TUTT’ITALIA HA UN’ORIGINE SUBBAQQUEA…!!! RIEDUCATIONAL CHANNNEL!!!!!!
“LO SAPEVAAATEEE…??? SUBBAQQUEE ..queste rocce hanno avuto origini SUB-BAQ-QUE-E!!! Sono nate negli abissi dell’Oceano Tetide 200 milioni di anni fa!!!…” direbbe, strabuzzando gli occhi fuori dalle orbite Vulvia, la sgrammaticata conduttrice dagli schermi della fantomatica emittente televisiva “Rieducational Channel”.
Poi calcando esageratamente gli accenti per simulare grande meraviglia, la fascinosa (???) presentatrice aggiungerebbe: “Facevano parte anche loro, come S.Egidio, Ginezzo, il colle su cui si erge Cortona e tutte le alture dei vostri dintorni, del famoso “MAAA-CIII-GGGNO” che lentamente, ma molto, molto lentamente, emerse dai fondali marini circa 5 milioni di anni fa!!!!..” “S A P E V A T E L O!!! …“ concluderebbe poi, come suo solito, con il tono autoritario e l’atteggiamento accigliato di chi vuol biasimare aspramente l’ imperdonabile ignoranza degli spettatori.
Se non vi è mai capitato di vedere Vulvia in TV, ma avete voglia di farvi quattro risate, cercate su Youtube uno dei divertenti episodi di cui alcuni anni fa è stata protagonista: potrete così ammirare in tutta la sua “sfolgorante professionalità” la sciroccata presentatrice sotto le cui vesti il caustico Corrado Guzzanti intendeva mettere in ridicolo quelle trasmissioni pseudo-scientifiche o pseudo- storiche che con l’intento di rendere accessibili ad una vasta platea nozioni complesse e di rivelare al grande pubblico informazioni tenute nascoste dalla cultura ufficiale, divulgavano interpretazioni di fatti e teorie molto intriganti ma molto spesso veramente fantasiose.
Anche se temo che leggendo questa mia “esternazione” qualcuno possa accomunarmi alla sgangherata anchorwoman e abbia un motivo in più per annoverare la mia “rivelazione” tra le classiche scoperte dell’acqua calda, voglio comunque rischiare e raccontare l’epopea che gli umili sassi ritratti nelle foto hanno condiviso con tutte le alture della catena appenninica e preappenninica perché spero che questa storia possa esser apprezzata dai ragazzi cresciuti a Cortona quando ancora non esistevano corsi di calcio, di nuoto, di tennis, o simili, da frequentare, adolescenti delle passate generazioni che per divertirsi e dar sfogo alla loro naturale esuberanza potevano far ricorso solo e soltanto ciò che offriva loro l’ambiente naturale e la fantasia.
Le cosiddette “lastronaie”, le pareti sassose che si incontrano oltrepassando di poco la rotonda detta comunemente “fondo del Parterre”, insieme alle nuotate alle “pericolose gorghe” di Fontoni, sono state infatti per i ragazzi “vivaci” delle passate generazioni una delle più divertenti occasioni di gioco proibito: scalarle trasgredendo i severi ammonimenti dei genitori era un “must”. Chi riusciva nell’impresa coraggiosa senza incertezze e senza sbucciarsi neanche un ginocchio acquistava immediatamente punti nei confronti dei coetanei e poteva farsi bello agli occhi di quelle ragazzine, che come me, “obtorto collo”, erano costrette a rispettare il loro ruolo di femminucce ed accontentarsi di guardare dal basso.
Per me, poi, una delle più illustri rappresentanti di quella categoria di bambini che studiavano poco ma che in compenso leggevo tanti – forse troppi – libri di avventure e misteri, le lastronaie, oltreché costituire un prepotente invito alla trasgressione, erano anche un vero rompicapo: passavo pomeriggi interi ad osservarle e far congetture sul perché si trovassero lì quegli ammassi di pietre che, in aperto contrasto con il resto dell’ambiente ricco di piante e vegetazione, parevano appartenere al paesaggio di un pianeta arido e disabitato.
Se non da un satellite lontano dovevano comunque provenire da un mondo molto diverso dal nostro, ne ero convinta. Ed ero anche sicura che, se anche io fossi riuscita prima o poi a scalarle, lungo il percorso avrei senz’altro trovato qualche indizio utile a svelare il mistero che nascondevano.
Sarebbe bastato leggere il libro giusto per avere conferma che la mia intuizione di bambina troppo fantasiosa non era poi così peregrina: cos’erano mai, se non un altro mondo, le profondità dell’Oceano Tetide, un mare scomparso e, ad oggi, ormai sconosciuto ai più?
