I libri di scuola mi son sempre rimasti alquanto indigesti. Parecchio indigesti, direi. Ma se la storia, l’odiata geografia, le noiosissime scienze, condite con un bel po’ di avventura e una abbondante dose di mistero, entravano in qualche modo a far parte della trama di un romanzo per ragazzi, allora diventavano ai miei occhi questioni molto interessanti, informazioni da approfondire accuratamente.
Fu così che quando ancora frequentavo le scuole elementari qualcuno, che evidentemente mi conosceva molto bene, mi regalò un libro che non potei fa a meno di leggere tutto di un fiato. La vicenda mi aveva talmente avvinta che ancor molto prima di esser giunta alla parola “fine”, ero già divenuta una “pasionaria” del Risorgimento, una sostenitrice accanita dei Carbonari, giobertiani, mazziniani, cavouriani che fossero.
“I tre diavoli” del titolo erano i tre giovani patrioti protagonisti della storia. Tre ragazzi molto distanti fra di loro per estrazione sociale, cultura e tendenze politiche che, affratellati dal desiderio di liberare la nostra penisola dall’insopportabile giogo straniero e fiduciosi che con le loro lotte l’avrebbero resa finalmente unita sotto un unico potere politico, avevano aderito all’associazione segreta chiamata Carboneria ben sapendo che tale affiliazione avrebbe comportato per loro affrontare insidiosi pericoli e mettere a repentaglio la loro libertà o addirittura la loro vita.
Dopo quella lettura, e per un bel po’ di tempo, i Carbonari furono al centro di tutte le mie fantasticherie soprattutto quelle che mi aiutavano a prender sonno nelle notti in cui mi trattenevo a dormire a casa della nonna, una casa che aveva la finestra della camera da letto esposta proprio in faccia al Monte Sant’Egidio.
In quelle notti, nel lettone con la nonna che al contrario di me riusciva ad addormentarsi immediatamente, mi crogiolavo al caldo sotto il “coltrone”- il pesantissimo precursore dei moderni piumoni – e dietro a quelle finestre che non avevano persiane ma solo gli scuri che io e lei preferivamo non chiudere del tutto per dar modo al “lume di luna” di farci un po’ di compagnia, intravvedevo al di là dei vetri la montagna tutta nera, senza neanche un lumino posto all’esterno delle poche e piccole case coloniche disseminate qua e là in essa, e mentre immaginavo che le potenti raffiche di vento si generassero proprio da quell’enorme ammasso di terra e alberi per scender giù violente a lambire le strade e le case della città, ripetevo a me stessa: “..notti perfette per i Carbonari..”.
E allora, nell’attesa del sonno e ad occhi semichiusi, vedevo scorrere, come in un film, le immagini dei coraggiosi patrioti che, nascosti dai loro pesanti tabarri, uscivano di soppiatto dalle case della zona per incontrarsi nella loro “vendita”, sicuri che in nottatacce come quelle gli abietti “tutori dell’ordine austriaco” non si sarebbero di certo aggirati al di fuori delle loro caserme in cerca di sovversivi.
Perché scegliessi esattamente quei vicoli bui, quelle strade, quelle abitazioni che si trovavano nei dintorni della casa della mia nonna per ambientarvi le avventure dei miei eroi risorgimentali non so dirvelo. Forse perché l’illuminazione pubblica all’epoca flebilissima e la totale assenza di auto parcheggiate potevano ancora crear l’illusione di essere in un “luogo senza tempo” in cui le notti di bufera erano senz’altro identiche a quelle di cento, duecento,e chissà quanti altri secoli prima? Forse.
“Ma dove, ” mi chiedevo ingenuamente “nei sotterranei di quale palazzo, nella cantina di quale casa cortonese si saranno incontrati i “cugini” Carbonari” che, circospetti, dopo essersi rivolti il saluto di rito “All’avvantaggio! Salute e fratellanza!” davano inizio alle loro discussioni sui nuovi proseliti da aggregare, sulle attività segrete da intraprendere e sulle spedizioni o le sommosse a cui partecipare?
