Ok li abbiamo sentiti tutti. Tutti e 20, fra mille fatiche, interruzioni, spot pubblicitari, ospiti più o meno inutili e più o meno strapagati. Il calvario delle prime due serate sanremesi è terminato e finalmente possiamo dare un giudizio rotondo e completo su questo varietà mascherato da festival della canzone. Per semplicità individuerò dei filoni che, più o meno, riassumono le filosofie presenti in gara all’Ariston, i trend dominanti che hanno condizionato la selezione musicale
Il primo trend, il più evidente, è il MENGONISMO. Da tale morbo sono pervasi artisti maschi quali Fragola e Scanu, che ovviamente non possono reggere il confronto col capostipite Marco Mengoni poichè privi delle sue doti vocali e la coppia Bernabei – Dear Jack, riedizione dozzinale della vicenda Riccardo Fogli – Pooh, che hanno lasciato il MARIADEFILIPPISMO per cavalcare (male) il nuovo trend
L’equivalente femminile del Mengonismo è il NOEMISMO, che dilaga proprio nel momento in cui Noemi passa ad altro (La borsa di una donna non è granchè, ma rappresenta un tentativo onesto di fare qualcosa di diverso dal solito). Pervase dal noemismo sono state Annalisa, Arisa, Irene Fornaciari (della quale ancora ci chiediamo quali siano i meriti) e soprattutto Francesca Michielin, che sembra piacere al pubblico (perlomeno quello di Twitter), ma se non trova una canzone davvero bella entro qualche mese rischia di essere marchiata a vita come la Elisa (o Noemi) dei poveri
Fra i filoni minori occorre sottolineare poi il RAP BORBONICO (Rocco Hunt, Clementino). Il primo vorrebbe farci sorridere, il secondo piangere. Mah…
Ci sono poi gli ATTEMPATI FEDELI ALLA LINEA, tutti quanti più o meno in là con gli anni, che hanno solo ripetuto scialbamente (e spesso con un fil di voce) cose già viste e sentite. Fra essi Patty Pravo, gli Stadio (che stanno andando forte nelle radio, pare…), Neffa, Ruggeri, Bluvertigo, Dolcenera (che è piaciuta tantissimo ai Twitteristi stranieri, ma evidentemente non agli italiani), Zero Assoluto (che in fin dei conti avevano una canzone carina)
Poi ci sono QUELLI CHE VINCONO. Cioè il duetto Caccamo – Iurato. Una canzone ovvia e insignificante al punto giusto destinata, inspiegabilmente, al successo sanremese. Sanremese e basta, perchè poi in radio non passerà e tutti si dimenticheranno di questi due soggettoni e della loro canzone in tempi brevissimi. Tant’è che, come sempre, quando a Febbraio 2017 gli italiani cercheranno di ricordarsi il vincitore di Sanremo 2016 brancoleranno nel buio.
Infine ci sono GLI ELII. Che sono la conferma definitiva di un male tutto italiano: appassionarsi ad un artista quando è finito da almeno 20 anni, considerando capolavori le sue cose peggiori. Tipo l’orrendo collage di spezzoni casuali che compone la canzone presentata in questo Sanremo per la quale abbiamo letto sperticate lodi, con uso improprio e illimitato della parola “Geniale”. Ma d’altronde il grosso della gente li ricorda per La terra dei cachi, che era una delle loro cose meno ispirate e impallidiva di fronte alla contemporanea (ignota ai più) Tapparella. Oppure, peggio ancora, si esalta per La canzone mononota, che era un orrore, e per le presenze televisive di Elio. Nessuno che conosca Il vitello dai piedi di balsa o John Holmes, o Servi della Gleba. Quello sì che era genio puro. Ma gli italiani, in quel momento (fine anni ’80 – inizio anni ’90) erano impazziti per Sandy Marton