“Primo giorno: ora sesta dove Adso ammira il portale della chiesa e Guglielmo ritrova Ubertino da Casale
…Ci trovavamo davanti a Ubertino da Casale. Di lui avevo già sentito parlare e a lungo, anche prima di venire in Italia, e ancor più frequentando i francescani della Corte Imperiale. Qualcuno mi aveva detto che il più grande poeta di quei tempi, Dante Alighieri da Firenze, morto da pochi anni, aveva composto un poema ( che io non potei leggere perché era scritto nel volgare toscano) a cui avevano posto mano e cielo e terra, e di cui molti versi altro non erano che una parafrasi di brani scritti da Ubertino nel suo Arbor vitae crocifixae…”
Così Adso da Melk, il novizio che nel celeberrimo “Il Nome della Rosa” accompagna Guglielmo da Baskerville, il sagace francescano ex inquisitore, ci presenta Ubertino da Casale, personaggio che, al contrario dei due protagonisti del romanzo, è storicamente esistito e che, nonostante possa sembrare strano a chi come me non ha una gran cultura in materia, ha un collegamento con la storia dei francescani cortonesi e la canonizzazione di Margherita da Cortona.
Se infatti scorrete insieme a me i due passi della “Legenda” (1) che seguono e avrete poi la pazienza di leggere fino in fondo questo mio lungo articolo scoprirete questo legame e comprenderete finalmente la tesi sostenuta da Maria Caterina Jacobelli, teologa, la quale nel suo libro “Una donna senza volto” (2) , affrontando con il metodo scientifico mutuato dall’antropologia culturale lo studio della probabile personalità di Margherita da Cortona, cerca anche di sviscerare i motivi per cui il processo per la ottenere la dichiarazione ufficiale della sua santità ha avuto un percorso lungo più di quattro secoli. Argomento che già avevo in parte affrontato con il mio precedente articolo.
Postilla di “Autenticazione della Legenda”:
“Questa Legenda la compilò Fr. Giunta per ordine di Fr. Giovanni da Castiglione Inquisitore … il quale era confessore e padre della Beata Margherita. E questa (Legenda) vide Fra Tarlato, (seguono nomi di vari frati)… Parimenti gli appresero Ministri Provinciali, cioè Fr. Raniero di Siena, e la rimise ad esso … Fra’ Tommaso e la restituì a ser Badia, Fr. Ubertino da Genova, e la predicò. Parimenti il Venerabile Napoleone Legato della sede apostolica e Cardinale la ritenne per più mesi nella Curia Apostolica e nell’atto di sua partenza allorché la restituì, comandò che sempre si custodisse illesa e si comodasse a tutti quelli che avessero voluto scriverla o farla scrivere; e che essa si predicasse nonostante qualunque precetto passato o futuro in Cortona. E tutte le predette cose le comandò a me Fr. Giunta il predetto Legato nel cortile del Palazzo del Sig. Uguccio de’ Casali in presenza di Fr. Ubertino da Genova, di Fr… L’anno 1308 Indiz. IV il dì 15 Febbraio”
Legenda: IX, 27 – Ubertino della Verna
“Al mattino, all’aurora, prima ancora che nella chiesa dei frati fosse dato il segno per la recita in comune dell’ora canonica di prima, la serva di Dio, “illuminata”, mandò una persona al convento a chiedere al guardiano che mandasse subito suo figlio da lei. Quando il figlio, accompagnato da Ubertino della Verna, entrò nella cella della mamma, ella esclamò piangendo: “L’anima mia stanotte era presente quando hai gridato, quando hai afferrato la bacchetta e quando, con un gesto da bambino ti sei graffiato la faccia…”
Ubertino da Genova, o Ubertino dalla Verna, gli studiosi di storia degli Ordini Francescani o di storia medioevale riconoscono in lui Ubertino da Casale (1259-1230), proprio il frate che nel romanzo di Eco ci viene descritto come “ personaggio leggendario”, “uomo indomabile” “gran combattente”, e poiché tale, degno della massima deferenza da parte di Guglielmo da Baskerville che ammira quest’uomo per il suo pensiero da fine teologo, per per il coraggio e la coerenza che avevano contraddistinto il corso di tutta la sua vita. Una vita che potremmo definire “avventurosa” e che finì con una morte misteriosa.
