Avevo letto di Aurora Vieriu Hutopila, su L’Etruria nell’agosto 2015, il racconto di essersi scoperta malata di tumore. Nel caos emotivo, da assistente ai malati a vittima di grave malattia, descrive quei tormenti senza eccessi sensazionalistici, nel lungo e doloroso percorso tra un intervento chirurgico e l’altro.
Poco dopo, ci siamo conosciuti su Facebook. Orami i social network sono il sistema più veloce per conoscere persone. Nel frattempo, non ci siamo scambiati neppure un saluto, limitandoci ai like su foto aforismi racconti e poesie postate su internet, come nella gran parte delle relazioni virtuali. Quando, giorni fa, trovai un messaggio di Aurora in cui chiedeva se conoscevo don Benito, che avrebbe voluto incontrarmi, che leggeva i personaggi pubblicati ne L’Etruria e nei miei libri, e, infine, che era ospite nella parrocchia di Camucia.
E, così, ci siamo incontrati.
Giornalista della carta stampata, seguita dal pubblico in rubriche sulla Gazeta de Campulung-Mold. e sul Monitorul de Campulung-Mold.; ancor oggi, è corrispondente dall’Italia della rivista Il Sorriso della Bucovina. Regione nella quale è stata protagonista nella società civile e nell’opinione pubblica; ed è seguita quale animatrice interculturale italo – rumena; e scrittrice di un libro, in rumeno e italiano, intitolato Gocce, su personaggi che le sono parsi speciali.
Separata dal marito, l’affermato pittore Vasile Hutopila, nel seguire una nuova storia sentimentale si trovò a vivere in Calabria, per sette anni. Accolta bene dalla madre del compagno, fu l’ultima a scoprire i tradimenti dell’uomo. Ella, pur rimasta fedele alla chiesa ortodossa, aveva riscosso la fiducia del parroco scomparso precocemente, don Antonio, studioso del filosofo Kierkegaard.
In visita alla sorella, capì che le sarebbe piaciuto vivere in Toscana. Nell’occasione, consigliata da amici, in un incontro fugace conobbe don Benito – sul piazzale della chiesa intento a dirigere lavori di manutenzione –, domandandogli aiuto per trasferirsi in Toscana. Dopo breve attesa, don Benito le procurò il primo lavoro che consentì ad Aurora di realizzare il suo desiderio, fino a inserirsi del tutto nella nuova comunità.
In seguito alle travagliate vicende di salute, ebbe difficoltà di lavoro e alloggio. Con don Benito ebbe a confidarsi, nella prostrazione del momento, convinta d’esser senza vie d’uscita. Tranquillizzandola, il sacerdote promise che le avrebbe procurato un nuovo riparo. La sistemò nell’ala parrocchiale dove fervono attività ricreative, caritatevoli e culturali.
Aurora, in procinto di pubblicare un terzo libro, se pur con ridotte capacità lavorative, prosegue l’assistenza ai malati e il volontaria AVO, presso il centro oncologico di Arezzo. Di carattere riservato, vive appartata. Salvo nel lavoro e nel volontariato. A distanza, si cura dei figli ben sistemati. Il più piccolo cresciuto in Italia – ha pure inflessioni gergali da meridionale – è integrato nel lavoro. Il maggiore, Matei Hutopila, vive in Romania. Già piccolo, imparò l’italiano sui libri di casa. Professionista stimato, coltiva con successo la passione per la poesia.
Rispondere alla domanda di Aurora, se conoscevo don Benito, per me è stato facile.
Lo conosco da ragazzo. Insegnante in seminario di italiano e latino – alle scuole medie – ci spronò allo studio e all’esercizio della poesia. Sollecitazione di cui gli sono grato. La poesia è vita, basta saperla cogliere. Ben più arduo è esprimersi in questa forma. Ricordo com’egli premiò l’impegno della scolaresca, ciclostilando una raccolta di poesiole dal titolo di “Fiore in fiore”, di cui s’è persa traccia senza danno per la letteratura. Ma l’esperienza d’insegnante, a un gruppetto di alunni, stava stretta a don Benito, don Benuccio per i colleghi, forse per la statura medio bassa. I superiori, colte le sue potenzialità organizzative e manageriali, gli affidarono parrocchie sempre più importanti, fino alla maggiore di tutte: Camucia. Nel tempo, è stato pure ai vertici amministrativi del patrimonio del clero diocesano.
Vivendo in ambiti e con interessi diversi, con don Benito ci siamo trovati su sponde politiche diverse, restando però inalterate amicizia e stima reciproche. Tanto che, non molto tempo fa, per conto del Vescovo mi chiese una copia di una tesi di laurea in cui avevo scritto sul vescovo cortonese del settecento Giuseppe Ippoliti, ammirevole difensore dei contadini. La sua telefonata fu decisiva a spingermi a pubblicare quello studio, che fin allora avevo trascurato. Lavorandoci sopra – e copiando nel titolo un motto contadino salvato da don Sante Felici: “Chj lavora fa la gobba chj ‘n lavora fa la robba” – quella tesi di laurea si è tramutata in un libro che mi è caro.
Ma qual’era il senso della domanda di Aurora, se conoscevo don Benito?
Desiderava esternare gratitudine al sacerdote che, prima ancora di conoscerla e in più occasioni, le ha fornito soluzioni a problemi di lavoro ed alloggio, senza chieder nulla in cambio. Né soldi, né un caffè! che Aurora gli offrirebbe ben volentieri. Scottata da deludenti esperienze precedenti, è rimasta meravigliata da tale generosità e disinteresse. Oltretutto, è colpita dal dinamismo di don Benito, quasi ottantenne, nello svolgere funzioni sacre – ad avviso di Aurora più suadente di altri religiosi -, e nel seguire attività parrocchiali e oratoriali con fervore giovanile, fino a tarda sera.
Concludendo. Se don Benito vorrà, sui gesti generosi elargiti, sarà lui stesso a fornire risposte ad Aurora. A noi resta augurare, alla giovane e colta donna, un imbocca al lupo, affinché si rimetta in salute, presto e bene, e, insieme alle incombenze assistenziali quotidiane, persegua i suoi progetti di scrittrice e promotrice di scambi culturali tra Italia e Romania.
www.ferrucciofabilli.it