Giudicatemi pure una cinica, ma ogni volta che sento qualcuno che tutto sognante annuncia il suo imminente matrimonio non posso evitare di pensare “E ora finisce la favola…“. Pensateci… vi risulta per caso che qualche novelliere ci abbia raccontato qualche storia d’amore in cui tutto sia poetico e meraviglioso dal giorno successivo al matrimonio in poi? Qualcuno ha saputo per certo che le varie Biancaneve, Cenerentola ecc… non siano state disilluse dall’ amore con il loro Principe, una volta ‘ufficializzato’?
E purtroppo anche il matrimonio dei genitori di Collodi, se pur iniziato in modo alquanto romantico (almeno così sembrerebbe dal racconto che ce ne ha fatto il nipote Paolo alias – Collodi Nipote) non fu tutto rose e fiori.
Già vi avevo raccontato che il nostro concittadino Domenico (padre di Carlo “Collodi”) era stato assunto dal maggio 1825, con uno stipendio mensile 70 lire, dai Marchese Ginori a Firenze come Cuoco, mentre la futura moglie Angela Orzali lavorava come sarta-cameriera della Marchesa Marianna Garzoni Venturi. Sentiamo allora come il nostro Collodi Nipote ci racconta la storia del loro incontro
“L’Angelina , dopo aver fatto le prime scuole, fu adibita alla direzione della casa, e si dedicò con molta passione ai lavori di taglio e cucito. Genialissima e di gran buon gusto, imparò a lavorare di sarta così bene che la marchesa Garzoni, presso la quale sovente si tratteneva insieme al padre, la incaricò di farle vestiti di gala e di gran pregio, rimanendo talmente soddisfatta di fare elogio di lei anche con le sue nobili amiche, tra le quali aveva carissima la Marchesa Ginori.
Era uso dei grandi signori dell’Ottocento di portarsi dietro, quando lasciavano i loro palazzi, per una villeggiatura, non soltanto i bagagli, ma anche tutta la servitù, e specialmente il cuoco quando lo sapevano di tal bravura da rendere i loro inviti a pranzo graditissimi e desiderati. Un “chef de cuisine” era una vera personalità, e i signori di quel tempo se lo contendevano, come oggi si contendono un cavallo corridore o un cane di lusso!
Ora avvenne che, probabilmente tra il 1824 e il 1825, i marchesi Garzoni invitarono i Ginori a trascorrere qualche tempo nella loro splendida villa di Collodi. L’invito dovette riuscire o , specialmente alla marchesa Marianna Ginori che aveva gran desiderio di conoscere la sarta che vestiva così bene la sua amica. Con gli equipaggi dei Ginori partì per Collodi anche la servitù, tra la quale era compreso il cuoco Domenico Lorenzini. Con ospiti di tanto riguardo alla villa è facile immaginare che la marchesa Garzoni desiderasse avere costantemente presso di sé, l’Angiolina, figlia del suo fattore, e come questa ben si prestasse ai desideri della signora.
Nelle ore dei pasti, nel grande tinello presso la cucina, dove si riunivano le persone di servizio dell’una e dell’altra casata l’Angiolina e il cuoco Domenico si incontrarono e si conobbero. Lei aveva circa ventiquattro anni e doveva essere molto bella, perché era bellissima anche da vecchia, e le fotografie che ce ne restano ne fanno testimonianza. Non troppo alta di statura, ma di bel personale, di portammento spigliato e cortesissimo. Aveva bei capelli neri ondulati, occhi meravigliosi sotto marcatissime sopracciglia, viso pinotto e una bocca sempre sorridente.
Domenico aveva cinque anni più di lei e doveva essere un bell’uomo, con occhi celesti e sbarazzini. Fatto sta che i i due si piacquero, si amarono e col consenso dei rispettivi padroni, e col loro amorevolissimo aiuto, si sposarono.“
Non sappiamo se l’incontro avvenne proprio in questo modo, sappiamo però che i due dipendenti dovevano essere veramente amati e stimati dai loro datori di lavoro ed infatti il loro primogenito Carlo fu tenuto a Battesimo dalla Marchesa Marianna, il secondogenito, Paolo, ebbe come padrino il Marchese Paolo Garzoni Venturi, mentre gli studi di entrambi i ragazzi furono finanziati dal Marchese Ginori.marito della Marchesa Marianna.
E qui finì la poesia e iniziò la prosa…
Nonostante queste illustri protezioni, infatti, la vita familiare dei Lorenzini non fu per niente facile.
I due andarono ad abitare a Firenze in una casetta Via Taddea, forse al n. 21, angusta stradina del centro vicino al Palazzo dei Marchesi Ginori, dove i Marchesi stessi avevano le scuderie e dove viveva buona parte del loro personale di servizio, cocchieri servitori ecc..
Nel giro di pochi anni Domenico e Angiolina ebbero ben dieci figli! Cosa che succedeva spesso nelle famiglie dell’epoca. Altrettanto spesso succedeva però che tali famiglie fossero martoriate da continui dolorosissimi lutti per la morte a catena dei loro bimbi. Le condizioni economiche, che erano già modeste, con l’aumento vertiginoso del numero di figli diventavano addirittura miserabili. Ad ogni nuova nascita le case, già piccole, diventavano invivibili e le condizioni igieniche divenivano pessime. Qualsiasi malattia in queste condizioni diventava un’epidemia che falcidiava i piccolini.
E infatti nonostante Angiolina si fosse allontanata più volte e ogni volta per diversi mesi da Firenze e da Domenico per cercare scampo a tale tragica situazione tornando a vivere nella casa paterna a Collodi, già nel 1841 la famiglia Lorenzini, che a quel momento si era da poco riunita di nuovo a Firenze in Via Taddea, era già stata provata dalla morte di quattro figli. Possiamo vedere come era composta alla data dell’11 Aprile, giorno di riferimento del Censimento della Popolazione effettuato appunto in quell’anno
Come abbiamo visto dei nove figli nati fino a questo momento a Domenico e Angiolina, solo 5 sono in vita nel 1841. E non finì qui, perché nel 1842 nacque Ippolito (il nostro Ippolito Cortona) ma nel corso del tempo morirono Giuseppina e Lorenzo.
Dei dieci figli ne diventarono adulti solo 4 : Carlo, Maria Adele, Paolo e Ippolito
Nel 1844 poi i due coniugi si separarono di nuovo perché questa volta fu Domenico ad allontanarsi per motivi di salute. Venne a Cortona, ospite del fratello, per rimettersi. L’ espediene non dette i risultati sperati e il 27 settembre 1848 Domenico morì.
E così la storia d’amore che era sembrata promettere una vita piacevole si consumò in un infinita serie di difficoltà.