Da quello che abbiamo letto nella postilla posta a chiusura della Legenda la sera del 15 Febbraio 1318 Ubertino si trovava in Cortona nel cortile del Palazzo di Uguccio Casali insieme al Legato Pontificio Cardinale Napoleone Orsini di cui era Cappellano. Fu proprio in quell’occasione che l’ alto prelato, comandando che la Legenda stessa fosse custodita illesa, prestata a chi volesse farne delle copie e divulgata mediante la predicazione, riconobbe all’opera di Frate Giunta un indubbio valore legittimando così, anche se indirettamente, il culto di Margherita.
Una “sponsorizzazione” eccellente e quindi un buon inizio per l’inoltro della richiesta di canonizzazione di Margherita da Cortona?
Averebbe potuto esserlo se nell’intreccio perverso delle lotte e/o accordi politici tra Papato ed Impero, i rapporti di forze tra i poteri interni alla Chiesa non fossero cambiati e Ubertino, i Frati Minori, e con loro tutti coloro che tra questi ultimi si riconoscevano vicino agli ideali del gruppo degli “Spirituali” di cui Ubertino da Casale era il capo riconosciuto, non fossero caduti in disgrazia ……
La situazione politico-religiosa di quei secoli era intricatissima e per calarsi nell’atmosfera del periodo non ci sarebbe miglior modo che rileggere la descrizione che ne fa Umberto Eco nel suo romanzo facendola narrare un po’ alla volta da Adso, Guglielmo da Baskerville, Ubertino e dagli altri personaggi che mano a mano si inseriscono nella trama del giallo storico.
Per quei lettori che però non volessero o non potessero dedicarsi alla lettura di un libro così poderoso, tenterò di riassumere il contesto nel quale si svolsero gli eventi che ci interessano per rendere meglio comprensibili le tesi che si propone di dimostrare la dottoressa Jacobelli.
Anche io però, come Adso, premetto che “cercherò di dirne cosa avevo capito, anche se non son sicuro di dire bene queste cose”
La biografia di Ubertino da Casale sarebbe degna da sola di divenire l’oggetto di un romanzo storico con un finale da giallo.
Considerato il continuatore di Pier Giovanni Olivi come leader degli “Spirituali” o “Zelanti” nati all’interno dell’Ordine Minoritico per richiamare il movimento francescano al ritorno ai principi di povertà e umiltà originari, appassionato e coinvolgente predicatore, per la sua fama di “venerabilità” fu temporaneamente ben accetto da almeno una parte della Curia. Nonostante, infatti, la sua partecipazione al Manifesto di Lunghezza, con il quale lui, Jacopone da Todi e altri confratelli dichiararono nulla l’elezione di Papa Bonifacio VIII avvenuta dopo l’abdicazione di Celestino V, era stato chiamato a svolgere le funzioni di Cappellano del Cardinale Orsini e, in questa veste (lo abbiamo constatato nel passo della Legenda appena letto) ottenne da lui, nel 1308, l’approvazione per la divulgazione e la predicazione dell’opera di Frate Giunta.
Grazie all’alone di sant’uomo che lo avvolgeva ed il grande seguito che riscuoteva, riuscì ancora per un po’ di tempo ad evitare i provvedimenti repressivi in cui invece incapparono alcuni dei suoi seguaci o all’ala più intransigente e perciò in odore di eresia dei “Fraticelli” anche questa nata, secondo alcuni, da una costola dello “Spiritualismo” stesso.
Purtroppo però, la sua insistente e veemente predicazione contro la decadenza dell’Ordine e del Papato e contro gli ecclesiastici corrotti, la difesa dei confratelli colpiti dalle misure repressive assunte dai vari papi succedutisi al soglio pontificio, l’ ardore battagliero della sua predicazione che assumeva spesso toni profetici, costrinsero la Chiesa ad adottare disposizioni disciplinari nei suoi confronti e per questo motivo venne, tra l’altro, obbligato a ritirarsi alla Verna. E’ probabilmente in questo periodo (forse il 1285?) che lo vediamo accompagnare il figlio di Margherita dalla madre ( Legenda passo IX, 27 riportato sopra).
