(Traccia della relazione al Convegno “Arezzo e la Toscana nell’Italia Repubblicana – 1946-1990)
Di Ferruccio Fabilli
L’agricoltura aretina dal dopoguerra agli anni Sessanta
La superficie agraria. L’ISTAT ripartiva la provincia in cinque zone montane (Alta Valdichiana, Val Tiberina Superiore, Alto Valdarno Aretino, Chianti Aretino) in spopolamento, per suoli poco produttivi, viabilità carente, distanze dai centri abitati, povertà di scelte economiche. L’agricoltura montana aveva piccole zone a coltura promiscua di vite, olivo e seminativo arborato. Nei territori collinari di origini alluvionali (Piano-colle del Valdarno Aretino, Piano-colle della Valdichiana, Bassa Valtiberina Aretina), seminativi nudi e arborati in basso, arborati nelle parti elevate.
Struttura delle aziende agricole. Nel ’61, in Toscana prevale la conduzione diretta: 136.689 aziende con superficie media di 4,38 ha.; i coltivatori diretti aretini sono 13.412, con superficie media di 5,59 ha.; nel ‘67, tali aziende salgono, poco, a 13.453 unità, la superficie media a 6,39 ha. e la loro percentuale passa dal 46% al 53%, a fronte di un calo provinciale di aziende (-14,9%). Indicativo il dato sulle aziende mezzadrili: 12.150 nel ‘61, 8.117 nel ‘67, (-33%); dato in evoluzione fin quasi alla dissoluzione mezzadrile, seguita al divieto del ’65 a stipulare nuovi patti. La conduzione diretta, con salariati e/o compartecipanti, occupa gran parte del territorio (111.667 ha.) pari al 39,1% della superficie agraria; la cui superficie media aziendale sale a 33,86 ha., nel ’67.
Il patrimonio zootecnico. Nella stima del livello tecnico agricolo è rilevante la consistenza della zootecnia: molto variabile. Al decremento dei bovini, per la polverizzazione aziendale e la loro sostituzione con forza meccanica, dal ‘66 segue l’incremento della Chianina, razza selezionata dagli anni Trenta (Kovacevich 2004). I suini, in montagne e valli, aumentano in stalle intensive col favore di mercati stabili e redditizi. Gli ovini, dal ‘51 al ‘61, dimezzano, tornando a crescere dal ‘66 con l’immigrazione di pastori sardi. Il calo ovino è legato all’esodo montano, specie in Valdichiana e Casentino, dove costituiva risorsa rilevante. Per gli equini, aumentano i capi da macello.
La produzione agricola. Le coltivazioni si svolgono da 150 a 900 metri s. l. m., con varie produzioni. Salendo, traviamo vite, olivo, castagno e pascoli. Più in alto, pinete e abetaie. Fruttiferi poco diffusi (2% della superficie agraria), nonostante favorevoli condizioni ambientali; conclusione analoga per colture industriali, foraggere e ortaggi. La vite, in meno dell’1% della superficie agraria, raggiunge buoni livelli quali-quantitativi, superando il 28% della produzione vendibile agricola, nel ’67; positivo anche l’olivo che incide sulla produzione vendibile per l’8%. Produzioni collinari, in parte meccanizzate e specializzate. Cereali stazionari, salvo grano e avena dai discreti incrementi, anche se il loro peso complessivo sul valore della produzione vendibile è calato.
