14 settembre 1529 l’Imperatore Carlo V dà l’assalto a Cortona con 25.000 uomini ma, incredibilmente, viene respinto…
“Ma singolarmente si accrebbe la divozione di quel popolo verso di lei dopo che questi riconobbe dalla sua protezione la miracolosa liberazione della medesima Città quando fu assediata dall’ Esercito Imperiale di Carlo V negli anni di nostra salute 1529. Il Generale d’armata Filiberto Principe d’Oranges aveva data la batteria alla Città dalla Porta di San Vincenzo, e quantunque in Cortona fosse poco numero di soldati per essere stati mandati alla difesa di Fiorenza, né ivi si trovassero se non due sole Compagnie di Soldati Forastieri, nondimeno la città si difese valorosamente dagli assalti datile dall’Esercito assai poderoso, che era, come dicono di venticinquemila combattenti ascrivendo tutti questa prodigiosa difesa al patrocinio speziale, che dal Cielo la Santa teneva della medesima Città, perrocché fu veduta la Santa penitente assistere sopra le mura di essa, proteggendo con la virtù dei suoi preclari meriti quel popolo, che con le loro forze non potevano in verun conto resistere al valore e al numero dell’esercito nemico……”
Quella che avete letto sopra è la descrizione di uno dei miracoli attribuiti a Santa Margherita, uno dei tanti operati nel corso dei secoli successivi alla sua morte. E’ descritto, insieme a molti altri, nel volume (vedi nota 1) pubblicato nel 1797 che se volete potete sfogliare pagina per pagina collegandovi a questo link.
Il testo non è però una delle numerose biografie celebrative, ma una raccolta dei documenti che fu necessario produrre per sostenere la causa di canonizzazione che la riguardava, processo che, stranamente, si protrasse per oltre quattro secoli.
Una procedura così lunga non era stata invece necessaria per molti altri santi suoi contemporanei.
Margherita morì infatti il 22 Febbraio 1297 ma la sua santità fu definitivamente proclamata da Papa Benedetto XIII il 17 Maggio dell’anno 1728, giorno di Pentecoste.
Eppure già prima di morire la sua fama aveva valicato i confini della Valdichiana e un grandissimo numero di persone veniva a Cortona da tanti altri luoghi, spesso lontani, per ottenere da lei preghiere, consigli, guarigioni da gravi malattie.
Il culto popolare per lei era già tale che immediatamente dopo la sua morte le Autorità cittadine si erano sentite in dovere di inviare ad Avignone, a spese del Comune, il Rettore della chiesa di San Basilio ed un suo compagno per domandare al Papa la legittimazione di quello che per il la gente era ormai da anni un dato di fatto. E solo dopo pochi mesi dal triste evento, sempre per volere delle Autorità Civili, Giovanni Pisano era stato incaricato di costruire una nuova Chiesa in onore della venerata concittadina.
Potete poi constatare con i vostri occhi leggendo le 3 bellissime pergamene, di cui fornisco il link nella nota 2) , quanto i fedeli che vivevano anche in territori distanti da Cortona sentissero fin da subito il desiderio di costruire una Chiesa dove praticare il culto di Margherita. Sono “bolle” emanate rispettivamente dai Vescovi di Chiusi e da quello di Ostia e Velletri di cui trascrivo il “regesto” (sorta di riassunto) per coloro che, come me, avessero difficoltà ad interpretare gli eleganti caratteri gotici con i quali sono state scritte:
“28 Novembre 1297 – Ind. X
Bolla di Pietro Vescovo di Chiusi diretta ai suoi discepoli ai quali accorda un’indulgenza di giorni 40 qualora avessero prestato la loro opera in qualunque modo per la costruzione in Cortona della Chiesa di Santa Margherita”
“ 13 luglio 1304 – Bolla di Niccolò Vescovo di Ostia e Velletri legato apostolico con la quale concede indulgenza di 4 giorni a chi anche aiuto e sussidio alla fabbrica della Chiesa di San Basilio di Cortona Diocesi Aretina”
“13 luglio 1304 “Niccolò Vescovo di Ostia e Velletri accorda a tutti i fedeli che avessero visitato in certi determinati giorni la Chiesa di San Basilio di Cortona indulgenza di 100 giorni”
Se la devozione popolare era così diffusa e pressante, mi sono chiesta, a cosa può esser attribuito allora, il lungo indugio della Chiesa nel decretare la santità di Margherita?