Le misure restrittive disposte nei confronti di Ubertino non furono però sufficienti placare quella sua appassionata attività di predicazione che la Chiesa dell’epoca considerava così “sovversiva”. Gli fu imposto allora di ritirarsi presso il Monastero di Gembloux vicino a Liegi in Belgio. Comunque indomabile nella sua disobbedienza, fu obbligato a lasciare l’abito francescano per vestire quello benedettino con cui lo conosciamo nel romanzo. Scomunicato, fu infine costretto a fuggire e morì, forse assassinato, tra il 1228 e il 1230.
Cerchiamo ora di inquadrare la figura del Cardinale Orsini, limitandoci a conoscerlo almeno per ciò che lo lega alle vicende legate a Cortona, Frate Giunta, Margherita.
Ricordiamoci allora che Cortona era, da lunga data, una città ghibellina, cioè, tanto per semplificare, più propensa a parteggiare per il potere temporale che non per quello papale. L’avevamo infatti già vista dare asilo, nel 1239, allo scomunicato Frate Elia, collaboratore fidato dell’Imperatore Federico II di Svevia il quale nel 1240, in visita al dottissimo frate, era stato ospite della nostra città, indizio anche questo di una sicura vicinanza politica.
Non può dirsi certamente un caso, poi, che la cittadinanza cortonese, con un atto ufficiale approvato nella sala del Consiglio Comunale la sera del 23 gennaio 1245 (Sindaco Berardino del Porcio), seguito da un altro del 7 gennaio 1246 (Sindaco Bernardo del fu Arnolfino), abbia donato al geniale frate il terreno comunale su cui costruire la nuova chiesa e il grande convento da intitolare al Santo di Assisi.
Ancora agli inizi del secolo successivo, il XIII, l’adesione di Cortona alla causa ghibellina non si era affatto interrotta tanto è vero che l’autorevole Padre Fortunato Iozzelli, nell’edizione della Legenda pubblicata e commentata criticamente ad opera sua (3), sottolinea: “Non è superfluo rilevare che la solenne dichiarazione di autenticità (della Legenda) ebbe luogo non in una chiesa, ma “in claustro palatii domini Hugucii Casali” (nel cortile del palazzo del Sig. Uguccio Casali) cioè nella dimora di una famiglia ghibellina, con la quale l’Orsini, ghibellino anche lui, non poteva non essere legato da simpatia e amicizia… Il fatto è tanto più significativo in quanto rivela che, fin dall’inizio, la promozione del culto di Margherita non è stata priva di sottintesi politici”.
Sembrerebbe più che evidente, insomma, che quella parte del francescanesimo dissidente rispetto alle posizioni prese dall’Ordine e coloro che, come il Cardinale Orsini, all’interno della Curia si sentivano in pericolo poiché vicini agli ideali degli Spirituali, per combattere la loro battaglia e per difendersi da chi voleva estrometterli dal movimento, avessero scelto proprio in Cortona, città ghibellina in mezzo a tante altre guelfe, la donna che con tanta passione portava in alto il vessillo dei Frati Minori e che costituiva il miglior esempio possibile del modo di vivere in perfetta coerenza con il messaggio originario del “poverello di Assisi”.
Possibile che un movimento fondato sui principi di mitezza, umiltà, giocondità fosse così dilaniato da odiose lotte intestine? Purtroppo sì, e lo era anche a Cortona.
Se come vi ho consigliato vi siete rilette le pagine del Nome della Rosa, le parole di Eco vi avranno senza dubbio aiutato a ricordare la tumultuosa situazione creatasi in campo religioso già da due secoli prima che nascesse il francescanesimo, crisi che, grazie a questo nuovo movimento, sembrava esser stata stemperata e incanalata nei canoni ritenuti accettabili dalla Chiesa.
