Se come in un romanzo della più inverosimile fantascienza un imprevedibile salto quantico vi trasportasse in un battibaleno nella Cortona di fine marzo dell’anno 1742, lì, mentre ancora spaesati cercate di raccogliere elementi che vi aiutino a capacitarvi sul dove siete e come ci siete capitati, potrebbe succedervi di leggere un pubblico avviso (1) di questo tenore:
“A 30 Aprile ad ore una in punto si farà il corso lampadico nel pododromo Coritano dalla porta Peccio Grande a Porta Colonia e però chi desidera esperimentarsi per ottenere il premio si presenterà alle ore 24 davanti li signori deputati nella carbonaia di San Domenico. Si darà al primo che arriverà colla fiaccola acesa Lire 10 e lire due al secondo. Un calcio all’ultimo”
Se foste persone particolarmente desiderose di vivere nuove esperienze, potreste decidere, senza farvi tante domande e con vero entusiasmo, di approfittare dell’occasione del cambio di dimensione per partecipare anche voi a questo misterioso corso lampadico.
Potrebbe darsi però che, da persone più riflessive, vi chiedeste meravigliati con quali giochi strani si dilettassero i vostri antenati e, disorientati, vi domandaste cosa fosse e dove mai potesse trovarsi questo misterioso “pododromo coritano”.
“Pododromo” parola sconosciuta ai novecenteschi vocabolari che riposano ormai inutilizzati negli scaffali di casa vostra e di cui neanche gli onniscenti Google e Wikipedia, i sapientoni del terzo millennio, vi avevano mai dato conto.
Tentereste allora di trovare una soluzione facendo ricorso alle scarsissime ed elementari nozioni che del giovanile e distratto studio della lingua greca vi sono rimaste in testa e potreste così dedurre che, se non ricordate male, nel mondo in cui vivevate prima di essere catapultati all’indietro di 267 anni, vocaboli come ippodromo, autodromo, velodromo ecc… derivavano da un termine greco δρόμος (dromos) usato per esprimere movimento e molto spesso corsa, e che , sempre partendo da una parola greca πούς ποδός (podos=piede), nella lingua dell’epoca da cui provenite sono stati coniati termini con cui si individua tutto ciò che ha a che fare con i piedi o con l’andare a piedi.
“Considerato ciò” dedurreste “un “pododromo” potrebbe essere un percorso riservato al movimento a piedi”.
Appena vi foste data una spiegazione del genere una miscuglio di incredulità ed invidia vi farebbe esclamare: “Cooosa… Pododromo Coritano ? da Porta Peccio Grande a Porta Colonia? Sta a vedere che nella Cortona antica esisteva quella benedetta Zona Pedonale tra Porta Colonia e Via Nazionale a cui anelano quegli anacronistici cortonesi del secolo ventunesimo amanti della “slow life”, quegli illusi che si ostinano a sperare nella Z.T.L. rimasta, almeno fino al momento in cui sono sono stato risucchiato nel mondo in cui adesso mi trovo, un’ irraggiungibile miraggio così come per secoli e secoli lo è stata la terra promessa per il popolo ebreo!”
“D’altra parte”, direste ancora per mettervi l’anima in pace “ nell’era in cui sono stato catapultato, il famoso secolo dei lumi, Cortona era piena di insigni eruditi e di grandi cervelloni …tanto di cappello!!!”
Poi forse cerchereste di consolarvi delle vostre moderne impotenze autoconvincendovi che certamente vi sbagliate e che il “pododromo” avrebbe sicuramente funzionato solo per un giorno, quel 1 aprile 1742, data in cui i cortonesi intendevano probabilmente onorare qualche ricorrenza felice (2), ma che poi, a festa finita, tutto sarebbe tornato come prima: un po’ come quando, insomma, gli abitanti della Cortona del duemila festeggiano la “Notte bianca del Jazz”
Meno male che, vi ricordereste, altri nostri predecessori ancora più lontani nel tempo ma molto più lungimiranti, i cortonesi del 1200, avevano già cercato di rendere più tranquillo e sicuro il cammino dei pedoni che camminavano per le strade della città modificando il tracciato di alcune delle strade principali, arrivando talvolta a ricostruirle quasi ex novo, in modo da renderle “a vortice”, cioè con curve e controcurve studiate apposta per ostacolare sia la circolazione selvaggia dei carriaggi che trasportavano le merci che l’irruenza dei nobili cavalieri poco rispettosi dei loro simili che, miserabili, procedevano a piedi.
Era proprio questo il caso delle strade che si situavano nel percorso del pododromo, quelle che ora chiamiamo : Via Nazionale, Via Benedetti, Via Dardano.
“Evidentemente”, penserete amaramente, “passano i millenni, la scienza e la tecnica fanno passi da gigante, ma l’animo umano rimane meschino e così in qualsiasi tempo chi si pone alla guida di un mezzo di locomozione, non importa se a quattro zampe o a due-quattro ruote , si sente e si è sempre sentito in pieno diritto di far mangiar polvere in gran quantità a quei fessi dei propri concittadini che, da veri retrogradi, si intestardiscono a procedere a piedi.”
“Ah, se agli ottocenteschi ideatori del bellissimo parco cittadino, meno fiduciosi nella bontà della natura umana, avessero pensato di disporre a vortice il lungo viale della passeggiata tanto amata dai cortonesi perdigiorno, o l’avessero almeno fornita di piccoli dossi atti ad impedire che a chi vi procede con un veicolo a motore piaccia illudersi di essere nell’Autodromo di Monza…”
“Certo tali cunette non avrebbero potuto essere facilmente amovibili come potrebbero esserlo invece i moderni dissuasori di plastica da applicare solo nei casi di bisogno, certamente brutti, ma utili a scoraggiare coloro che, sentendosi i Tazio Nuvolari del secolo XXI, tentano di superare proprio lungo quel viale il record mondiale di velocità su strada sterrata… Se torno nel 2019 voglio proprio suggerirlo a chi di dovere..!” Riflettereste speranzosi di un celere ritorno alla vostra vita di sempre.
