Prosegue il lavoro di Sei Toscana dopo la nomina dei commissari
Dopo aver ricevuto la notifica del dispositivo per l’adozione delle misure di cui all’art. 32 D.l.n.90 del 24/06/2014 a firma del prefetto di Siena, Sei Toscana conferma la completa collaborazione da parte dell’intera struttura e dei propri organi, assicurando la massima trasparenza possibile.
La società è in grado di garantire la continuità e la qualità dei servizi svolti sul territorio, potendo contare sulla propria struttura operativa e la competenza e professionalità di tutti i suoi dipendenti. “Nella giornata di lunedì ho avuto un primo incontro con i tre commissari ai quali ho confermato la nostra massima e piena collaborazione – afferma il presidente di Sei Toscana, Roberto Paolini –. Il personale, amministrativo ed operativo, della società proseguirà come sempre il proprio lavoro al meglio per garantire al cittadino il miglior servizio possibile”. I tre commissari nominati dal prefetto di Siena, Armando Gradone, sono il chimico avellinese esperto in materia rifiuti, Maurizio Galasso; Paolo Longoni, commercialista originario di Parma e Salvatore Santucci, commercialista e consulente aziendale di Perugia. I tre commissari, che resteranno in carica per i prossimi tre mesi (eventualmente prorogabili) procederanno parallelamente alla ordinaria amministrazione della società per verificare il rispetto degli accordi del contratto di servizio per la gestione integrata dei rifiuti affidato a Sei Toscana dall’Ato Toscana Sud.
Approvate dal Parlamento europeo le proposte sul pacchetto “Economia Circolare”
L’Assemblea plenaria del Parlamento europeo ha approvato la proposta di modifica al progetto di aggiornamento di sei direttive europee in materia di rifiuti. Si tratta delle direttive quadro sui rifiuti, sui rifiuti di imballaggi, sui Raee (rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche), sui veicoli fuori uso, sulle batterie e sulle discariche. Nei prossimi mesi è attesa la posizione al riguardo da parte del Consiglio europeo. Una volta definita la posizione del Consiglio, si andrà ad un confronto tra la Commissione, il Parlamento e il Consiglio per condividere il testo finale delle modifiche da apportare alle direttive. L’Assemblea ha chiesto di alzare gli obiettivi di riciclaggio da raggiungere entro il 2030: per quanto riguarda i rifiuti urbani al 70%, di cui almeno il 5% preparati per il riutilizzo; per quelli di imballaggio all’80%, oltre ad un almeno il 10% di imballaggi riutilizzati e per la quantità massima conferibile in discarica al 5%. L’Assemblea ha anche richiesto di disporre obiettivi di prevenzione della produzione di scarti alimentari del 30% entro il 2025 e del 50% entro il 2030 rispetto alla quantità generata nel 2014. Viene, inoltre, sollecitata l’introduzione dell’obbligatorietà della raccolta differenziata dei rifiuti di indumenti, nonché per i rifiuti da costruzione. Infine viene richiesto che le frazioni oggi oggetto di raccolta differenziata siano oggetto di cernita anche per i rifiuti speciali. Altri aspetti salienti del documento consistono nella richiesta di rafforzare la Responsabilità Estesa del Produttore (EPR), di fare un maggior ricorso a strumenti economici come la tassazione dell’incenerimento e l’introduzione della cauzione, nonché di agire in maniera più decisa per la riduzione delle sostanze pericolose presenti nei prodotti e nei rifiuti. Di notevole interesse è anche l’introduzione di un elenco indicativo degli strumenti per promuovere il passaggio verso un’economia circolare.
SDC: scambiare e vendere energia rinnovabile deve essere libero per tutti. 7700 firme alla petizione.
Una petizione del 20 febbraio e rivolta al primo ministro Gentiloni chiede di consentire finalmente in Italia lo sviluppo dei “sistemi di distribuzione chiusi” (SDC), reti elettriche private che permettono di scambiare energia, prodotta soprattutto da rinnovabili, verso più clienti.
Articolo pubblicato il 20 febbraio 2017. Aggiornamento petizione al 24 marzo: 7700 firme
L’aula del Senato riprenderà a breve l’esame sul ddl Concorrenza. Sulla spinta delle associazioni ambientaliste, dei consumatori e del settore delle rinnovabili e dell’efficienza energetica sono stati presentati emendamenti importanti che riguardano lo sviluppo della generazione distribuita di energia rinnovabile, che potrebbero consentire il ripristino dei “sistemi di distribuzione chiusi” (SDC), reti elettriche private che permettono di scambiare energia prodotta verso più clienti. Ora c’è anche la possibilità di firmare una petizione rivolta al Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni.
