Curiosità Cortonesi

Cortona e la “Movida”… nel ‘300

100 lire cortonesi di ammenda a chi gettava“aliquam turpitudinem” nella“Fonte Platee Comunis”. Per 10 denari veniva multato chi vi lanciava cidronem, çuchas, cicomarum, cepe. Ma perché punire con multe salate anche il lancio di “nivem ammatassatam vel strictam”?

—————————————-

Talvolta anche il “latinorum” può riservare sorprese spassose. Soprattutto se è un “latinorum” del 1325 già talmente contaminato dal “volgare italiano” da suonar abbastanza simile a quel dialetto “chianino” con cui si esprimono ancora alcuni dei nostri anziani.

Varrà dunque la pena di sforzarsi solo un po’ per constatare che può esser facile sorridere o ridere di gusto del “come eravamo” o riflettere sul “come ancora siamo” se navighiamo qua là nel “latinorum” di certe Rubriche dello Statuto Comunale di Cortona (1), il codice di norme vigenti nel nostro territorio comunale nel periodo 1325-1380.

Se è infatti veritiera l’immagine che dei nostri bis-bis-bis nonni medievali ci trasmette la lettura delle norme contenute in questo insieme di disposizioni adottate per dar regole alla loro vita civile e sociale, è inevitabile prender atto che, pur così lontani nel tempo, questi nostri avi non dovevano esser poi tanto diversi dai noi se tanto simili alle nostre erano alcune delle loro abitudini, anche le cattive abitudini, se anche loro si trovavano assai spesso in difficoltà a convivere ed interagire con i loro simili, se avevano molti dei nostri stessi vizi e se, perdi più, ci somigliavano persino nella inclinazione a trasgredire i divieti . In particolar modo quelli che appaiono imposti ai cittadini unicamente per il gusto sadico di impedir loro di esercitare un sacrosanto diritto: quello di spassarsela un po’.

E siccome la stagione estiva e la calura inducono al disimpegno, sorvolando le Rubriche di questo Regolamento volte a codificare i principi base dell’organizzazione della vita politica della comunità cortonese, le regole per la difesa e la sicurezza dell’ intero territorio comunale, le prescrizioni per il suo ordinato sviluppo urbanistico ecc.. ecc.. ecc.., mi piacerebbe accompagnarvi, un po’ alla volta, alla scoperta di quelle che, tra le tante norme deliberate per salvaguardare la salute, l’igiene pubblica, il decoro e la dignità della città e del contado, ci aiutano di più a immaginare la vita quotidiana di un cittadino della Cortona medioevale.

Statuto Comune Cortona – Libro IV – Rubrica III :

De Fonte platee et aliis fontibus comunis: …“Statuerunt et ordinaverunt… .. quod quecumque personamproiecerit vel immiserit aliquam turpitudunem in dictum fontem …solvat comuni Cortone .c. libr.den .. Si vero proiecerit cidronem, çucham, cicomarum cepe vel aliud similem solvat nomine banni .X libr…”

Divieto ben strano che ci rivela ben strane abitudini!

L’incivile vizio di liberarsi di scomodi rifiuti e “turpitudinem canine” abbandonandoli alla “chetichella” nel primo posto che capita nel più assoluto spregio dell’igiene pubblica e della dignità del patrimonio comune lo conosciamo bene ancor oggi. Sara forse è dovuto ad un virus ereditario che trasmettendosi di generazione in generazione è pervenuto nel DNA del cittadino del XXI secolo senza subire troppe mutazioni?

Ma perché mai, viene da chiedersi, qualcuno tra i cortonesi si divertiva a lanciare nella elegante fontana di Piazza del Comune limoni, zucche, cocomeri, cipolle?

Fungevano forse da palle? Palle “biologiche” sicuramente meno costose di quelle di cuoio imbottite di segale che solo in pochi potevano permettersi?