La modernizzazione dell’agricoltura Aretina (1950-’80)
La svolta nelle campagne, dal Piano Verde I e II . (Fabiani 2015, pp.179 e segg.) Nel trentennio post-bellico, tra i più convulsi nelle campagne Aretine, incrociarono fenomeni eclatanti: l’esodo massiccio; aspri conflitti tra proprietari e mezzadri e una lunga crisi mezzadrile (Fabilli 1992); e l’integrazione agricola con il mercato economico europeo. Anche l’Aretino entrò nella “modernizzazione”, o “pacifica rivoluzione agricola” detta da Alessandro Susini, Ispettore Provinciale dell’Agricoltura, stilando un bilancio: Un decennio di realizzazioni per il rinnovamento dell’Agricoltura Aretina (dal ’61 al ’71). Iconico racconto del passaggio dell’agricoltura aretina dall’autarchia, eredità fascista (Fabiani 2015, pp. 131 e segg.), al mercato globale, sotto un’imponente spinta finanziaria, col ruolo centrale dell’Ispettorato Agrario. Grazie a leggi straordinarie: la 454/1961 e la 910/1966 (Piano Verde I e II), e norme collegate, in quel decennio la produttività agricola aretina raddoppiò.
Investimenti a fondo perduto e in conto capitale nei miglioramenti fondiari. Susini elenca gli investimenti nei miglioramenti fondiari, partendo dalle condizioni disastrose delle case (fatiscenti, prive di elettricità, acqua e gabinetto); dalla quasi assente meccanizzazione; dall’uso irrisorio di antiparassitari e concimi chimici; da carenze di strade vicinali e poderali; dai bassi redditi nel settore.
La casa rurale. Argomento vitale e controverso, nell’applicare la legge si creavano discussioni con gli utenti. Delle circa 30.000 abitazioni rurali in provincia le più erano di vecchia costruzione, e motivo d’esodo; le malsane case ponevano il dilemma se suggerire restauri o, dati i costi eccessivi, nuove costruzioni. Finanziate, nel decennio, 329 nuove case per 1.709 vani; ampliate e ristrutturate 1.155 per 4.530 vani; Ammesse a contributo per L. 2.511.410.000, concesse L. 1.250.704.000. Ristrutturazione arborea. Prevalendo le colture promiscue della vite, su 65.000 ettari, l’apice produttivo era avvenuto dopo la prima guerra mondiale, con punte di un milione di quintali di vino, ma era andato scadendo per vetustà e obsolescenza degli impianti. Con l’unico seguito di reimpianti, su 300 ettari di promiscuo, grazie ai finanziamenti ( D.L.P. 31/1946) a favore della manodopera disoccupata. Dal ‘60, si era scesi a 400.000 quintali di vino. … La viticoltura si poneva nuovi obiettivi delimitando la zona DOC Chianti (D.P.R. 930/1963) e in attesa per la DOC Bianco Vergine della Valdichiana. Dati gli incentivi, a margine delle aree DOC sorsero tre cantine sociali (S. Giovanni Valdarno, Arezzo, Cortona) a favore dei cicli produttivi e del commercio dei vini.
Azione del credito agevolato nei miglioramenti fondiari. Il Piano Verde I e II prevedono massicci crediti a lungo termine (30 anni) e a tasso agevolato (2-3%) per migliorie nei fondi rurali. (Su100 lire mutuate il coltivatore pagava annualmente meno di 5 lire, comprensive di restituzione del capitale e interessi). Così invitanti che, nel decennio, l’Ispettorato Agrario ricevette 2.500 richieste.
Proprietà contadina, cruciale per superare il conflitto tra mezzadri e proprietari sui patti agrari: chi voleva l’abolizione dei patti, chi l’espropriazione delle terre a favore dei contadini, fino a concludersi nella proibizione della stipula di nuovi patti. Nel frattempo, la D C – forza di governo, erede del Partito Popolare – adottò una strategia politica, istituzionale, sindacale, tesa a occupare i maggiori spazi afferenti il mondo agricolo (Federconsorzi, Enti di Bonifica, Banche rurali, cooperative, ecc.), ed egemonizzare l’attività sindacale con la Coldiretti dedita a incrementare la proprietà contadina e le dimensioni poderali (Consonni, Della Peruta, Ghisio, 1980).