Nel giro di pochi anni però il francescanesimo si era diffuso a macchia d’olio ed era diventato un Ordine ricco e molto potente che niente sembrava aver più a che vedere con quello sparuto gruppo di uomini che seguendo San Francesco si era rifugiato nel tugurio di Rivotorto e che da lì era uscito per far posto ad un asino.
Da molti aderenti al movimento tale evoluzione fu considerata un vero e proprio tradimento e “...molti di essi riscoprirono allora il libro di un monaco cistercense che aveva scritto agli inizi del XII secolo dell’era nostra chiamato Gioacchino a cui si attribuiva spirito di profezia. Infatti egli aveva previsto l’avvento di un’era nuova, in cui lo Spirito di Cristo, da tempo corrotto a opera dei suoi falsi apostoli si sarebbe realizzato sulla terra…”. Una gran parte dei seguaci di San Francesco, delusi, furono allora affascinati dalle teorie di Gioacchino da Fiore che prometteva l’avvento di un Papa Angelico che avrebbe ricondotto la Chiesa alla semplicità e povertà evangelica.
Fu così che molti scelsero di opporsi alla deriva presa dall’Ordine cui un tempo avevano scelto di appartenere ricorrendo alla disobbedienza e alla ribellione.
La famiglia francescana si divise allora in mille rivoli e nel suo seno nacquero svariate “correnti” di dissidenti. Alcuni di essi, come il nostro Ubertino, si sforzarono di rimanere sempre e comunque legati alla “Regola” cercando di continuare a convivere con i confratelli all’interno del gruppo dei Frati Minori.
Nacquero però altri tronconi di disobbedienti a cui appartenevano frati irriducibili. Tra questi ad esempio i cosiddetti “Fraticelli” che vivevano negli eremi situati soprattutto nelle montagne dell’Appennino Marchigiano i quali, come vedremo, raccolsero accoliti anche nel nostro territorio.
Ce ne furono poi altri ancora più ribelli ed inflessibili, come i seguaci di Fra Dolcino di cui vediamo un esempio in Salvatore l’ inquietante personaggio che nel romanzo di Eco, con il suo linguaggio stranissimo, ripete il motto “penitentiagite” che molto spesso finirono inquisiti, condannati per eresia e talvolta arsi al rogo.
E proprio quando, negli ultimi decenni del Duecento, Margherita viveva e operava nella nostra città, e, nei primi del Trecento, Frate Giunta scriveva la Legenda, era molto alta la tensione tra i francescani cortonesi.
Le divergenze di vedute e il diverso modo di vivere la fede dei “Frati Minori” che dimoravano nel poverissimo eremo delle Celle, sperduto nella montagna cortonese, rispettando rigorosamente la spiritualità ed i principi proposti dal Santo fondatore dell’eremo stesso, rendevano molto difficili i rapporti con i francescani definiti “Conventuali” che invece abitavano all’ interno del nuovo convento annesso alla Chiesa di San Francesco, nel centro della Città.
Tutto ciò è perfettamente percepibile se, scorrendo la Legenda dove Frate Giunta riferisce i colloqui intrattenuti da Margherita con il Crocifisso che all’epoca si trovava nella Chiesa di San Francesco, ci soffermiamo a ponderare alcuni passi in essa contenuti.
In molti di essi, dice la Dottoressa Jacobelli, è più che evidente che il Bevegnate abbia scelto di narrare i consigli, gli ammonimenti, le consolazioni che Cristo rivolgeva alla donna, con parole e frasi utili a rendere manifesta ed inequivocabile la sua legittimazione e il suo appoggio incondizionato alla causa dei Frati Minori e alla loro impostazione di vita.
Nelle 298 pagine di testo della Legenda, infatti, sono ben 114 i brani in cui Frate Giunta riferisce che il Cristo, rivolgendosi alla “pianticella dei Frati Minori”, abbia manifestamente dichiarata la sua predilezione per questi ultimi mandando a dir loro “ ..Io più amo i Frati Minori , che qualunque altro Ordine di questo mondo” “ e sappiano i Frati Minori che loro ho concesse e concederò grazie più copiose, che a qualunque altro ceto di Religiosi che sian nel mondo” “più a me piacciono i Frati Minori che qualunque altro Ordine della mia Chiesa” ecc…
Molto spesso, poi, gli stessi frati vengono definiti dal Crocifisso “ miei figli” miei eletti” e consolati per le gravi tribolazioni che sono e che saranno costretti ad affrontare per l’ostilità dei loro “detrattori” e viene addirittura promesso loro: “…E se non avranno un Papa che sia di loro consolazione (Bonifacio VIII ) , in questo mostrerò loro un segno singolare di dilezione, e purgandoli sarò con loro….”