Evidentemente – penserete anche voi come ho pensato anche io – il desiderio di correr dietro a oggetti rotondeggianti , lanciarli in aria verso amici o avversari di gioco, cercar di infilarli in uno spazio delimitato, è nato insieme all’uomo o almeno molto molto prima che qualcuno scoprisse un materiale atto a render l’oggetto da far volteggiare in aria economico, leggero, impermeabile e galleggiante e perciò più facile da recuperare nel caso in cui questo, limone, zucca, cocomero o cipolla che fosse, per sbaglio andasse a cadere dove non era proprio opportuno che cadesse come, per l’appunto, nella “Fonte Platee Comunis” la elegante fontana che quasi cento anni prima era stata eretta nella Piazza del Comune.

“E’ stata certamente solo la necessità di preservare l’integrità e il decoro della fontana a spingere le Autorità Comunali ad inserire nello Statuto Comunale un divieto così esoso e sanzioni così pesanti per impedire dei semplici giochi”, penserete perciò anche voi come ho pensato anch’io.

Per lo stesso comprensibile motivo potrebbe poi apparirci giustificabile il divieto di lanciare pietre verso la fontana e, senza alcuna ombra di dubbio, riterremmmo assolutamente giuste le pene previste per chi gettava nella fonte quella certa “turpitudinem”, che per pudore non starò a tradurre ma che per il cortonese medioevale non doveva esser poi così “turpitudinem” se era la stessa “sostanza organica” che era ammesso gettare dalla finestra, solo di notte e dopo il terzo suono della campana, purché il lancio fosse preceduto dal grido ripetuto tre volte “ogne homo se guardi…” (Libro IV Rubrica – pag. 354 ).

Ma quale nobile intento poteva esserci, invece, dietro l’ odiosa norma che vietava ai cortonesi di sfogarsi un po’ lanciandosi l’un l’altro ““nivem ammatassatam vel strictam” durante quelle magiche giornate invernali in cui il paesaggio si ricopre tutto di una candida coltre bianca ? (Libro II Rubrica XXXXII “De ludiis prohibitis et concessissis..”)

Ma ogni divieto, pur se non sembra, ha un suo perché e anche dietro a queste proibizioni apparentemente inspiegabili si celava un intento non manifesto, una finalità meno nobile ma più funzionale a chi gestiva “la cosa pubblica”.

Uno scopo recondito che gli studiosi di storia medievale sanno spiegarci.

Il “potere costituito”, si sa, in qualunque epoca e di qualunque natura o colore esso sia, è sempre poco propenso, quando non proprio insofferente, a tollerare critiche, disaccordi o contestazioni del proprio operato e per questo motivo, da che mondo è mondo, prima di adottare troppo rozzamente metodi intimidatori o coercitivi, cerca di inserire o di nascondere nelle maglie delle leggi commi, codicilli, cavilli e disposizioni apparentemente innocue che solo a posteriori si rivelano invece metodi “eleganti” per tacitare il dissenso.

Un “trucco” vecchio come il cucco mai passato di moda, ne converrete con me..!

Ma andiamo per ordine e seguiamo il ragionamento di chi ne sa più di noi:

Nella Piazza del Comune, all’epoca molto più grande di quella attuale, si ergeva una bellissima fontana a tre piani che con la sua eleganza sembrava creata ad hoc per simboleggiare il fulgore della Cortona ancora “libero Comune”: la Cortona in cui era il Collegio composto dai Consoli e dai Rettori delle Arti, i rappresentanti dell’anima popolare della città, ad indirizzare le scelte politiche.

Era lì dal 1230 o dal 1248? In questo gli studiosi non concordano.

