A don Domenico Ricci – già ricordato in questa rubrica – piacevano storielle in cui fatalmente entrava in ballo uno scherzo da prete. Con un prete, spesso, protagonista attivo o passivo nella burla. Tra i personaggi da barzelletta, alcuni veri, quello che lo faceva più ridere – d’un riso contagioso tra gli ascoltatori – era “don Rombo”; sul significato di quel nomignolo rimango ancora nel dubbio. Fino a non molto tempo fa, l’attribuivo a questa avventura raccontata da don Domenico.
Il buon prete della Pietraia aveva una mula come mezzo di locomozione. Fidandosi del sacrestano, gliela aveva data in cura. E, affinché la nutrisse a dovere, ogni giorno gli dava dei soldi per acquistare la biada. Siccome il sacrestano era un noto gocciolone, ben presto tramutò la paghetta giornaliera in vino anziché in biada, essendosi inventato il trucco, per non far apparire la mula deperita, di somministrarle ogni giorno forti gonfiature d’aria, dal sedere, con la pompa da bicicletta. La cosa stava funzionando. Don Rombo vedeva la pancia della mula bella pasciuta. Finché un bel giorno ebbe bisogno della cavalcatura. Va detto che il prete era una gigante, robusto dalla testa ai piedi. Appena le chiappe dell’omone si adagiarono sulla povera mula, una gigantesca scorreggia svelò l’inganno del sacrista ubriacone.
Ma, in tempi recenti, ho letto ben tre versioni di storie su don Rombo, al secolo Claudio Santucci, scritte su L’Etruria da Raimondo Bistacci-Farfallino, di cui certamente il giornalista era estimatore. Secondo Bistacci, il soprannome aveva un’altra origine, non dalla scorreggia della mula, bensì dalla voce tonante del prete, coerente con la figura erculea. Le quattro avventure di cui fu protagonista su L’Etruria – che di seguito riproduco – sono presenti anche nel libro che presto pubblicherò su Farfallino da Cortona, intitolato all’incirca: Cortona resa Magica – Cronache Storie Miti Satire – in Raimondo Bistacci-Farfallino direttore de “L’Etruria” (1922-1973). Dove rievoco il genio giornalistico e narrativo di Farfallino che, in cinquant’anni di militanza, trasformò Cortona – agli occhi di un esteso pubblico – in città magica, i cui personaggi restano confusi tra un passato mitico ancestrale e un presente da commedia umana, essendogli riuscito a trasformarne il normale scorrere della vita in un Comune di periferia in un singolare viaggio: ironico, fantastico, caricaturale,…in una parola: magico! Come in una creazione artistica sospesa tra realtà, finzione e un infinito divertimento. Perciò m’è venuto il paragone tra la Cortona di Farfallino e il Macondo di Marquez, in Cent’anni di solitudine.
“Appunti sulla vita di don Claudio Santucci dalla voce tremenda.
(…). Ora daremo breve cenno sulle avventure di don Claudio Santucci. Uomo tarchiato, con braccia erculee, collo e testa poderose era considerato e temuto, tanto più che per carattere era rigido e permaloso.
Rincalcia un gatto fra le croci al cimitero.
Nominato cappellano del cimitero della Misericordia di Cortona, un anno per Natale allestì nella cappella il presepe, ma mancandogli Gesù bambino, lo impastò di sego. Ma la notte allo scoprimento il gatto del custode Vignola, sentendo quell’odore, saltò sul presepe e portò via il bambino. Don Claudio emise un potente urlo, per rincalciare il gatto fra le tombe, fece atterrare non poche croci e ghirlande. Preso il gatto che aveva mangiato il sego lo ammazzò e lo cucinò in teglia con le patate.
Fa inginocchiare un vetturino.
Un vetturino, nel portare col carro funebre un morto al cimitero, toccò bruscamente con la chiocca i cavalli. Questi allora allestirono il passo finendo sopra il prete. Don Claudio, dopo averli fermati, con un urlo minaccioso, gli impose di scendere e piegare le ginocchia. Ci vollero i buoni consigli dei parenti del defunto per calmarlo. Butta giù ch’el tuo?
Celebrandosi una festa nella chiesa di S. Francesco il laico fra Carlo Rugi per le Messe aveva concesso un aromatico vinsanto. Don Claudio che diceva la Messa all’altare del crocifisso, assaggiando quel vinsanto, si portò col calice dal chiericotto Vittorio Poccetti, e visto che lui gli calava le goccioline a stento, don Claudio gli gridò: butta giù, ch’el tuo? A quell’urlo la contessa Anita Baldelli ch’era vicina, tremò e tutti si domandavano che era successo.
Mette in fuga i fascisti e li stermina alla Pietraia.
Don Claudio, che con la sua voce baritonale, potente, tonante che per la cerimonia del giovedì santo al Duomo intonando “ave sanctum crìsma” faceva empire la gente di curiosi, nel primo anno dell’avvento fascista si trovò a spiegare le sue forze. Avendo il prete deplorato le violenze, sette suoi amici, divenuti fascisti, gli entrarono in casa, ed uno gli impose di bevere una boccetta di olio di ricino. Quando si accorse che faceva sul serio, don Claudio presa la boccetta glie la scaraventò contro con tal violenza che il vetro in frantumi stonacò una parete, poi, corso in chiesa, prese la stanga della porta e, risalito, cominciò a vibrar botte all’impazzata frantumando anche i mobili e quanto vi si trovava. I fascisti si misero in fuga, uno saltò dalla finestra, ma don Claudio, urlando e tonando come un temporale, li rincalciò nei campi. Grida, pianti di donne: oddio el mi’ marito, Signore salvatelo! Accorsi i carabinieri a cavallo con le buone riuscirono a calmarlo, ma il giorno dopo attese invano una spedizione punitiva; stette nascosto dietro un ulivo con un tronco di querce per far piazza pulita, ma dinanzi al colosso nessuno si mosse1”.
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1 Cfr. L’Etruria, 28 febbraio 1969. E’ l’ultimo di una serie di articoli, distribuiti nel tempo, dedicati al sacerdote antifascista, detto “don Rombo”, dalla voce tremenda. Gli altri sono: del 4 febbraio 1923 (epoca dei fatti) e del 25 agosto 1963, tutti gli articoli hanno però contenuti simili.