a Cortona.
www.ferrucciofabilli.it