Anche Corrado da Offida, altro personaggio fondamentale per la storia del movimento Spiritualista ed in odore di santità, venuto a Cortona per ricevere consigli da Margherita, viene così presentato “ Un frate gradito a Dio, di nome Corrado, giunto da lontano a visitare la serva di Dio…” (Legenda IX, 24). Parole che sottolineano, se ancora ce ne fosse bisogno, la preferenza del Signore per coloro che appartengono a questa ala dissidente del francescanesimo.
Preferenza ed elogi ripetuti troppo manifestamente e troppe volte per non suggerire il sospetto che le affermazioni del Salvatore non siano state almeno un po’ “guidate” dall’estensore della Legenda in modo da costituire un avallo per una causa ben precisa.
Il convento di San Francesco, al contrario dell’eremo delle Celle, era ricchissimo, e nella sua grande biblioteca conteneva migliaia di libri.
Se consideriamo infatti che più o meno alla stessa epoca la madre badessa del Pionta ad Arezzo aveva dovuto vendere un terreno sito nel territorio di Cortona per acquistare un breviario per la sua comunità, possiamo arrivare ad immaginare quanto ricco potesse essere un monastero come quello che era nato nel centro di Cortona all’interno del quale erano custoditi migliaia di libri, i più importanti per la cultura filosofica e religiosa dell’epoca.
E’ facile allora presumere che quei “Frati Minori” che dall’eremo delle Celle erano stati trasferiti nel convento di città, e questo è appunto il caso del nostro Frate Giunta, dovessero mal digerire la convivenza sotto lo stesso tetto con fratelli molto dotti che per consultare questi preziosi volumi talvolta raggiungevano Cortona anche dall’estero e che, occupati a trascorrere buona parte delle loro giornate intenti allo studio e a disquisire tra di loro, davano senz’altro molto più spazio all’elaborazione teologica che al conforto dei miseri e dei bisognosi.
“Peraltro Cortona – dice infatti Girolamo Mancini nella sua Cortona nel Medioevo (4) – dette i natali a qualche “fraticello” della più stretta osservanza come Fra Niccoluccio d’Annibaldo nel 1314 scomunicato a Siena con altri 36 Frati Minori, quale apostata e ribelle dell’Ordine, seminatore di pestifera dottrina spregiatore dei comandi della Chiesa”.
Monsignor Tafi conferma nel suo “Immagine di Cortona” (5) che “ai primi del Trecento, se non già agli ultimi del duecento le Celle divennero un luogo prediletto degli Spirituali o Fraticelli …. Giovanni XII li condannò e li soppresse nel 1318… Non sappiamo fino a che punto di eresia e di disobbedienza giungessero i frati delle Celle, sta di fatto che nel 1363 essi furono cacciati via.”
“I frati espulsi si ritirarono nel Poggio dentro Cortona – dice il Mancini – e più tardi Fra’ Giovanni cortonese vescovo di Teano lasciò loro per testamento tre parti delle sue case di Cortona cogli orti annessi” “ Nel 5 febbraio 1322 il podestà, il priore, il sottopriore, i difensori, i consoli, i rettori ed il Consiglio del Popolo scrissero a Papa Giovanni XXII per far fede che nel Cortonese e nell’intera Toscana, i fraticelli vivevano esemplarmente, né tra loro esistevano Beghini o altri settari (.N.F. VIII 1392 F° 717)
E’ facile immaginare, a questo punto, che il coraggioso comportamento della nostra “penitente” che, da vera “pasionaria”, si era permessa per ben tre volte di rivolgere severi ammonimenti al Vescovo di Arezzo Guglielmino degli Ubertini, di inviare avvertimenti all’inquisitore Giovanni da Castiglione, di criticare Bonifacio VIII e di predire gravi tribolamenti per la Chiesa colpevole di aver abbandonato la causa degli ultimi, non abbia reso facile il compito di chi, dentro la Chiesa, doveva proclamare la sua santità.