“Alla fine del Miocene (quindi circa 5 milioni di anni fa) anche l’Alta di S.Egidio e la montagna cortonese erano lentamente affiorate alla luce del sole” scrive infatti Monsignor Tafi in quel testo (1) che ho ormai eletto a vedemecum in materia di storia della mia città e dei luoghi ad essa circostanti.
Ma questo era accaduto, conferma l’esimio storico, “dopo un lunghissimo ciclo sedimentario cominciato circa 200 milioni di anni prima”.
Che i monti e le colline che incastonano le nostre vallate, come tutta le alture che fanno parte della catena appenninica da Sestri Levante a Pistoia fino alla dorsale appenninica che affacciandosi sulla Valle del Tevere arriva fino a Roma, nascondono sotto i loro boschi o la macchia mediterranea dei possenti macigni di arenaria, era già sicuramente noto a tutti.
Che sopra uno dei massi di pietra della catena preappenninica è stata direttamente costruita Cortona è più che evidente, e lo è soprattutto in certi luoghi dove la civiltà ha lasciato pressoché intatto l’ambiente originario.
E’ poi senz’altro arcinoto che la pietra serena che con il suo elegante ed austero color grigio caratterizza l’aspetto dei centri storici di tutti i paesi e le città dell’ aretino per secoli è stata estratta proprio dai fianchi delle montagne del nostro Comune e da quelli delle zone limitrofe.
E anche se non so dire di preciso se anche i sassi illustrati nelle foto, o quelli delle piccole cave che si incontrano proseguendo di poco sullo stesso cammino contengano anche loro quella nobile pietra di cui i nostri avi si sono serviti per costruire templi e tombe
così come per erigere le famose mura di cinta etrusche ma anche quelle medioevali,
lastricare le strade
ed i sentieri
ed edificare i bei palazzi che sono il vanto della nostra città ed arricchirli di stemmi nobiliari
perché potrebbero essere invece i resti di quelle formazioni scistose da cui si sono ricavate le “lastre” con cui per secoli si sono ricoperti tetti di chiese e case
so comunque che anche loro, di materia più o meno pregiata, hanno visto gli abissi marini e fatto parte di quella eroica coltre di detriti che ha contribuito a dar origine a quel “macigno” il cui eroico viaggio verso la superficie è durato più di 200 milioni di anni.
Cosa può esserci di eccezionale in questa notizia? Niente per coloro che ai tempi della scuola sono stati studenti modello e che conoscono perciò le più elementari le nozioni di geologia.
Molto per chi come la sottoscritta si è sempre distinto in quello sport estremo che è il salto a piè pari di interi capitoli di libri di scuola e in particolar modo di quelli fatti apposta per schiarire le nebbie mentali agli ignari di formazione di continenti, ere geologiche, movimenti tettonici ecc..ecc….
E allora, per aiutare quei pochissimi che come me non si erano mai affidati alla scienza preferendo di gran lunga rimettersi alla fantascienza i quali a questo punto, sentendosi mortificati dall’aspro rimprovero della Vulvia locale, vorrebbero sapere senza però far la fatica di seguire un noiosissimo e soporifero, per quanto stringato e approssimativo, iper extra super Bignami di geologia, ho deciso di servirmi di un éscamotage “fantasioso”: cercherò di trasportare i lettori in un viaggio irreale che, come un film di fantascienza, proietti nella loro mente le immagini spettacolari che avrebbero potuto offrirsi alla vista di un molto ipotetico oltreché improbabile astronauta che circa 250 milioni di anni fa, girando negli spazi interstellari, avesse guardato giù verso il nostro pianeta dall’oblò della sua preistorica navicella spaziale.
Poco importerà a chi mi legge, spero, se per calare il mio resoconto in un’atmosfera fantastica eviterò di cristallizzare gli eventi con continue e noiose datazioni e se mi asterrò dal partire con il mio resoconto “ab ovo”, da quando cioè circa 4,5 miliardi di anni fa cominciò a formarsi la crosta terrestre, perché in realtà è solo da circa 300-250 milioni di anni fa che le cose cominciarono a prendere una piega interessante per il formarsi del territorio in cui ci è capitato di nascere
Se quindi circa 250 milioni di anni fa un ipotetico astronauta avesse guardato dall’alto il nostro pianeta non avrebbe visto l’Italia e nemmeno l’Europa. Avrebbe invece verificato che tutta la superficie terrestre era occupata da un unico ed immenso continente detto Pangea circondato da un unico immenso mare, l’Oceano Panthalassa.
