A giudicare dagli abiti indossati dai bambini doveva essere estate. E poteva essere solo la fine dell’estate del 1920 perché mia madre, che era nata nel gennaio del 1918, così “minuta” come la vediamo in braccio a sua nonna, la vecchietta alla sinistra del gruppo, non poteva avere più di due anni e mezzo.
L’ abbigliamento di mio zio, poi, quel bambolottone in braccio alla mamma un po’ più in là verso il centro, può solo confermare che fosse il settembre di quell’anno: il vestito lungo e per di più di pizzo poteva esser ammissibile, credo e spero, solo per un bebé. Che poi il “pargoletto” appaia di dimensioni veramente “over size” rispetto ai suoi probabili 5 mesi di vita non deve stupire: già il giorno della nascita, il 1° Aprile 1920, il bebé superava i 6 Kg e 300 di peso e i 58 cm di altezza.
Chi tra i miei coetanei l’ha conosciuto sa che “Pippo” , l’incombente ed inflessibile Vigile Urbano, così grande e grosso si è sempre mantenuto anche crescendo. Un vero maestro della mimetizzazione però.., nonostante la stazza! Benché in estate indossasse una ben avvistabile divisa bianca, riusciva sempre a spuntar fuori dal nulla, non si sa come e non si sa da dove, ogniqualvolta un bambino ed in particolar modo …una nipote.. immaginasse, soltanto immaginasse, di lasciar cadere bucce di noccioline per terra, di suonare i campanelli delle case e scappare, di passare in bici in Via nazionale e nel tratto dei giardini pubblici compreso tra Monumento ai Caduti e la Casina dei Tigli, luoghi in cui, a tutela degli anziani e dei piccolini, i ragazzi erano obbligati a scendere dalle loro biciclette e a spingerle “a mano”.
Il gruppo in posa davanti al fotografo, alcuni degli abitanti della zona compresa tra il cosiddetto “Pozzo Tondo” e i Monasteri della SS. Trinità e di Santa Chiara, stava attendendo sicuramente il passaggio di una processione perché ai piedi del gruppo, sul selciato, parrebbe esserci una “infiorata” e l’immagine della Madonna che avevano alle spalle potrebbe suggerire che quel giorno si festeggiasse una ricorrenza mariana.
Era forse l’ 8 Settembre festa della Natività della Vergine?
Il gran numero di bambini, almeno una trentina, lascia immaginare quale dovesse essere il costante “rumore di fondo” di quel rione, la stessa “colonna sonora “ che, del resto, accompagnava lo scorrere della vita di ogni altra strada, di ogni piazzetta, di qualsiasi vicolo cortonese fino a non troppi decenni fa: era il tema musicale, spesso anche un po’ sguaiato, prodotto dalle grida, dai canti, dai litigi e dai pianti di marmocchi e ragazzi che nei rioni trascorrevano quasi tutta la loro giornata consumando lì la loro infanzia e la loro adolescenza.
Il rione: una vera, grande “famiglia allargata”. Per grandi e piccini non c’era infatti altro luogo che quello per divertirsi, socializzare e anche..lavorare: nel rione si giocava a nascondino o alla guerra, a palla, a nascondino, “alle signore” o a “un due tre stella” e “libera bandiera” ecc.. ecc.. ecc..
Nel rione si faceva merenda, ci si azzuffava e spesso “se ne buscava” dalle mamme che approfittavano della presenza dei coetanei per infliggere ai disobbedienti punizioni esemplari che, se comminate tra le mura di una casa, avrebbero avuto di certo molta meno efficacia. O almeno questo le mamme speravano..
Di fronte alle proprie case o nei paraggi di queste le donne, a gruppi, cucivano, facevano la calza, guastavano addirittura i materassi allora imbottiti di lana o di vegetale e li rifacevano e intanto.. chiacchieravano con le vicine.
Gli artigiani, dal canto loro, fuori dalla propria bottega facevano lavori di falegnameria, riverniciavano porte e finestre, ferravano cavalli e via dicendo mentre gli anziani, quelli a cui la salute o l’età troppo non permettevano più di lavorare, passavano il loro tempo ascoltando e osservando tutto.
Solo un vero misantropo avrebbe potuto dire di sentirsi solo.
Nella foto precedente mia madre, la ragazzina al centro con l’abitino fantasia e la mano appoggiata sul fianco, sembrerebbe avere almeno 7 o 8 anni.
Era estate anche questa volta ma alle spalle dei bambini vediamo un festone con la scritta “Sia Lodato Gesù Cristo”.
Erano passati alcuni anni, la ricorrenza religiosa era forse diversa dalla precedente ma il luogo scelto per aspettare la processione era sempre lo stesso: lo spiazzo che ancor oggi esiste in fondo a Via S.Marco, la strada che corre parallela, dalla parte superiore, a quella in cui si trova l’Asilo Nido Comunale.
Nessuno dei fotografati sapeva, ci scommetto, che la piazzola che avevano scelto per radunarsi e farsi fotografare fino a qualche secolo prima era il luogo da cui si accedeva ad una chiesa molto antica, forse la più importante della parte alta di Cortona.
Guardate nell’immagine qui sotto l’illustrazione della chiesa che nel 1634 Pietro Berrettini nella sua “Veduta di Cortona città antichissima in Toscana” individuava con il n. 17:
Lo spiazzo dove “il gruppo San Marco-Poggio” aveva scelto per farsi immortalare dal fotografo è ancora ai nostri giorni praticamente identico a quello della foto.