“Mah, …” direste tornando ad osservare il settecentesco annuncio pubblico “forse questo originale avviso e questo ridicolo “Corso lampadico” sono solo una goliardata, una monicelliana “zingarta ante litteram” studiata da qualche toscanaccio buontempone dell’antichità, qualcuno che si cela sotto i nomi degli autori del fregio che adorna l’arcaico foglio, e dell’incisore dello stesso, quei tali “Simone Rustici scrittore arithmetrio e geometrico in Firenze e Lucas C. de Urbino F” .
Mossi però dalla curiosità non resistereste alla tentazione di accertarvi che sia proprio così e cerchereste un gentile passante a cui chiedere cosa mai fosse questo curioso Corso Lampadico di cui nessuno vi ha mai parlato.
Di certo, però, vi sentireste rispondere “Ma come, non conoscete un gioco così diffuso nell’antica Grecia?” “E già” pensereste voi vergognandovi della vostra ignoranza “ del grande popolo greco i miei concittadini dl 1700 conoscevano a menadito non solo la storia quella con la S maiuscola, ma anche, e nei minimi particolari, tutte le vicende quotidiane esattamente come siamo perfettamente edottilo io e i miei ex contemporanei della storia e delle vicende di Al Bano e Romina, o di Belen e Stefano, … figurati se non sapevano anche questo…! ”
Il gentile coritano del passato vi informerebbe poi che sì, i corsi lampadici esistevano, erano gare che, come nell’antichità, facevano di notte ed era questo il motivo per cui il termine per l’iscrizione alla nobile gara da svolgersi in città sarebbe scaduto ad un’ora così inconsueta, le ore 24. Vi spiegherebbe che i concorrenti avrebbero dovuto raggiungere il traguardo con una fiaccola accesa in mano e che sarebbero stati esclusi coloro ai quali si spengesse la fiaccola lungo il percorso. Vi direbbe inoltre che diversi autori antichi (3) ci hanno tramandato la descrizione di questa tradizione e che alcuni sostenessero perfino che a tale gara si partecipa nudi.
Soddisfatti ringrazieresti il cortese concittadino dalla bianca parrucca e tornereste a rileggere l’avviso pubblico che a questo punto non vi parrebbe più così oscuro.
Notereste che in esso nessun era fatto su eventuali suoni o musiche di accompagnamento alla gara. “Ma”, pensereste voi, “anche se ci fossero comunque, per grande fortuna dei residenti settecenteschi, non esistono ancora in questo mondo amplificatori elettrici che diffondano dall’una di notte in poi quegli antipatici suoni di basso che tanto disturbano i miei concittadini moderni!”
Poi però, quando ormai cominciavate pregustare il privilegio di poter assistere ad una tenzone sportiva per voi così inconsueta, forse perché disturbati da qualche schiamazzo dei nottambuli del “popolo della notte”, quegli inconsapevoli seguaci della “scuola dei peripatetici” che, ignari del fatto che proprio nelle vetuste case che affiancano le strade lungo le quali loro sono soliti attendere l’alba, proprio dietro quelle finestre sotto le quali si soffermano a cantare, a discutere animatamente se non proprio a litigare, ci sono persone a cui piacerebbe gustarsi qualche ora di sonno tranquillo, vi svegliereste e vi rendereste conto che il vostro salto quantico nella Cortona del 1742 è stato solo un sogno, una fantasia notturna indotta, ne siete proprio certi, dalle vostre letture diurne di libri che parlano della gloriosa storia della vostra città nei secoli passati, libri come quelli dei Alberto della Cella che vi hanno messi a parte dell’esistenza reale dell’avviso pubblico con il quale si indiceva il “corso lampadico”, di un altro antico volume reperito su Internet grazie al quale vi siete accertati che tali Corsi erano giochi o sacrifici consueti nell’antica Grecia che in certe occasioni si ripetevano anche nella Napoli dei secoli successivi.
Molto, poi, deve aver colpito la vostra immaginazione il preziosissimo volume di Monsignor Tafi dal quale avete scoperto che il problema del traffico esisteva anche nella Cortona di secoli e secoli fa e che ad esso avevano tentato di ovviare i nostri antenati del 1200 adottando le “strade a vortice”, nonché quelli del 1861 che avevano deciso di smantellare la Porta Peccio Verardi (altrimenti detta Porta San Domenico) nei pressi della quale si formavano ingorghi per il traffico dei carri merci che, insieme ai prepotenti cavalieri, sembra fossero cause di intasamenti e antipatici incidenti. Stessi incresciosi problemi che pare capitassero troppo spesso anche in quell’incrocio che, alcuni dicono, sia stato chiamato Croce del Travaglio proprio per le tribolazioni che procurava ai miseri cittadini possessori di un unico e semplice mezzo di locomozione: i piedi.
NOTE:
1) Alberto Della Cella “Cortona Antica” – PAG 286/287 Copia anastatica pubblicata ad opera dell’Editrice LUNO del volume edito nell’anno 1900 dalla Tipografia Sociale di Cortona;
2) Monsignor Alberto Tafi “Immagine di Cortona” pagg 72, 108, 127 Ed. Grafiche Calosci, cortona 1989;
3) Gio: antonio Summonte Napolitano “Historia della città e Regno di Napoli” Seconda Edizione Tomo I – Napoli 1675
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