Consistenza del parco macchine provinciale. Nel decennio, furono acquistate macchine motrici e operatrici per L.12.621.000.000. Trattori: 1.431 nel ‘61 e 4.758 nel ‘70, aumentati oltre il 300%; gli HP dei trattori nel ‘61 erano 51.250, 197.788 nel ’70, cresciuti del 385%, preferendo trattori di maggiore potenza.
Zootecnia. La riorganizzazione degli allevamenti bovini, suini e ovini, era orientata anch’essa a raggiungere standard europei, pur nel quadro provinciale di crisi produttiva, per l’esodo mezzadrile e per costi non rimunerativi del lavoro, specie sui bovini. L’Associazione Provinciale Allevatori (APA) si affiancò all’Ispettorato Agrario per migliorare razze, e promuoverne il commercio con gare a premi, fiere, mercati. Il Piano Verde I e II, entro il ‘71, avevano consentito erogazioni in conto capitale – in misura variabile tra il 25 e il 50% – per L. 476.515.000, destinate all’acquisto di: Chianine selezionate 71; bovine da latte (parte d’importazione svizzera) 76; scrofe selezionate 597; verri selezionati 129; tori Chianini selezionati 74; tori selezionati da latte 9; pecore selezionate 1.969; arieti selezionati 23; animali di bassa corte 1.000.
Corsi di istruzione femminili. Per trattenere le famiglie in agricoltura, l’“Economia domestica rurale” era finalizzata al guadagno da orti e pollai gestiti con tecniche innovative; a cui erano aggiunte nozioni di puericultura, tenuta della casa, arte culinaria, conservazione di prodotti orticoli, ecc.. Tra gli effetti positivi dei corsi sull’economia aretina, per Susini, era stata la crescita della coniglicoltura a soddisfare maggiori richieste alimentari, e pelli ai cappellifici.
L’agricoltura aretina, applicando i Piano Verde I e II, si accodava agli standard europei. A partire dalla costruzione e riattamento di case rurali per 1.836 famiglie, tra il ‘62 e il ‘71, interventi riparatori di ingiustizie ataviche e l’avvio drastico della riduzione di unità lavorative, stabilizzate negli anni Ottanta a percentuali a una cifra, dal 70% di occupati agricoli nel secondo dopoguerra.
L’agricoltura aretina negli anni Novanta
L’Europa e la modernizzazione dell’agricoltura. Dal ’67, la politica agraria europea è basata su tre principi: unità del mercato, preferenza comunitaria, solidarietà finanziaria. Nasce il Feoga (Fondo europeo di orientamento strutturale e garanzia prezzi) in aggiunta ai fondi dei due Piano Verde, a cui seguirà la legge Quadrifoglio. In sostanza, nel tempo, saranno perseguiti gli stessi obiettivi salvo variare l’intensità dei flussi su questa o quella categoria di incentivi, annuali e periodici, a favore di proprietà, colture, impianti, … fino al raggiungimento degli obiettivi prefissati, entro la capienza degli stanziamenti. Favoriti il riposo dei terreni per il controllo di produzioni e prezzi, i rinnovi di impianti fruttiferi,…. In definitiva, i fondi europei e nazionali hanno reso competitivo anche il sistema agricolo italiano sul mercato mondiale attraverso le Pac, strumento di modernizzazione dell’agricoltura europea (Fabiani 2015, pp. 258 e segg.).
Nuovi assetti socio-economici nelle campagne aretine. P. Faralli, della Camera di Commercio, commentando il 5° Censimento dell’Agricoltura del 2000, conferma il legame tra settore primario e territorio aretino: 22.890 aziende agricole pari al 16% del totale regionale, registrano l’unico caso in Toscana di incremento rispetto al ‘90. 21.055 aziende a conduzione diretta con manodopera familiare, 888 con manodopera familiare prevalente, e 292 con manodopera extrafamiliare prevalente, fanno 22.232 coltivatori diretti, contro i 13.412 del ‘60. In totale, le aziende erano 29.158, nel ’60, a esodo mezzadrile avanzato. Il peso aretino resta rilevante in termini di superficie, col 14,8% sul dato toscano, anche se, in questo caso, in confronto al ’90 presenta una flessione pronunciata (-11,2%) rispetto al dato regionale (-8,4%).