Una sola cosa è certa, la grande fontana troneggiava lì nella Piazza fin dal 1258 perché la già citata norma dello Statuto Comunale stabiliva anche che “il rettore” della città, il suo vicario e tutti gli altri ufficiali che per “vinculo iuramenti” erano obbligati ad aver cura di questo monumento orgoglio della città cortonese, provvedessero non solo a riverniciarla nel mese di maggio di ciascun anno ma anche a ripristinare i “cavalluçios” di bronzo che si trovavano nel “bacinum” più alto, in modo che questi potessero tornare ad essere sicut erant ante captionem Cortone cioè così come erano prima della conquista di Cortona da parte degli aretini.

Una disposizione sicuramente mutuata dai Regolamenti Comunali precedenti, quelli della Cortona retta dagli organi rappresentativi del potere popolare, codici dei quali non abbiamo purtroppo organiche prove documentali, e inserita probabilmente senza modifiche nello Statuto del 1325, quello adottato quando il governo della città era passato nelle mani di un unico “signore”: Ranieri Casali.

Il mutamento politico era stato radicale ma immutato era rimasto il rispetto per la “Fonte Platee Comunis” che godeva ancora di una sorveglianza speciale.

Non bastava infatti il severissimo coprifuoco che scattava ogni sera altertium sonum campane grossepalatii comunis, il terzo suono della campana grossa del Comune, che obbligava ogni famiglia a spegnere il proprio focolare, ogni taverniere a chiudere il proprio locale e che impediva ad ogni cittadino di aggirarsi per la città, a pena di pesanti sanzioni.

Non bastavano le 44 guardie che ogni notte piantonavano le porte della città o i caselli di avvistamento per vigilare sul rispetto del coprifuoco, vietare l’ingresso in città a chi provenisse da fuori le mura o per difenderla da ipotetici assalti nemici.

A questo complesso sistema di custodia e controllo della città si aggiungeva infatti un’ altra norma specifica che rendeva la Cortona notturna una città “militarizzata” e a prova di “movida”:

per garantire che nessuno potesse recar danno alla Piazza ed alla sua fontana era infatti prevista dallo Statuto un servizio d’ordine veramente particolare.

La Rubrica III del IV Libro stabiliva infatti che ben 6 uomini dovessero prestar servizio durante tutta la notte nella piazza “VI homines debent morari tota nocte in plateis comunis ad custodiam platee e dictum fontem” e che nello svolgere questo incarico dovessero a stare “solliciti” e “actenti” .

Ma possibile che fosse solo per la salvaguardia della integrità e della bellezza della fonte orgoglio della comunità cortonese che erano stabilite sanzioni che, se superiori a 20 denari e non assolte con l’oblazione monetaria della cifra, potevano trasformarsi in detenzione nella “Volta ” –il carceremaschile cortonese – in torture o addirittura alnel taglio della mano?

Una lira cortonese era divisa in 20 soldi ed il soldo in 12 danari.

Per il “bonus medicus pro Comuni Cortone, sufficiens et expertus”, il medico comunale, lo Statuto prevedeva uno stipendio annuale di 100 lire mentre 25 lire all’anno erano stabilite per il il magistrum gramatice, il maestro comunale.

Non vi sembrano quindi un po’ esagerate le cifre stabilite per sanzionare peccati che erano, in fondo, poco più che dei peccati veniali?

Se infatti era obbligato al pagamento di 100 Lire cortonesi colui che fosse sorpreso a gettare nella fontana la già citata “turpitudinem”, a quellodi Lire 10 chi vi avesse lanciato limoni, zucche, cocomeri o cipolle, e se 25 lire erano invece previste per il lancio di pietre, per chi non avesse potuto provvedere al pagamento in moneta della sanzione, anche se questa fosse inferiore alla cifra di 20 soldi, le pene potevano inasprirsi fino a prevedere addirittura la detenzione nellaVolta il carcere maschile cortonese.

Se poi a causa di tali lanci venisse rovinata la parte di pietra del bacino più in basso della fontana la sanzione pecuniaria raggiungeva le 200 lire, mentre 300 ne erano previste se ne risultassero deturpate le figure della parte superiore e 400 se ne veniva rovinato il bacino superiore.