Se ci limitassimo ad accettare ciò che riferisce in merito la tradizione agiografica, il grave “peccato” commesso dalla giovane donna, il sacrilegio che l’avrebbe resa per lungo tempo non del tutto “gradita” alle alte gerarchie ecclesiali, dovrebbe esser ricercato nell’aver convissuto con l’uomo che amava al di fuori del sacro vincolo del matrimonio e, in questa situazione riprovevole, aver concepito con lui un figlio.
Ho però trovato una risposta molto meno scontata nel libro “Una donna senza volto – Lineamenti antropologico culturali della santità di Margherita da Cortona” (Editrice Borla s.r.l. – 1992)”. Interpretazione dei fatti che potrebbe sembrare un po’ “eretica” agli occhi del comune fedele se non derivasse da studi scrupolosi effettuati da una ricercatrice di indubbia competenza e di sicura “ortodossia” cattolica.
Maria Caterina Jacobelli, l’autrice del libro che ho appena citato, è infatti titolare di dottorato in teologia morale, membro dell’Associazione dei teologi Italiani, collaboratrice di riviste teologiche, nonché laureata in antropologia culturale. Ritengo perciò che il suo punto di vista possa garantire la serietà ed obiettività che debbono possedere coloro che si accingono a trattare argomenti così delicati come quelli che toccano la fede delle persone.
Non crediate però che, con tanti e tali titoli posseduti dalla scrittrice, il libro possa essere un noioso trattato di cose teologiche, perché è invece un testo di piacevolissima lettura che ci trasporta, come in un film, nella la vita quotidiana della Cortona del XIII e ci fa capire come la burrascosa situazione nazionale, provocata dagli eterni incontri-scontri tra gli interessi politici e quelli religiosi, alimentasse le aspre lotte tra papato ed impero e come queste si trasformassero, a livello locale, nei continui conflitti tra le città guelfe e quelle ghibelline e, peggio ancora, nelle numerose liti tra le famiglie che all’interno di queste città, per motivi di potere, sceglievano di parteggiare per l’una o per l’altra parte.
In questa situazione, spiega la dott.ssa Jacobelli, anche la scelta di aderire ad un dei tanti ordini religiosi o addirittura ad una corrente interna ad uno di questi, diveniva non una pura e semplice opzione di fede, ma una vera e propria scelta di campo non scevra dal provocare conseguenze come quella di inimicarsi le alte sfere del potere politico e/o di quello religioso.
Seguiamo allora l’autrice nel suo viaggio lungo le strade della Cortona del 1200, secolo che è stato per questa città, allora ancora libero Comune ghibellino, il periodo di maggior fulgore politico ed economico ed in cui la città stessa si è trovata ad esser fulcro di elaborazione culturale grazie ai grandi personaggi che in questo periodo vi hanno gravitato.
Quando nel 1277 Margherita oltrepassò Porta Berarda per entrare in quella che diverrà la sua patria di elezione, il Palazzo de Comune e il Palazzo del Capitano del Popolo erano stati costruiti da poco decenni e non avevano esattamente l’aspetto attuale. Neanche la Piazza era così com’è oggi ma certamente molto più ampia. Bisogna infatti tener conto che un gran numero di edifici che vediamo ora ai suoi lati furono costruiti in epoche successive. Al centro di essa si poteva ammirare ancora la famosa fontana che fu demolita nel 1500.
La Chiesa di San Francesco, quella in cui Margherita pregò quotidianamente per anni, era stata completata da soli 22 anni e, vista da chi a chi guardava verso Cortona dalle basi del cono collinare doveva sembrare molto più imponente di quello che appare ora poiché non aveva ancora di lato il massiccio edificio che poi diverrà il nostro Ospedale. Era stata progettata e fatta costruire da quel Frate Elia che nel 1239, si era stabilito in città poiché non solo era stato deposto dai suoi stessi confratelli dall’incarico della guida del movimento francescano affidatogli dallo stesso San Francesco, ma, ancor peggio era stato anche scomunicato dal Papa che lo riteneva colpevole di aver collaborato strettamente con l’Imperatore Federico II di Svevia in importanti e riuscite imprese diplomatiche in Terra Santa. Anche quest’ultimo, forse il più grande uomo politico del Medioevo e uno dei più grandi intellettuali del secolo XIII, nel 1240 soggiornò a Cortona, in visità a Frate Elia e, in quell’occasione istituì in città un Giudice Ordinario.
Grazie a Elia, il sapiente francescano dalla mente poliedrica, alla bellissima Chiesa, seconda per bellezza tra le chiese francescane dopo quella di Assisi, era stato annesso un convento molto grande che nel giro di pochi anni si era riempito di miglia di rarissimi libri. Frequentato da frati molto dotti poteva dirsi una vera e propria libreria universitaria che conteneva praticamente tutto lo scibile dell’epoca e richiamava eruditi da ogni dove.