Quello spiazzo, per diverse centinaia di anni , era stato l’ingresso al chiostro o cortile entro cui, già prima dell’anno mille, esisteva l’ originaria chiesa di San Marco, quella che fu purtroppo soppressa nel 1785.
L’ antica chiesa intitolata all’Evangelista in origine era posta un paio di strade più in alto di quella attuale ed il il fatto che avesse dato il nome ad uno dei tre terzieri in cui era divisa la città medioevale fa ritenere che già prima del 1261, e già da lungo tempo fosse, la chiesa più importante tra quelle esistenti nella parte alta di Cortona.
Dopo quel fortunato anno, poi, il prestigio della chiesa e la venerazione per il Santo aumentarono enormemente.
Se infatti prestiamo fede a quanto riportato nel manoscritto di cui vedete in foto la copertina, un testo “compilato negli anni 1759-1760” periodo in cui la Chiesa era ancora esistente anche se già in decadenza, veniamo a sapere che dopo il 25 Aprile 1261, giorno della ben nota cacciata da Cortona degli Aretini che per “anni, 3, mesi 2 e giorni 15” l’avevano occupata, i Cortonesi elessero San Marco patrono della città ed in suo onore la chiesa a lui dedicata fu ristrutturata, ingrandita con l’aggiunta di nuove cappelle ed abbellita con affreschi ed iscrizioni in latino che ho copiato per voi dal manoscritto stesso. Spero di esser riuscita a decifrare correttamente la calligrafia bellissima ma molto difficile a leggersi.
La prima, quella posta sopra alla porta della sacrestia recitava così:
“Anno Domini 1258. Die prima Februarij. Aretini ceperunt Cortonam et eam depredantes totam cremaverunt” (Il primo Febbraio 1258 gli Aretini occuparono Cortona e depredandola la bruciarono tutta.)
Un’ altra iscrizione, posta nella parete di fronte sotto ad un affresco che raffigurava la fortunata riconquista della città avvenuta da parte dei cortonesi guidati da Uguccio Casali il 25 Aprile 1261, celebrava invece l’altra vittoria ottenuta il 28 Giugno dello stesso anno, giorno in cui dalla nostra “arce”, l’attuale Fortezza, furono cacciati gli aretini che erano ancora lì accampati.
“Anno Domini 1261 Die SS. Marce Evangelista Magnificus Mile Dominus Uguccius de Casalibus riedificavit Cortonam et castramebatis est ad Arcem et eam obtinuit dicto anno die SS. Marce et Marcellini” che l’autore stesso del manoscritto poi traduce così: “Nel giorno di San Marco e Marcellino dell’anno 1261 Uguccio Casali dopo esser entrato in Cortona assediò la Fortezza dove erano gli Aretini e dopo 54 giorni, Festa dei SS. Marco e Marcellino, la prese”.
Un vero peccato che quella chiesa già così antica che era cresciuta in bellezza e in importanza grazie gli avvenimenti legati alla liberazione della città da un’ occupazione nemica, per un altra invasione, anche se questa soltanto tentata, subisse una progressiva quanto veloce decadenza e addirittura la soppressione.
Lo sconosciuto autore del manoscritto ci narra infatti che nel settembre del 1529 Cortona, che era all’epoca sotto il dominio fiorentino, era stata stretta d’assedio dall’esercito di Carlo V e che
all’assalto cominciato da parte degli austriaci già qualche giorno prima “…il dì 20 (settembre) seguì una forte zuffa alle porte del Borgo San Vincenzo…” e a causa di ciò “..le Monache di San Michelangelo confinanti a detta Porta del Borgo San Vincenzo trovatesi ad un tale spavento di guerra si invogliarono di partire da quel luogo e venire in Cortona. Fecero molti trattati e finalmente indussero il Parroco di San Marco che allora era Giovanni di Cristofano Iannelli a cedere la sua cura con tutte le sue pertinenze, il che seguì l’anno 1537”
E sempre prestando fede alla narrazione proveniente dalla stessa fonte, veniamo a sapere che nonostante il Pontefice Paolo III avesse concesso alle suore di San Michelangelo la Chiesa con tutta la canonica perché lì le sorelle potessero costruire lì il loro monastero ed andarvi ad abitare, col passare del tempo la paura delle suore scemò ed il Monastero non fu mai trasferito.
Purtroppo, però, nel frattempo era stata ormai “smembrata la Cura di San Marco” ed era stata trasferita in altra sede la Fraternita delle Laudi e le altre che fino ad allora avevano sede in quella la chiesa e che lì celebravano le loro messe ed i loro uffizi compreso quello della SS.ma Concezione “... cominciò fin da allora la Chiesa di San Marco a perder molto del suo decoro e si raffreddò la devozione del popolo ”
Fu così che la chiesa che fin dall’alto medioevo e per secoli era stata una delle più eminenti sedi di culto della città andò velocemente in rovina e non venne mai riedificata. Il titolo parrocchiale di cui era stata investita per secoli fu trasferito alla chiesetta annessa ad un antico “ospedali per viandanti e pellegrini” che fin dal medioevo si trovava in Via Maffei, un paio di strade sotto alla chiesa originaria.
La piccola chiesa scelta come nuova chiesa di San Marco fu poi ristrutturata ed ampliata nel corso del 1600 e divenne così la bella chiesa nella cui facciata inferiore vediamo attualmente troneggiare il grande mosaico di Gino Severini. che raffigura appunto il santo protettore della città.
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