Il giudice aveva poi la facoltà di applicare pene maggiori o addirittura torture.

Il taglio della manoera previsto per chi non avesse provveduto ad assolvere il proprio obbligo pecuniario nei confronti del Comune se la sanzione in cui erano incorsi era invece superiore a 20 soldi (2).

Quadro gioco dadi

I nostri antichi governanti erano dei bacchettoni che avevano in odio chi si divertiva” è la facile conclusione a cui si potrebbe arrivare dopo aver constatato che, oltre ai divieti descritti sopra, nella legge comunale era stata anche inserita una apposita e lunghissima Rubrica dedicata ai “ludum prohibitis”, i numerosi altri giochi a cui era vietato dedicarsi in tutto il territorio comunale, e alle severissime pene da comminare ai trasgressori di tali proibizioni. (Libro II Rubrica XXXXII – De ludis prohibitis et concessis et mutuantibus ad ludum perditionis pag 210- 216)

Il fatto è che nella Cortona dell’epoca, come in tante altre città medievali, stava dilagando, e non solo tra le classi più economicamente avvantaggiate ma anche tra il popolo, la piaga sociale del gioco d’azzardo o ludum çardi.

Era perciò dovere di chi governava la città preoccuparsi di controllare che l’equilibrio economico dei propri cittadini non venisse compromesso da passatempi che dando luogo a scommesse in denaro divenissero “ludum perditionis” giochi, cioè, socialmente molto dannosi.

Tra i tanti divertimenti “di perdizione” elencati nell’articolo della legge comunale cortonese credo di aver riconosciuto alcuni passatempi popolari che, anche se ormai molto raramente, vengono ancora praticati ma che hanno perso del tutto la loro carica di pericolosità sociale ( ludum petrarum: gioco delle “lastre oppure ruzzolone?” Vel paris vel imparis: “pari o dispari”), altri che tutt’oggi possono dar luogo a scommesse ma che, per quello che ne so, non si definiscono giochi d’azzardo (Ludum taxillorum:gioco con dadi; ludum pugillorum:combattimenti di pugilato? ) e tantisssimi altri di cui io, forse solo per ignoranza o scarsità di fantasia non sono riuscita a trovare equivalenti nei giochi moderni come ad esempio i misteriosi “ludum schannabechum” “ludum maide”, “ludum benolum” ecc.. ecc.

Appurato quindi che tali e tanti divieti erano una necessità sociale e non un puro e semplice mezzo con cui legislatori bigotti e sadici volevano obbligare i residenti nel proprio comune a vivere una triste vita da “penitenti”, a chi però, come me, ha solo un’idea un po’ vaga del vivere quotidiano in una città medioevale appare comunque inspiegabile o quantomeno curioso che nella stessa rubrica dedicata ai giochi “di perdizione” si ripetessero i divieti e le pene estremamente severe per chi si dedicasse a giochi ben più innocenti come quelli che si facevano lanciando o facendo rotolare pietre, limoni, zucche, cipolle , ma che fossero stati inseriti anche divieti e pene specifiche per chi si dilettava con torchios erbarum vel panni” (torchi di erbe o di stoffe) e addirittura con“nivem ammatassatam vel strictam” le innocenti e liberatorie palle di neve!

Forse proprio innocenti questi giochi non lo erano, o… non lo erano sempre!

Ma, ci ricordano i medievalisti, quelli non erano tempi tranquilli, anzi non erano affatto tranquilli.

Non lo erano per nessuno dei Comuni medievali e non lo erano per il nostro territorio che per la sua posizione e per gli interessi economici che poteva soddisfare era costantemente coinvolto, direttamente o indirettamente, nei continui conflitti che si generavano tra le città di Arezzo, Siena, e Perugia.

