Sto vivendo una sorta di felice frenesia (insolita e forse disdicevole per un ultra-cinquantenne) in attesa del concerto cortonese di Steve Hackett che metterà in subbuglio tutte le mie corde emozionali e credo anche quelle di molti altri che, come me, hanno amato, anzi adorato, i Genesis dei primi periodi. Mi spiego: la distinzione è necessaria in quanto i Genesis con Steve Hackett alla chitarra sono diversi, e molto, da quelli dell’ultimo periodo più popolare e commercialmente rilevante che ha partorito le hit miliardarie dei vari “I can’t dance”, “Duke” e “Invisible Touch” quando però alla chitarra era passato il bassista Mike Rutheford.
L’evento del 27 luglio p.v. è straordinario e inaspettato, Hackett che suona i Genesis a Cortona, è per me (sottolineo per me) una delle due o tre cose, musicalmente parlando, più grandi in assoluto che avrei mai potuto sperare o immaginare. Grazie e onore dunque al Mix Festival che lo ha realizzato.
Siccome ancora mancano alcuni giorni ho pensato di scrivere qualcosa per mio puro divertimento e che forse potrà disporre qualche lettore di Valdichianoggi appartenente a generazioni successive alla mia, all’ascolto e alla comprensione di una musica straordinaria e di un musicista-chitarrista tra i più completi, eclettici, produttivi e originali che siano mai esistiti. Ma non starò a dilungarmi sulla biografia\discografia del singolo Hackett o del gruppo Genesis con le varie defezioni prima di Peter Gabriel poi dello stesso Hackett, chiunque potrà informarsi andando su Wikepedia.
Importante è invece inquadrare il contesto storico-artistico che ha partorito il genere-musicale che ascolteremo domenica 27 luglio e di cui i Genesis (primo periodo) sono tra i maggiori rappresentanti.
Il rock, dopo essere passato attraverso l’ingenuità di Elvis (1950) e poi attraverso la beata adolescenza, divertita nel caso dei Beatles, dissacrante nel caso dei Rolling Stones (1960), approda agli anni ’70 durante i quali si fa più maturo e tende a privilegiare la sostanza piuttosto che la forma, diventando così “musica prima di tutto per la crescita della mente” . Proprio per questo viene definito “progressivo”, cioè “pensato” come forma d’arte, come raccoglimento interiore e non più come disimpegno. E’ da questo momento che i ritmi del rock si fondono e si confrontano con le armonie della musica classica dei secoli passati, facendo dell’Europa l’unica culla possibile del neonato “progressive”. Del suddetto genere possiamo elencare i tre elementi fondamentali: l’uso delle nuove tastiere elettroniche, il leggendario organo Hammond e successivamentei sintetizzatori, mellotron, moog, sequenzer (che sostituiscono l’orchestra). Secondo elemento: i testi (non sempre di facile comprensione) molto colti, con continui riferimenti alla letteratura, al teatro, alla fantascienza, alla mitologia e alla religione.
Ma è il terzo elemento che contraddistingue e identifica il “rock progressive”: la “suite” con la quale si infrangono i vecchi schemi del 45 giri, della canzone che dura tre minuti per giungere a brani molto più lunghi che durano una facciata intera di un 33 giri e in alcuni casi addirittura tutti i 45 minuti del disco. Nella suite troviamo un filo conduttore che lega testo e musica con gli interventi solistici degli strumentisti, aggancio ulteriore, questo, alla successione (suite appunto) dei movimenti nel repertorio classico.
I gentili e più appassionati musicofili- lettori, in preparazione al concerto, potrebbero fare un confronto tra alcune suite che furono composte dai maggiori gruppi in quegli anni (si trovano facilmente su Youtube): “Echoes” dei Pink Floyd (1971 – 23 minuti), “Close To The Edge” degli Yes (1973 – 18 minuti), “Tarkus” di Emerson, Lake & Palmer (1971 – 20 minuti), “Thick As Brick” dei Jethro Tull (1972 – 43 minuti), “Supper’s Ready” dei Genesis (1972 – 22 minuti). Più recentemente, anche se a mio avviso con risultati ben diversi, si sono confrontati con la suite molti gruppi musicali, gli unici degni di nota sono i Dream Theater che hanno composto la notevole “Octavarium” (2005 – 24 minuti). Rispetto ai gruppi citati, “Supper’s Ready” dei Genesis con i suoi sette movimenti magicamente legati fra di loro che vanno dalla melodia iniziale alle ritmiche irregolari dell’ Apolcalisse in 9/8 è, ovviamente secondo me, di una bellezza assolutamente ineguagliabile.
Buon ascolto e buon Mix Festival.