I libri di storia locale, quelli che su cui poi, una volta cresciuta, ho cercato di scoprire quanto potevano esser realistiche quelle mie elucubrazioni infantili, tacevano in merito e nessuna testimonianza particolare provava che i due cortonesi Francesco Benedetti, il patriota, poeta e tragediografo, suicidatosi a Pistoia nel 1821 forse per timore di cadere nelle maglie della repressione, e Zanobi Zucchini, conosciuto come uno dei capi della Carboneria Toscana, avessero lasciato qui, nella loro città natale, delle tracce concrete e particolari del loro agire come cospiratori.
Ma, come sempre, navigando a vista nel “mare magnum” della pressoché infinita enciclopedia telematica che è il web, la soluzione al mio annoso enigma, per caso, si è fatta avanti…
Vicolo Laparelli n. 24, a due passi dalla casa in cui ora vivo e altrettanto vicina a quella in cui abitava mia nonna, Via Roma n. 38 e.. l’Eremo di Sant’Egidio, ecco le “vendite” cortonesi dove gli aderenti alle società segrete sostenitrici dell’Italia libera e unita si davano appuntamento.
“Ludovico Negroni un carbonaro di Orvieto da Cortona a Sapri” (1), non un romanzo ma un saggio che espone il risultato di rigorosi studi condotti dall’orvietano Ing. Sandro Bassetti, un’ opera che lo studioso ha arricchito con la menzione di preziosi documenti di archivio e di citazioni e rimandi ad indagini effettuate da altri ricercatori – come, tra gli altri, il Geralberto Buccolini autore di “Tre nomi ricongiungono nel tempo Cortona e Orvieto. Luca Signorelli – Ludovico Negroni –Filippo Antonio Gualterio” (2) – mi ha rivelato finalmente che Cortona, territorio di confine tra il Granducato di Toscana e lo Stato Pontificio, era stato un centro nodale per la Carboneria e che l’eremo di Sant’ Egidio il luogo di incontro e di riunione per un folto numero di adepti a tale associazione segreta e forse, addirittura, una “scuola” di Carboneria.
Un covo di cospirazione che almeno fino ai primi anni ‘30 del secolo scorso era ancora ricordato come tale da alcuni cortonesi molto anziani che rammentavano vivamente i racconti fatti loro dai “vecchi” di famiglia, narrazioni che riferivano di adunanze che si tenevano, oltreché in alcune case della città, anche nell’antico monastero e qualche volta, forse quando il numero dei partecipanti era talmente elevato da richiedere l’uso di un ambiente più vasto, addirittura nella sua chiesa. (3)
Non credo di esser la sola, tra i cortonesi contemporanei, a non aver mai neanche lontanamente immaginato il grande convento come ex “covo” di una setta segreta. E ciò nonostante nelle lunette affrescate nel soffitto di una delle sue sale si possano ancora notare delle immagini di torce, chiari simboli richiamanti la tradizione massonica e carbonara.
Ma, ora lo so, quel romitorio, per secoli luogo di preghiere e di meditazione, l’attuale sede di innocenti ritiri di boy-scouts e campi scuola estivi per ragazzi, nella sua lunga storia ha vissuto anche insospettabili momenti di vita “segreta” e tratti anche…avventurosa.
L’eremo, in antichità detto Eremo di Fieri, che nel 1066 era stato elargito dai fratelli Arrigo e Ranieri figli del Marchese Uguccione del Monte Santa Maria agli eremiti Camaldolesi, a seguito della soppressione dei conventi avvenuta nell’epoca napoleonica, nel 1808 fu donato da Napoleone Bonaparte al generale Pierre Guillaume de la Roche, brigadiere generale di Napoleone I, comandante della Légion d’honneur, barone dell’impero e duca di Atene.