Così come altrettanto intollerabili saranno apparsi i rapporti intrattenuti da lei e dal suo confessore con soggetti compromessi con la “dissidenza” come Ubertino da Casale, Corrado da Offida e altri frati notoriamente vicino alle posizioni degli Spirituali.
Ed infatti il processo per la sua canonizzazione subì la prima battuta di arresto e solo nel 1392 Papa Bonifacio IX accolse la petizione popolare dei cortonesi e concesse loro di chiamare “Beata” la donna che tanto veneravano.
La causa per approvare la santità di Margherita, però, non fu ripresa fino a che, agli inizi del XVI secolo salì al soglio Papale Leone X de’ Medici simpatizzante dei Frati Minori e cultore dell’opera di Piergiovanni Olivi, il capostipite degli Spirituali.
Leone X, dimostrò di dar valore alle pressioni provenienti dalla popolazione cortonese, dai Frati Minori, e dall’allora Arciprete della Cattedrale Silvio Passerini, dapprima venendo a Cortona a venerare Margherita e poi provvedendo ad approvare il suo culto con bolla datata 6 febbraio 1515 nella quale veniva fissato nel 22 febbraio di ogni anno il giorno in cui festeggiarla.
La canonizzazione della Beata Margherita aveva però ancora un cammino lungo da compiere perché con lo scorrere dei secoli i profondi fermenti di spiritualità del medioevo si erano notevolmente affievoliti, e al sospetto procurato a Margherita dalla sua vicinanza agli Spirituali e dalla strumentalizzazione che di lei questi avevano fatto per avallare la loro causa, si era aggiunta la mentalità imbevuta dal razionalismo tipico dal secolo dei lumi che rendeva sempre meno credibile e comprensibile un modello di vita troppo esasperatamente dedito a digiuni, penitenze e preghiere come quello che nella Legenda veniva attribuito alla “pianticella dei Frati Minori”.
In un mondo che diveniva sempre più critico e razionale era poi molto difficile giudicare sulle grazie ed i miracoli avvenuti secoli prima per cui non esistevano più testimoni diretti e per i quali bisognava fidarsi dell’unica fonte esistente, quella Legenda di Frate Giunta, opera chiaramente agiografica senza uno effettivo valore storico concepita per essere usata, mediante la predicazione che di essa si faceva, per sostenere una causa ben precisa.
Sarà ancora una volta la politica a determinare il cambiamento del corso di questa storia, e questa volta, per fortuna, in modo da corrispondere alle secolari aspettative dei fedeli cortonesi.
Cosimo III Granduca di Toscana, infatti, per assicurarsi la fedeltà di Cortona, città necessaria ai Medici per la sua particolare posizione di confine nel Granducato, si adoperò perché il procedimento raggiungesse una svolta e fu così che nel 1668 Clemente IX fece inserire Margherita nel Martiriologio romano col titolo di Beata.
Nonostante il favore della politica, la rinata potenza dei Frati Minori, la pressione popolare mai sopita, la Santità di Margherita fu comunque ufficializzata soltanto in coincidenza con la pentecoste il del 1728 da Papa Benedetto XIII.
Note :
1) Legenda de vita et miraculis beatae margaritae de cortona – Edizioni Porziuncola 2003- S.Maria degli Angeli – Assisi
2) “Una donna senza volto – Lineamenti antropologico culturali della santità di Margherita da Cortona” (Editrice Borla s.r.l. – 1992
3) Padre Fortunato Iozzelli Legenda de vita et miraculis beatae margaritae de cortona Grottaferrata : Edotiones collegii S. Bonaventurae ad Claras Aquas
4) Girolamo Mancini “ Cortona nel Medioevo” Editrice grafica l’Etruria – Cortona 1992
5) Monsignor Angelo Tafi- ed Calosci Cortona -1989