La nostra città, poi, doveva stare costantemente in allerta e pronta a difendersi per le insistenti rivolte che gli abitanti in alcune delle frazioni del Comune, allora denominateville”, o quelle che i “magnati” , gli aristocratici dell’epoca, organizzavano contro il potere Comunale stesso.

Come se non bastasse poi, coloro che amministravano il nostro Comune avevano molto spesso altri nemici da cui proteggersi: i ceti popolari che non avendo possibilità economiche per dotarsi di armi, non avevano altro modo di manifestare il proprio dissenso che quello poco costoso di organizzare sassaiole, lanci di frutta o di ortaggi contro chi, dall’alto del Palazzo Comunale imponeva tasse e gabelle che, come sempre è accaduto nella storia, mettevano alla fame prima di tutto i più umili.

Più che “palle biologiche” per innocenti giochi da ragazzi, i limoni, le zucche, le cipolle potevano quindi divenire delle vere e proprie “armi biologiche” un po’.. pesanti e sgradevoli da prendersi in testa. Così come non solo sgradevole ma anche foriera di fastidiosi bernoccoli può essere una palla di neve ricevuta in faccia se la “nivem” è ghiacciata e ben “ammatassatam”!

Come potevano però evitare, i popolani, che di tanti oggetti lanciati dalla Piazza verso il Comune qualcuno non andasse a cadere proprio nella fontana violando così il divieto imposto dallo Statuto Comunale?

Praticamente impossibile…

E come potevano permettersi di pagare, i popolani, le esose cifre stabilite per chi osava infrangere la norma?…il carcere, le torture, il taglio della mano che attendevano chi non era in grado di oblare la cifra dovuta erano senz’altro il miglior deterrente a qualsiasi velleità di rivolta popolare!

Il potere costituito, insomma, ha sempre il coltello dalla parte del manico e ne sa sempre una più del diavolo e anche la salvaguardia di una bellissima fontana può diventare un modo “elegante” per impedire il dissenso!

————————————————–

1) Simone Allegria – Valeria Capelli “Statuto del Comune di Cortona 1325-1380” Leo S.Olschki Editore – Firenze 20014

2) Girolamo Mancini- Cortona nel Medioevo – Editrice Grafica L’Etruria anno 1992 pagg 155-156

Le immagini della torre e della fontana sono tratti dalla raccolta di disegni a inchiostro di Tommaso Braccioli, realizzati nella seconda metà del XVI° sec.

Antonella Scaramucci

Vi chiederete il perchè di questa foto. Beh, prima di tutto perchè crescendo sono peggiorata. E poi perchè, dovendo parlare di Pinocchio e delle origini cortonesi di Collodi, è bene tornare ai tempi in cui il mio babbo Folco me lo leggeva alla sera, facendosi (pure lui) delle grosse risate

Share
Published by
Antonella Scaramucci

Recent Posts

Omaggio a Benny Goodman ed Artie Shaw

Si sa come Umbria Jazz, in ormai dieci lustri, abbia portato a Perugia e dintorni,…

1 anno ago

La Valle del Gigante Bianco 2023

Convegni, tavole rotonde, degustazioni enogastronomiche, mostre fotografiche e documentali tutto dedicato all'animale simbolo della Valdichiana:…

2 anni ago

Cortona e l’inflazione… qualche decennio fa (“Anche oggi broccoletti e patate”)

“E io vado a mangiare dallo zio Ernesto!!” Scommetto che se solo avesse un ospitale…

2 anni ago

LUXURY SPAS 2023 VIAGGIO TRA BENESSERE E LUSSO

È uscita la nuova guida di Condé Nast Johansens per una vacanza in una delle…

2 anni ago

I Cattivi del Poliziottesco

Nel genere da me e da tanti altri amato c’ è sempre stata la contrapposizione…

2 anni ago

<strong>Libri Top Ten e Lo Scaffale</strong>

TOP TEN   Mussolini il capobanda. Perchè dovremmo vergognarci del fascismo         di Aldo Cazzullo,…

2 anni ago