Secondo i fautori di questo cambiamento, l’utilizzo dei “sistemi di distribuzione chiusi” da parte dei singoli cittadini “prosumer” o da piccole, medie o grandi aziende, romperebbe definitivamente un sistema basato su forme di oligopolio che scaricano sui costi energetici di ognuno di noi le loro inefficienze, i loro gigantismi organizzativi, i loro sprechi infiniti.
Sulla possibilità – al momento negata – di realizzare nuovi SDC, l’Autorità per l’Energia ha stabilito che questi “non dovrebbero essere realizzati al fine di promuovere le fonti rinnovabili e l’efficienza energetica (che dovrebbe invece essere effettuata tramite incentivi espliciti ove necessari) né al fine di promuovere la concorrenza nelle reti elettriche, il che è peraltro in contrasto con la normativa vigente, ma, eventualmente, solo qualora ricorrano le condizioni previste dall’articolo 28 della direttiva 2009/72/CE, cioè solo qualora, date le particolari circostanze, tale soluzione possa risultare più efficiente rispetto allo sviluppo della rete pubblica).”
“Una visione, quella dell’Aeegsi – aveva commentato a QualEnergia.it l’avvocato Emilio Sani dello studio Macchi di Cellere Gangemi – che non tiene conto di quanto proposto nel nuovo pacchetto europeo sull’energia, nel quale si invita esplicitamente a favorire le reti private negli edifici per promuovere generazione distribuita e rinnovabili.”
Quella di sviluppare i SDC è una necessità sulla quale nel luglio del 2016 è intervenuta anche l’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), ritenendo che gli “ostacoli alle reti private definiscono una discriminazione a favore del modello dominante di organizzazione del sistema elettrico, basato sulla centralizzazione della generazione di energia elettrica in impianti di grandi dimensione e sulla trasmissione e distribuzione attraverso reti pubbliche dell’elettricità e dell’unità di consumo”.
Per l’AGCM questo sistema “riflette per lo più le scelte tecnologiche compiute nel passato e non favorisce le evoluzioni delle reti verso nuovi modelli di organizzazione del sistema elettrico che possono utilmente contribuire al raggiungimento degli obbiettivi generali di convenienza dell’energia per gli utenti, innovazione, sicurezza e sostenibilità finanziaria del sistema elettrico nazionale, oltre che di tutela della concorrenza”.
L’AGCM chiedeva al Parlamento, al Ministro dello Sviluppo Economico, al Presidente della X Commissione e ad altre istituzioni “una revisione e integrazione della disciplina normativa e regolamentare riguardante i Sistemi di Distribuzione Chiusi, volta a consentire la realizzazione di nuovi reti elettriche private diverse dalla RIU (rete Interna di Utenza) e ad eliminare ingiustificate limitazioni alla concorrenza tra differenti modalità organizzative delle reti elettriche e tra differenti tecnologie di generazione”.
Durante l’esame del ddl Concorrenza, tenuto nella Commissione Industria del Senato, il Governo ha preso perfino un impegno con l ‘approvazione dell’ordine del giorno G/2085/48/10.
La mancata approvazione e la penalizzazione di questi sistemi impedisce fonti come il fotovoltaico ma anche a tutte le altre rinnovabili, di potersi affermare e diffondere su tutto il territorio nazionale.
L’applicazione di questa riforma non squilibra le reti, ma le razionalizza, le rende più programmabili e le accorcia, determinando un immediato risparmio in termini di efficienza dato che la rete perde in trasmissione almeno il 10% di quando immette.
Sembra che sull’esame del provvedimento in aula il Governo sarebbe intenzionato a chiedere la fiducia sul testo, apportando alcune modifiche.
Per questo si chiede un impegno concreto a Governo e Parlamento affinché nell’esame in aula del ddl Concorrenza venga finalmente approvata questa norma.
FIRMA LA PETIZIONE
Inquinamento: in Italia va meglio anche grazie alle rinnovabili, ma la strada è ancora lunga
In Italia, dal 1990 ad oggi sono diminuite complessivamente le emissioni dei cinque principali inquinanti identificati dall’Unione europea come i più dannosi per la salute e gli ecosistemi naturali. Ma siamo ancora lontani dal raggiungimento dei limiti previsti dall’UE per il 2030, Uno studio stabilisce che in Italia, dal 1990 ad oggi, sono diminuite complessivamente le emissioni dei cinque principali inquinanti identificati dall’Unione europea come i più dannosi per la salute e gli ecosistemi naturali, in particolare biossido di zolfo (-93%), monossido di carbonio (-69%), ossidi di azoto (-61%), composti organici volatili non metanici (-57%) e polveri sottili PM2,5 (-31%).
