Sono bastati due giorni per dimostrare al resto del mondo, se ce ne fosse stato bisogno, che il nostro tanto amato Paese sui diritti civili continua a non rispettare quanto richiesto dall’Unione Europea. E lo fa su più fronti, senza alcuna intenzione di adeguarsi a quanto richiesto, con la dimostrazione che “Ce lo chiede l’Europa” è una frase buona solo quando fa comodo. Vediamo nel dettaglio tre esempi:
Il primo indirizzo non rispettato riguarda la cosiddetta “pillola dei 5 giorni dopo”, contraccettivo d’urgenza da usare in seguito a rapporti non protetti o comunque a rischio. Questo non significa che la pillola in questione è un medicinale abortivo, la differenza c’è, ed è notevole.
Nonostante questo in Italia l’accesso a tale farmaco è un percorso ad ostacoli: siamo l’unico Paese europeo a chiedere un test di gravidanza se l’anamnesi induce a un sospetto di fecondazione, ma non è finita qui. Il nostro Consiglio Superiore della Sanità, interpellato in materia dalla ministra Lorenzin, ha dichiarato che questo medicinale deve essere somministrato solo previa prescrizione medica, indipendentemente dall’età della donna richiedente. Tutto ciò in barba a quanto stabilito dalla Commissione Europea che qualche giorno prima si era espressa, al contrario, per un libero utilizzo. E’ evidente che le donne italiane vengono ritenute irresponsabili consumatrici accanite di contraccettivi alle quali bisogna imporre dei freni. Freni così efficaci da rendere sostanzialmente impossibile poter utilizzare la pillola, perchè essa (anche se si riuscisse ad ottenere la prescrizione medica) diverrebbe inutile a causa dell’iter imposto.
Di fronte a questo sorgono spontanee due domande. La prima è se un test può rivelare in maniera veritiera la situazione a soli pochi giorni dal rapporto “colpevole”. La seconda è come mai si decide di mettere in difficoltà le donne, magari sposate o comunque con una relazione stabile, che devono rivolgersi al medico per questo medicinale, rischiando pure di essere giudicate e marchiate a vita per una loro scelta consapevole e (colpevolmente?) controcorrente.
Il secondo tema riguarda l’adozione per i single. Nonostante una Convenzione Europea firmata a Strasburgo nel lontano 1967 (!!!) promuova l’assegnazione dei bambini anche a un solo adottante, in Italia questo resta vietato. L’enorme ritardo poteva essere colmato dalla riforma della legge sulle adozioni discussa in questi giorni in Parlamento, nella quale l’obiettivo era permettere ai genitori affidatari di adottare i bambini che già, nei fatti, accudiscono. La senatrice Puglisi (PD) aveva presentato un emendamento nel quale si chiedeva di equiparare i diritti dei bambini affidati ai single a quelli affidati alle famiglie sposate. L’emendamento è stato ben presto ritirato, in quanto la componente cattolica del Governo era insorta prospettando il pericolo che questo diritto si potesse estendere anche alle famiglie omogenitoriali, ovvero quelle “gay”. Il risultato è che avremo ancora bambini di seria a e di serie b, così come continueranno a esistere famiglie accettate e altre osteggiate: fra queste non solo quelle gay, ma anche quelle formate da semplici conviventi e quelle in cui i bambini sono cresciuti da un solo genitore. In quest’ultimo caso i piccoli, una volta dichiarati adottabili, si vedranno strappare dal nucleo in cui vivono per essere consegnati a un’altra famiglia in possesso di tutti i crismi imposti.
Passiamo infine al terzo fronte: martedì l’aula di Strasburgo ha accolto la relazione di Marc Tabarella, esponente socialista europeo, sulla parità fra uomo e donna. In questo documento si parla di parità salariale, di eguali diritti nell’accesso al mondo del lavoro e della realizzazione di una serie di azioni per promuovere la parità su tutti i livelli. Ovviamente l’interpretazione all’italiana è stata quella di un documento “pro-aborto”. In realtà la relazione conteneva un passaggio sul diritto all’aborto che fissava come principio il diritto di scelta che le donne dovrebbero avere in materia di gravidanza. La discussione in aula è stata ovviamente accesa e non solo per l’emendamento presentato e approvato dal Partito Popolare Europeo nel quale si sottolinea che la legislazione sulla riproduzione è di competenza nazionale (ma allora l’Europa a cosa serve???), ma anche per lo spaccamento interno al PD, che come ricordiamo fa parte del gruppo del PSE, lo stesso del proponente. Una parte degli europarlamentari PD ha votato a favore dell’emendamento dei Popolari, qualcuno si è astenuto.
Sfugge il motivo per cui si sia appoggiato l’emendamento del PPE, visto che da oltre trent’anni in Italia esiste una legge che regolamenta l’aborto, quindi già l’Italia ha già legiferato sul tema. Perché poi agli europarlamentari PD dava così fastidio quel passaggio? Forse perché ci prepariamo a nuovi attacchi legislativi alla legge 194? Staremo a vedere.
Il problema è sempre quello: su certi temi in Italia si riduce tutto a battaglie ideologiche, dimenticando di separare il piano religioso da quello civile e politico. Il primo, a mio avviso, dovrebbe riguardare solo la sfera intima delle persone e pesare sulle loro scelte personali secondo la loro discrezione, senza togliere agli altri la libertà di scelta e il diritto di avere diritti. Purtroppo da noi non funziona così
La questione, peraltro, ha anche una sua valenza economica visto che l’Italia paga multe salate per questi mancati adeguamenti alle direttive europee.
I motivi per muoverci su questi temi sono quindi molti: certamente sociali, civili, ma anche economici.
Purtroppo l’impressione è che la frase “Ce lo chiede l’Europa” valga solo quando c’è da togliere i diritti o far rispettare patti di stabilità, o quando c’è necessità di imporre sacrifici ai cittadini. Per tutto il resto l’Europa si fa finta che non esista