In data 12 Giugno 1854, il grande monastero le cui proprietà si estendevano in gran parte della montagna e comprendevano oltre alle grandi estensioni di foreste e terreni, numerose case, altrettanti poderi con un gran numero di capi di bestiame e la casa di Via Laparelli n. 24 che era l’ospizio per i pellegrini o per monaci della Congregazione che avessero bisogno di trattenersi all’interno delle mura cittadine, fu ceduto dai figli del “de la Roche” all’orvietano Filippo Antonio Gualteiro, nobiluomo che già molto prima di scegliere Cortona come sede delle sue attività “sovversive”, aveva impegnato molto del suo patrimonio e molte delle sue indubbie capacità di cospiratore in altre città per finanziare, nascondere e agevolare persone, attività e imprese che in qualche modo fossero utili alla causa dell’unità italiana.
E non era certo un caso che “l’infaticabile cospiratore” avesse scelto di impegnare ingente parte delle sue finanze per l’acquisto delle tre proprietà in questa città.
Cortona, infatti, territorio di frontiera tra il Granducato di Toscana e lo Stato Pontificio era facilmente raggiungibile per i capi e gli affiliati della Carboneria umbra e toscana, e l’ex eremo dei Camaldolesi posto a due passi dal confine con comuni “papalini” come Città di Castello, Umbertide e Perugia, e ubicato in posizione talmente isolata nella montagna da risultare molto difficile da sorvegliare sia da parte della polizia granducale che da quella dello Stato Pontificio, fu senz’altro giudicato dal nobiluomo orvietano una “vendita” sufficientemente protetta e abbastanza al riparo da irruzioni poliziesche.
Un luogo abbastanza sicuro, ideale per ospitare, nascondere e istruire alla Carboneria anche patrioti di rilievo, personaggi essenziali per la causa risorgimentale.
Di alcuni di loro noi posteri avremmo letto le gesta nei libri di storia.
Tra questi, ad esempio, il giovane Conte Ludovico Negroni che, andatosene da Cortona, incontrò una ben tragica fine.
“Eran trecento, eran giovani e forti e sono morti” …..” (4) Ricordate?
Il conte Ludovico Negroni di Monterubiaglio era uno di loro e, poiché era il portabandiera del gruppo fu il primo a esser assalito, decapitato e squartato, dai popolani infuriati che, non comprendendo i nobili intenti del gruppo dei seguaci di Carlo Pisacane, si scagliarono contro quei giovani generosi che con quell’impresa si prefiggevano di liberare l’Italia meridionale dal malgoverno borbonico.
Ludovico era giunto in Cortona agli inizi dell’anno 1856 invitato, non si sa esattamente in quale delle tre case, dal marchese Gualteiro e da Cortona, il 25 giugno dello stesso anno aveva scritto ai fratelli: «desidero sistemarmi a Cortona, perché a stare in Orvieto non ci faccio bene, e qui ho trovato un partito che fa per me».
Era sicuramente una “vendita di Carbonari “il partito” che faceva per lui, quella di cui in Cortona non si è mai riusciti a trovare nessuna prova diretta ma che è testimoniata da una lettera datata 27 ottobre 1859 e indirizzata proprio dal Marchese Gualteiro, al Barone Ricasoli – il celeberrimo “barone di ferro” – nella quale Gualteiro stesso afferma testualmente «esiste in Cortona un’estesa associazione di Carbonari che lavora attivamente».
Una «vendita di Carbonari» “certamente frequentata da intellettuali o comunque da persone con alto grado di attendibilità e di autorevolezza, con ottima cultura e con grandi doti di convincimento, una vera e propria scuola per apprendisti Carbonari”, si afferma nel testo dell’ ing. Sandro Bassetti.