Il grosso della struttura produttiva locale si sviluppa nelle fasce dimensionali intermedie (superiori ai 5 ettari). Dato interessante, per l’Aretino, rivelando il buon potenziale nella ricerca di redditività aziendale con colture specialistiche, agriturismi, fattorie educative, zootecnia,… E’ frequente che l’agricoltura sia una tra le attività familiari, come rimarchevole è la presenza di pensionati tornati ai campi dopo aver svolti altri lavori. Prati e pascoli, in parallelo all’andamento critico degli allevamenti zootecnici, sono diminuiti dell’11,5% sul ’90; nel ’70 coprivano 24.616,79 ha. contro i 5.892,6 del 2000. Seminativi e colture legnose mostrano miglior andamento. Calo di aziende e superfici a cereali, il frumento tiene sul ‘90, con 18.799,4 ha., contro i 30.954,29 del ’70; essendo scemati gli incentivi Pac, allorché le aziende seguivano alle semine i flussi contributivi. Mentre i pastori sardi risollevarono gli ovini negli anni Sessanta, nelle ultime generazioni l’interesse sta calando molto.
L’agricoltura aretina presidio nella tutela ambientale. Trasformazioni radicali hanno inciso sulla salute ambientale, per cause chimiche e meccaniche, entrate in forza, a fine millennio, nelle aziende agricole di tutto il mondo, sulla falsariga statunitense, da dove sono giunte gran parte delle novità, dopo la seconda guerra mondiale (Fabiani 2015, pp. 161 e segg.). L’impatto tecnologico – sugli agricoltori incentivati da inusitate agevolazioni finanziarie – ha travolto assetti ambientali in equilibrio. La meccanica ha consentito trasformazioni paesistiche dei fondovalle e anche di mezzacosta: in ampie brulle quadrature. La chimica ha ridotto l’uso del letame e bottino – concimi principali del passato insieme al sovescio e all’alternanza di colture. La chimica ha consentito l’abbattimento di erbe infestanti, incrementando produzioni per ettaro, ma ha inquinato falde freatiche, ambienti, persone e animali incidendo sulla loro salute. Agli esordi della chimica, l’uso trascurato di protezioni tra gli operatori e dosaggi inappropriati, ebbero conseguenze devastanti, persino mortali. Da inquinamento chimico, sottovalutato e monitorato a fine anni Sessanta, furono riconosciute nuove malattie professionali in agricoltura, riduzioni di selvaggina, mortalità ingravescente negli agricoltori, polluzione idrica e alimentare. A cui si aggiunsero i liquami suini, versati in acque di falda e superficiali, degradando, pei fetori, la qualità della vita in prossimità degli allevamenti. Altro degrado era dovuto all’abbandono di migliaia di abitazioni rurali, comprese le eleganti fattorie leopoldine.Ai passi da gigante nei miglioramenti – nella diffusione della proprietà terriera, nella riduzione della fatica nel lavoro dei campi, nelle gestioni aziendali agevolate all’agricoltore fino all’e-commerce, – l’ambiente ha rischiato il baratro.
L’agricoltura aretina, in definitiva, sta seguendo vecchie e nuove filiere produttive adeguandosi alle tendenze dei mercati, d’intesa con l’industria alimentare e turistica. Basti ricordare il dato sulla consistenza nell’ospitalità rappresentato dagli agriturismi, terza gamba nel sistema recettivo insieme agli alberghi e alle strutture extra – alberghiere, nel 2010, gli alberghi erano 152 con 7.050 posti letto, gli agriturismi 433 con 6.223 posti letto, dati con tendenza a una più rapida evoluzione del sistema alberghiero.
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