Già dai secoli immediatamente precedenti si era diffuso nei in Italia come in tanta parte d’ Europa un enfatico fervore religioso e penitenziale che aveva raggiunto il suo acme proprio nel XIII secolo. Chi pertanto in quegli anni si aggirava per qualsiasi città si trovava senz’altro a vedere le sue strade percorse da quotidiane processioni di benedettini, domenicani, francescani e, insieme a loro, i numerosi aderenti a quei movimenti di Disciplinati, Flagellanti, Umiliati ecc…. che predicavano la necessità dell’espiazione dei peccati mediante la mortificazione del corpo con estenuanti penitenze, digiuni e spesso flagellazioni.
Uno scenario simile si sarà senz’altro potuto osservare anche a Cortona dove nel giro di pochi decenni precedenti l’arrivo di Margherita erano nati diversi conventi disseminati in tutto il territorio cittadino che si andavano ad aggiungere a quelli già esistenti. Un buon numero di essi si situava nella sua parte alta tanto da rendere questa zona, il cosiddetto “Poggio”, una vera e propria “città sacra”.
All’arrivo della donna esule da Montepulciano erano trascorsi solo 19 anni da un evento traumatico, forse uno degli episodi più dolorosi da ricordare per i cortonesi: nel 1258, infatti, la città era stata occupata dagli Aretini. A guidarla era stato il già odiato Vescovo Guglielmino degli Ubertini proprio quello al quale, anni dopo, Margherita indirizzerà coraggiosamente aspri rimproveri e severi ammonimenti. La ferita doveva essere senz’altro ancora molto bruciante.
Ora che abbiamo tentato di immaginarci l’ aspetto e le vicende politiche della città, cerchiamo seguendo i passi della Dottoressa Jacobelli, di trovare il vero “volto” di Margherita, la sua personalità, quella che noi non conosciamo se non per interposta persona, perché, a parte la bellissima lettera indirizzata al figlio, non abbiamo nessun altro documento scritto di suo pugno che ci dia di lei un’immagine non mediata da altri e quindi inequivocabile.
Per fare ciò l’ autrice ha ritenuto prima di tutto indispensabile conoscere quali erano le regole, le abitudini, le credenze dei luoghi da cui proveniva e nelle quali si era formata la ragazza fuggita per amore da Laviano e quali quelle che, invece, aveva trovato nella città in cui aveva scelto di vivere.
Per farsi un’idea dell’ambiente culturale in cui si può esser forgiata la individualità e il temperamento di una persona dell’epoca, ha pertanto consultato non solo tutti i documenti di archivio che potessero informarla sugli gli usi e i costumi, i gusti, la mentalità degli abitanti di queste città nel periodo medioevale, ma ha anche studiato le norme di legge vigenti in quegli stessi secoli a Cortona, Montepulciano ed altre città limitrofe, esaminando i loro Regolamenti Comunali.
Ed è stato proprio lo studio di questo materiale a fornirle le premesse per trovare risposta al quesito che mi ero posta all’inizio.
“In quel particolare momento storico, dice la studiosa, non era necessario celebrare il matrimonio davanti a un ministro di culto poiché questo istituto era ancora soltanto un semplice contratto di natura civile da stipulare davanti ad un notaio”.
Ciò è confermato dai moltissimi atti di matrimonio rinvenuti in vari Archivi storici. Di questi ben 49 sono conservati nei codici 413, 414, 415 e 416 della nostra Accademia Etrusca.
Uno di essi è certamente emblematico poiché testimonia, a scanso di dubbi, che ancora nel 1401, cioè più di cento anni dopo la morte di Margherita, il rito civile era pienamente approvato dalla Chiesa. Leggendolo, infatti, veniamo a sapere che la quindicenne Pina, nipote del Vescovo di Cortona Bartolomeo di Troia, si sposò, con il necessario consenso dello zio, davanti al notaio Uguccione di Lando.
Che il matrimonio fosse considerato una materia di diritto civile è avvalorato dal fatto le norme non si limitavano a stabilire solo le formalità da espletare al momento della stipula del patto tra i nubendi, ma tutto quanto riguardava la ritualità precedente e successiva alla ufficializzazione del contratto matrimoniale veniva disciplinato da severe disposizioni volte a far sì che tutto fosse improntato alla massima semplicità ed austerità.