Ludovico,però, dopo circa diciotto mesi di permanenza nella nostra città e di preparazione nella carboneria, si era sentito più attratto dagli ideali repubblicani e vicini al socialismo di Carlo Pisacane piuttosto che dalle teorie moderate e attendiste del suo concittadino Gualteiro il quale, in collaborazione con Ricasoli e Cavour, preferiva operare perché fossero la diplomazia e la costruzione paziente di giusti rapporti politici con altre potenze straniere a risolvere, e a favore della monarchia sabauda, la causa dell’unità italiana.
Il giovane conte Negroni sottoscrisse quindi, insieme a Pisacane, “la famosa dichiarazione dei 21” , in cui tutti i firmatari si proclamarono “iniziatori della rivoluzione italiana” e appena qualche giorno dopo, il 25 giugno 1857, s’imbarcò con lo stesso Pisacane ed il gruppo dei suoi compagni sul piroscafo “Il Cagliari” per l’impresa che lo avrebbe portato ad una morte atroce. A soli trentuno anni di età.
Il primo luglio, infatti, in località Padula, a circa 51 km. da Sapri, Ludovico fu squartato. La testa fu consegnata al Re delle due Sicilie e bracci e gambe issate su picche che furono collocati sulle strade d’accesso a Padula. A monito di tutti.
Dopo di lui furono massacrati dai contadini altri 25 partecipanti alla spedizione ed 150 di loro furono invece catturati e consegnati alle autorità borboniche.
“Il primo martire dell’Unità d’Italia” dice l’autore del libro Ing. Sandro Bassetti che ha scelto di vivere nel castello di Monterubiaglio, proprio quello che era stata l’originaria dimora dell’antichissima e nobile famiglia dei Negroni e che da anni si batte perché il corpo del generoso patriota riceva finalmente una degna sepoltura. Alcune parti del suo corpo furono infatti sepolte da mani pietose nel terreno, ed alcune, riesumate da un Comitato di volontari nel 1912, sono da allora ancora conservate fuori dal terreno consacrato del Cimitero di Orvieto, in una piccola urna posta accanto all’ufficio del custode.
Ludovico un giovane “d’azione”, il marchese Gualteiro un uomo “d’inteligence” e la sua vita tempestosa un soggetto perfetto per la sceneggiatura di una intrigante “spy story”
Una spy story intricata ed elettrizzante ma con un finale amaro, troppo amaro per un uomo che per la realizzazione del suo sogno aveva sacrificato la sua vita personale ed impegnato i suoi averi.
Una storia in cui in tempi moderni, tempi in cui “dietrologia” è d’obbligo, alcuni potrebbero vedere la famigerata “ragion di Stato” far capolino..
Intransigente monarchico e di fede rigorosamente moderata, il Gualteiro, infatti, pur prodigandosi con grande impegno e generosità nella sua attività di propaganda, proselitismo, organizzazione e finanziamento di soggetti e attività che, indipendentemente dalla loro adesione ad ideali più o meno progressisti o rivoluzionari, accettassero comunque di combattere per liberare l’Italia dal giogo straniero, era però nello stesso tempo intensamente occupato ad intessere un’ attività parallela di “intelligence” perché delle tante anime che componevano il “movimento” risorgimentale, fossero proprio l’ala più conservatrice e la causa monarchica ad avere, infine, la meglio.
Assillato dal timore che potessero crearsi le condizioni della possibile egemonia di quelli che riteneva “rivoluzionari”, repubblicani, socialisti, garibaldini che fossero non esitò, anche pagando di tasca propria, a servirsi di infiltrati e confidenti.
Tra questi addirittura Stefano Canzio il genero di Garibaldi!
Una vita “spericolata” faticosissima e dispendiosa che esigeva grande impegno organizzativo, acquisto di immobili, mezzi, tipografie, viaggi frequentissimi, ricerca incessante di informazioni, contatti con informatori di entrambi i campi, orditura di relazioni utili, ricerca di protezioni ecc.