Il nostro amico cosmonauta, sicuramente più informato di noi sui principi elementari della scienza chiamata “tettonica delle placche”, non si sarebbe di certo stupito nel constatare che, continuando a girare intorno al nostro pianeta ancora per decine e decine di milioni di anni, proprio sotto i suoi occhi, Pangea si stava gradualmente sfaldando fino a giunger piano piano a lacerarsi e scindersi in due supercontinenti: Eurasia quello più a nord e Gondwana a sud (più o meno l’odierna Africa). Avrebbe poi avuto occasione accorgersi che, ad ogni nuovo giro la situazione si modificava e che in seguito a ciò, milioni di anni
dopo milioni di anni, proprio lungo la linea di separazione di questi nuovi supercontinenti, quasi al centro di quella che era stata la Pangea, lentissimamente si stava formando un nuovo grandissimo Mare: l’oceano TETIDE
Dopo un altro lunghissimo periodo (in questa materia le decine di milioni di anni scorrono con altissima velocità) il già citato viaggiatore dello spazio e del tempo avrebbe poi sicuramente notato che in questo nuovo mare, che col senno di poi potremmo definire “la nostra GRANDE MADRE”, stava cominciando a prender forma un lembo di terra chiamato ADRIA nella quale era compreso, anche se ancora non distinguibile perché in gran parte sommerso o in parte lambito dalle maree, il territorio della futura Italia.
La Corsica, la Sardegna, l’Italia Meridionale e le Alpi sarebbero state, tra le terre a noi familiari, quelle che l’astronauta avrebbe visto svettare per prime fuori dalle acque.
Dalle sue altezze siderali il nostro esploratore cosmico si sarebbe senz’altro reso conto che durante tutto il corso di questo suo interminabile viaggio sul globo terracqueo si erano abbattuti un’infinità di terremoti, maremoti, eruzioni vulcaniche, e che lunghe ere di glaciazioni si erano sostituite ad altrettante ere di clima temperato e caldo umido e che il ghiaccio che più volte aveva ricoperto il pianeta e che poi si era sciolto, le acque che a causa dei disgeli erano scorse giù dalle montagne, insieme al vento, alle piogge, al sole violento avevano lentissimamente eroso le terre già emerse.
Forse, durante quell’infinito numero di giri intorno al pianeta terra, l’inverosimile cosmonauta avrebbe osservato che i detriti derivanti dallo sgretolamento delle terre che per prime avevano raggiunto la superficie stavano cadendo giù nel nuovo grande mare.
Da lassù, però, non avrebbe di certo potuto immaginare che nei fondali di Tetide grazie all’ accumularsi di tutti questi detriti si stava formando piano piano quella coltre di arenaria che, con il tempo, diventava sempre più spessa. Non poteva neanche sapere, il nostro paziente viaggiatore spaziale, che a causa del fenomeno definito dalla scienza “ deriva dei continenti”, la giovane Africa era costretta ad avvicinarsi all’Europa e che ciò stava provocando il corrugamento di quell’arenaria sottomarina che, obbligata a contrarsi su se stessa, avrebbe cominciato lentissimamente a salire e salire e, dopo un numero infinito di secoli, secoli e secoli, a raggiungere finalmente la luce del sole.
Se però il nostro navigatore interplanetario, 5 milioni di anni fa, finalmente stanco del suo girovagare nella galassia avesse ritenuto giusto interrompere il suo viaggio, non avrebbe mai saputo che, ai piedi di quei rilievi appena emersi, in futuro si sarebbe estesa la fertile Valdichiana.
La grande valle su cui spaziano i nostri occhi dai luoghi panoramici che su di lei si affacciano dai monti e dalle colline del nostri dintorni, come del resto tutte le altre vallate toscane, sarebbe rimasta ancora per tantissimo tempo, quando più quando meno, coperta dalle acque di quel mare che instancabile nel suo scendere e risalire, avrebbe impiegato un periodo lunghissimo per giungere a ritirarsi.
Poiché temo però di aver abusato veramente troppo della pazienza di coloro che hanno avuto la compiacenza di prestarmi attenzione fin qui non mi pare assolutamente il caso, giunta a questo punto, di dilungarmi ulteriormente nella narrazione del succedersi di eventi che ha infine permesso la definitiva emersione della Valdichiana.
La storia del “lago pliocenico” che dapprima per milioni di anni l’ha occupata, quella del “bacino lacustre villafranchiano” che poi per un periodo altrettanto lungo si è sostituito a quest’ultimo, insieme a quella dei fossili di resti animali che, benché tipici di climi e di epoche totalmente diverse tra loro, nel corso di lunghe ere sono stati trascinati dalle acque dei disgeli, delle alluvioni, dei fiumi e delle piogge e sono stati poi concentrati in alcune zone di questa valle dove, sedimentando e subendo trasformazioni chimiche favorevoli alla loro conservazione, sono stati ritrovati in epoche recenti (leggi Farneta e dintorni), potrebbero essere l’oggetto di un altro viaggio a ritroso nel tempo… Ma, come si diceva un tempo nelle sale da ballo, potrei farlo solo.. “a gentile richiesta”.
1) “Immagine di Cortona – Guida storico-artistica della città e dintorni” – Angelo Tafi – Grafiche Calosci Cortona 1989