Grazie al materiale raccolto dal Mancini (vedi nota 3) vediamo infatti che mentre si era anche troppo “libertari” nello stabilire l’età minima delle le giovani le quali, ahinoi, potevano andare a nozze fin dall’età di 12 anni, si era invece molto severi nello stabilire le regole da rispettare per la cerimonia tanto che “Soltanto 6 uomini potevano accompagnare la sposa alla casa coniugale, 10 se veniva o andava a marito in un altro Comune”. Soltanto in questi due casi gli accompagnatori potevano essere invitati alla “semplice refezione” che seguiva alla formalizzazione dell’atto a cui, considerato il gran numero dei componenti delle famiglie di allora, potevano partecipare in pratica solo i genitori ed i fratelli.
Sempre dal Mancini sappiamo che : “Permesso allo sposo che nel territorio comunale si recava a dar l’anello e quindi conduceva seco la sposa , di farsi seguire da 6 donne e da 10 consanguinei e trattenerli a semplice refezione” e “multato in 20 soldi ogni altro accompagnatore, ed in lire 50 il latore degli inviti, se ne distribuiva maggior numero di quello ammesso”.
Multe veramente salate se si considera che all’epoca 50 lire corrispondevano a 6 mesi di stipendio del medico comunale!
Dal giorno dopo le nozze poi “per 15 giorni dopo condotta la sposa, proibito convitare amici nella casa maritale” mentre era consentito mangiare con la famiglia della sposa, coi figli, sorelle e nepoti dello sposo”
E, a dimostrazione che all’epoca c’era poco da scherzare in materia di “austerity”, : “ in città e nei sobborghi il Vicario (autorità civile) mandasse sempre a verificare nella casa nuziale e punisse con 100 lire le contravvenzioni non multate con pena speciale.”
Evidentemente in quei secoli l’influenza dei movimenti religiosi che si richiamavano al pauperismo e al fervore penitenziale era talmente forte che non solo la vita spirituale dei fedeli ne era permeata, ma ne erano condizionate anche le disposizioni legislative che regolamentavano la vita quotidiana.
Tra i tanti divieti ne esisteva poi uno che la Dott.ssa Jacobelli ha giudicato fondamentale per la sua ricerca. In esso si stabiliva che affinché il matrimonio tra due persone potesse legittimamente avvenire era indispensabile che i due nubendi non appartenessero a ceti sociali diversi.
E allora, sostiene l’autrice del libro, è ancora possibile affermare che la convivenza di Margherita con il nobiluomo di Montepulciano potesse costituire una così grave violazione di un precetto di natura religiosa, un sacrilegio agli occhi di Dio?
Non fu piuttosto l’aver trasgredito ad una convenzione sociale talmente radicata da esser perfino codificata in una norma di legge a rendere inaccettabile agli occhi dei loro contemporanei il rapporto esistente tra i due amanti e ad impedire che la loro relazione potesse esser regolarizzata con il riconoscimento giuridico che avrebbe tutelato i diritti della ragazza e del figlio nato dalla loro unione?
Se il matrimonio come atto da celebrare davanti a Dio sarebbe stato avocato a sé dalla Chiesa soltanto con il Concilio di Trento ( 1545-1563), quale può esser stato allora il “peccato” che rese così lunga e controversa la causa di canonizzazione che riguardava colei che Frante Giunta, suo confessore e biografo, nella Legenda definisce “la pianticella dei Frati Minori”?
Visto e considerato che la risposta a questa domanda per essere convincente necessita di un’altra intrigante introduzione storica che renderebbe il presente articolo veramente troppo lungo, ne parleremo……… nella prossima puntata.
Intanto voi cominciate ad immaginare, come in un film ambientato in un contesto gotico, storie di dispute religiose, dissidi fra Ordini monastici o fra appartenenti allo stesso monastero, possibili accuse di eresia ecc.. Situazioni che, insomma, possono ricordare, anche se molto vagamente, un ambiente spirituale un po’ simile a quello de “Il nome della Rosa” che d’altra parte si svolgeva nel 1327, non a troppa distanza storica, quindi, dal 1311 momento in cui Frate Giunta completò la stesura della sua “Legenda”.
Note
1) Francesco Marchese “Vita di Santa Margherita di Cortona Raccolta dei processi per la canonizzazione da prete della Congregazione di Roma”
2) “Legenda de vita et Miraculis Beatae Margaritae de Cortona”
3) http://www.archiviodistato.firenze.it/pergasfi/?op=fetch&type=pergamena&id=818872 http://www.archiviodistato.firenze.it/pergasfi/?op=fetch&type=pergamena&id=834112 http://www.archiviodistato.firenze.it/pergasfi/index.php?opadmin=0&op=fetch&type=pergamena&id=834119
4) Girolamo Mancini: “Cortona nel Medioevo” -Editrice Grafica “l’Etruria” – Cortona 1992
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