Giunto a Cortona quando per la sua passione di sostenitore della causa italiana le sue conoscenze e i contatti con i personaggi più di spicco all’interno della cospirazione toscana e piemontese erano tali e tanti da riempire da soli pagine intere di enciclopedie (https://www.treccani.it/enciclopedia/filippo-antonio-gualterio_(Dizionario-Biografico)/) , era già stato definito un “agitatore” dalla polizia toscana tantoché nei primi di aprile del 1859 il Ministro degli Interni del Granducato aveva emesso un decreto di espulsione nei suoi confronti.
Le sue peregrinazioni tra una città e l’altra, tra uno Stato e l’altro erano così frequenti che in data 13 Aprile 1860 anche la Direzione Generale della Polizia di Roma, avendo constatato che l’orvietano “…col pretesto di recarsi in Cortona dove possiede alcuni stabili, si tiene in comunicazione con i partigiani della rivoluzione nei limitrofi paesi e città del nostro Stato (Pontificio)”, aveva già diramato disposizioni perché le autorità di frontiera effettuassero particolari controlli “per scoprire possibilmente le girovagazioni di Gualteiro” e nel contempo consigliava alle stesse “di portare tutta la sorveglianza sulle persone che si recano o tornano dalla Toscana non lasciando anche di praticare su quelle che offrissero sospetti accurate perquisizioni”. Nella medesima direttiva si disponeva perfino l’arresto di Gualteiro nel caso in cui quest’ultimo fosse entrato nello Stato Pontificio.
Sempre scampato ai possibili provvedimenti di repressione grazie alle protezioni che gli procuravano gli stretti rapporti di collaborazione che intratteneva con Ricasoli, Cavour e Vittorio Emanuele II, una volta conclusasi la II guerra d’Indipendenza e avvenuti quei sommovimenti popolari che nelle varie Regioni d’Italia avevano finalmente provocato la caduta dei vecchi regnanti, il Gualteiro ebbe finalmente l’onore di procedere all’indizione del Plebiscito per l’ “Unione al Regno Costituzionale di Vittorio Emanuele II” che si tenne in Cortona il 12 e 13 Marzo 1860. Plebiscito con il quale i cortonesi, con 5.484 voti a favore su 5.836 votanti dei 7.314 aventi diritto, accettarono l’annessione alla Monarchia di Casa Savoia.
“..Sulle sponde del Trasimeno, ove i Romani seppero morire in disperata lotta d’indipendenza contro un eroe straniero (Annibale n.d.a.), il Cortonese Leone di San Marco manda un ruggito di gioia..”.. “..Italia e Monarchia Sabauda, sono le parole che io scrissi sulla bandiera che levai in mezzo a Voi, o Toscani”.. “..il giorno in cui voi sorgeste concordi al grido Viva Vittorio Emanuele fu il giorno più bello della mia vita fu il migliore compenso che m’ebbi delle mie povere fatiche, dei sacrifici, dell’esilio decennale..”
L’enfasi e la passione contenute nelle frasi ridondanti con cui il 14 marzo giorno dei festeggiamenti susseguenti alla conclusione del Plebiscito e compleanno di Vittorio Emanuele II, Gualteiro ringraziò i Cortonesi per aver accettato l’annessione alla Monarchia di Casa Savoia e per aver proposto la sua candidatura quale deputato al Parlamento in rappresentanza della la nostra Circoscrizione, testimoniano che il marchese orvietano era un uomo austero e pieno di un ardore politico non comune.
Le sue parole, da sole, sono sufficienti a rivelare la sua personalità e a spiegare perciò la tragica evoluzione della sua parabola umana iniziata quando, nominato ad altissimi incarichi nell’amministrazione del nuovo Stato unitario, vide invece progressivamente ottenebrarsi la propria stella proprio a causa della sua ossessiva rigidità nella dedizione all’ideale moderato che credeva sempre pericolosamente minacciato dalla sinistra liberale e dal Partito d’Azione.