Ma siamo ancora lontani dal raggiungimento dei limiti previsti dalla direttiva NEC dell’Ue sui tetti alle emissioni al 2030,
È quanto emerge, in estrema sintesi, dal rapporto sugli effetti dell’inquinamento dell’aria presentato dall’ENEA, che ha curato il coordinamento e la pubblicazione dei contenuti scientifici elaborati dai maggior esperti nazionali in materia.
“Oltre al miglioramento dell’efficienza energetica e alla diffusione delle rinnovabili, questi risultati sono stati ottenuti grazie alla combinazione di molteplici fattori: una più ampia diffusione di nuove tecnologie, limiti di emissione più stringenti nei settori energia e industria, carburanti e autovetture più ‘puliti’ e l’introduzione del gas naturale nella produzione elettrica e negli impianti di riscaldamento domestici”, spiega Gabriele Zanini, responsabile della divisione ‘Modelli e tecnologie per la riduzione degli impatti antropici e dei rischi naturali’ dell’ENEA.
L’agricoltura, in particolare la gestione dei reflui animali, ha registrato la più piccola percentuale di riduzione degli inquinanti: a fronte di un comparto responsabile di oltre il 95% delle emissioni di ammoniaca, la contrazione è stata pari solo al 17%.
Di segno opposto quanto avvenuto nel settore civile, che ha registrato un incremento del 46% delle emissioni di PM2,5 rispetto ai valori del 1990, principalmente per l’aumento dell’uso di biomassa in impianti di riscaldamento a bassa efficienza.
“In Italia resta ancora alto l’impatto negativo dell’inquinamento atmosferico sulla salute e gli ecosistemi – aggiunge Zanini – nonostante le riduzioni delle concentrazioni osservate negli ultimi due decenni. Oltre ad essere a rischio biodiversità e produttività agricola, sono in aumento tra la popolazione malattie respiratorie e cardiovascolari. Da solo il particolato fine causa circa 30mila decessi ogni anno, come risulta da un recente studio a cui abbiamo partecipato. In termini di mesi di vita persi, l’inquinamento accorcia la vita di ciascun italiano di 10 mesi in media: 14 per chi vive al nord, 6,6 al centro e 5,7 al sud e nelle isole”.
“Le emissioni di ossidi di azoto da trasporto stradale non si sono ridotte quanto atteso con l’introduzione degli standard Euro per le macchine a gasolio, avendo i test su strada mostrato che le emissioni nei cicli reali di guida sono più alte rispetto alle emissioni misurate nei test di omologazione” sottolinea Alessandra De Marco, ricercatrice del Laboratorio Inquinamento Atmosferico dell’ENEA e tra i coordinatori del rapporto presentato oggi.
“Nonostante i significativi progressi dal 1990 a oggi – aggiunge Zanini – i più recenti scenari emissivi sviluppati dall’ENEA mostrano che siamo ancora lontani dal raggiungimento dei limiti previsti dalla direttiva NEC dell’Ue sui tetti alle emissioni al 2030, in particolare per PM2,5, composti organici volatili non metanici e ammoniaca. Ma per ridurre le emissioni sono disponibili differenti misure, da un uso più efficiente della legna da ardere nel settore residenziale, all’introduzione di una dieta a basso tenore di azoto negli allevamenti o ad un uso più efficiente dell’urea come fertilizzante. Accanto alle misure tecnologiche, occorre promuoverne altre che interessino direttamente le abitudini e gli stili di vita dei cittadini, quali il ricorso a una dieta meno proteica o l’uso di mezzi di trasporto pubblici e meno inquinanti”.
“Tecnologie a parte – sottolinea Alessandra De Marco – in città le foreste urbane possono contribuire alla riduzione dell’inquinamento perché sono in grado di catturare gli inquinanti come polveri sottili e ozono. Un nostro studio sulla città di Firenze, realizzato in collaborazione con CNR e Università di Firenze, ha dimostrato come gli alberi in città possano abbattere del 13% il PM10 e del 5% l’ozono. Molto problematica, invece, laconservazione dei beni culturali, dove sempre un studio mostra un rischio corrosione del 26% dei siti archeologici e del 17% di chiese e conventi storici.”Abbiamo soluzioni che possono ridurre gli impatti – conclude Zanini – ma occorre integrare le politiche climatiche e quelle di qualità dell’aria, utilizzando misure e modelli e coordinando differenti settori scientifici e gruppi di ricerca”.
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