“Il Tenebrone”, questo l’epiteto coniato per Gualteiro dai giovani liberali cortonesi che prepararono con lui l’insurrezione che favorì la liberazione di Orvieto, dapprima eletto alla Camera del Parlamento Subalpino dai cittadini cortonesi, divenne in seguito Senatore in rappresentanza degli elettori umbri ma, poiché lo si riteneva più portato a svolgere compiti amministrativi, fu nominato Intendente Generale dell’Umbria e Commissario Regio per le Provincie di Perugia e Orvieto.
Non fu un’esperienza felice come non lo furono quelle da lui vissute in seguito a Napoli, a Genova e a Palermo, le diverse città in cui nell’arco di soli 7 anni (1860-1867), era stato inviato a svolgere le mansioni di Prefetto. I suoi metodi giudicati troppo polizieschi, repressivi ed esageratamente autoritari, infatti, lo avevano reso assolutamente sgradito alle popolazioni amministrate ed ai colleghi della politica.
Per gli stessi motivi durò poco più di due mesi la sua carriera di Ministro dell’Interno (fine ottobre 1867 – dicembre 1867) ed ebbe vita breve anche quella di Ministro della Real Casa (1868-1869), carica alla quale era stato chiamato grazie alla particolare stima ed amicizia che ancora, malgrado tutto, gli veniva riservata da Vittorio Emanuele II.
Ma, anche stavolta, nonostante alcuni indubbi meriti guadagnatisi in questa veste, il Gualteiro si vide costretto alle dimissioni per le gravi divergenze venutesi a creare con l’allora Capo del Governo, Luigi Filippo Menabrea alle dimissioni . Era il novembre 1869.
Fu quello l’ultimo dei suoi incarichi, la sua débacle definitiva.
Inviso anche ai propri compagni di partito, così come agli altri colleghi parlamentari, cadde in una gravissima depressione che già fin da allora lo fece etichettare come “pazzo”, e fu così che ormai povero e considerato malato di mente, Gualteiro morì a soli 54 anni il 10 febbraio 1874.
“Perpetuo sognatore di congiure dacché smise di congiurare” (5), “Dappertutto suscitò tempeste grandissime, dappertutto lasciò tracce profonde di lotte personali e di guerre di partito..”(6) “vedeva in tutto congiure e cospirazione..” “pareva talvolta iroso e rabbioso e anche ingiusto, pieno di sospetti e paure..”(7) “D’indole superba, di tendenza a mezzi polizieschi che scambiava per accortezza politica, …arrecando nelle idee e nei propositi del partito moderato una foga che ben si scostava dalla moderazione..” (7) questi alcuni dei giudizi che lo hanno consegnato alla storia quale soggetto troppo calato nella parte del macchinatore di complotti e accordi segreti per riuscire ad uscire da quel ruolo ed aver poi fiducia nella natura umana e nel sistema politico.
Un uomo fortemente stanco, malato e piegato dai dispiaceri dovuti non solo ai numerosi fallimenti nello svolgimento degli incarichi a cui era stato nominato, ma anche addolorato per la morte di una figlia venticinquenne e per i sopraggiunti problemi finanziari. Un soggetto non più in grado di discernere serenamente: così è stato considerato il marchese orvietano da quasi tutti i biografi successivi.
“Pazzo o personaggio troppo scomodo” ? Si chiedono invece alcuni studiosi contemporanei che cercando di approfondire ulteriormente la personalità e la parabola politica del generoso e passionale orvietano, non sono riusciti a dimostrare con prove documentarie quel temporaneo ricovero in una clinica psichiatrica di Pistoia sempre dato per certo, e che si meravigliano del fatto che in tali presunte disperate condizioni psichiche il Gualteiro, soltanto un paio di mesi prima della morte, abbia potuto tenere nell’aula del Senato una lucidissima e puntualissima relazione tesa a perorare la causa della ristrutturazione del Duomo di Orvieto. (9)
Un giudizio obiettivo quindi o una “damnatio memoriae” forse creata ad arte per allontanare dal governo e dagli ambienti dove si tesseva la politica un uomo “imbarazzante” per ciò che nella sua lunga attività di raccolta e analisi di informazioni segrete aveva saputo o poteva ancora sapere?
“Gli innumerevoli contatti ufficiali, le illustri frequentazioni, i nemici potenti, la fitta rete di informatori e di spie di cui si era servito, le relazioni internazionali, il vastissimo materiale raccolto su personaggi pubblici e privati” (10) che potevano ancora renderlo capace di penetrare gli inevitabili e talvolta necessari patti segreti tra le parti politiche, il suo carattere per niente accomodante ed assolutamente avverso ad accettare mediazioni o compromessi, potevano essere tutti motivi molto validi perché il marchese orvietano apparisse ai politici più “concilianti” proprio il tipo da tener lontano dal Governo e dalle stanze del Re.
La storia italiana del secolo successivo, in fondo, ci ha dimostrato che cose ben peggiori di queste possono avvenire quando lo esige la “ragion di Stato”.
Riprendiamo in mano le cronache della seconda metà del secolo scorso e, fatte le dovute proporzioni…
E allora, lo confesso:
1) da incalllita appassionata di dietrologie e misteri di stato,
2) da “vecchia pasionaria” del Risorgimento amaramente disillusa dall’interpretazione molto poco romantica che i libri di storia universitari mi hanno dato di questa “rivoluzione”definita “borghese” perché il sacrificio di tanti giovani idealisti era servito, in fondo e infine, a quella parte della società che aveva un interesse economico a che, con l’abbattimento delle barriere tra gli stati italiani ed il conseguente annullamento dei dazi che rendevano onerosa la circolazione delle merci, divenisse finalmente possibile quella “rivoluzione industriale” che da ormai quasi un secolo aveva arricchito le classi borghesi di altri Stati Europei,
3) da persona grata ad un uomo che, con tutti i suoi possibili limiti, ha coinvolto Cortona in un processo comunque onorevole per la sua storia,
dall’alto della mia ignoranza, voglio credere a questa ultima tesi e forse proprio perché, anche se anziana, non voglio rinunciare del tutto ai sogni infantili.
Ringrazio L’ing. Sandro Bassetti per la gentile disponibilità con cui mi ha aiutata ad approfondire le vicende già peraltro molto ben esposte nel libro di cui è autore e per avermi fornito le preziose foto e copie dei documenti che ho pubblicato a corredo del presente articolo.
……………………………
Note:
1) Ludovico Negroni un carbonaro di Orvieto da Cortona a Sapri
2) Geralberto Buccolini, Tre nomi ricongiungono nel tempo Cortona e Orvieto. Luca Signorelli – Ludovico Negroni –Filippo Antonio Gualterio, Orvieto, Tipografia Marsili, 1934
3) ibidem pag. 8
4) La spigolatrice di Sapri – Luigi Mercantini
5) Luigi Bonazzi: “Storia di Perugia”
6) Francesco Mistrali: “Da Novara a Roma” – Volume V – 1869 Bologna Società Tipografica di compositori pp 406-407
7) Gilardini: “Commemorazione del Marchese Filippo Antonio Gualteiro Senatore del Regno -Firenze Tipografia Carnesecchi e figli 1875
8) Vittorio Bersezio: “Il Regno di Vittorio Emanuele II- Trent’anni di vita italiana -”Libro VIII – Torino Roma Roux Frassati & C. editori – 1895
(9) Rassegna storica del Risorgimento- Stefania Magliani: La “pazzia” di Gualteiro e la Cappella Nova nel duomo di Orvieto
(10)Bianca Montale “Filippo Antonio Gualteiro Prefetto di Genova” 1976.