Riparte RI-Creazione, il progetto di educazione ambientale di Sei Toscana
Tutto pronto per il ritorno fra i banchi di scuola di “RI-Creazione. Da oggetto a rifiuto …e ritorno. La via delle 4 R”, il progetto di educazione ambientale promosso da Sei Toscana. Dopo lo straordinario riscontro avuto nella prima edizione, anche per questo anno scolastico Sei Toscana è pronta a riportare nelle scuole primarie e secondarie di primo grado dei comuni della Toscana del sud percorsi educativi per approfondire l’argomento dei rifiuti e del ciclo dei materiali.
L’obiettivo è quello di incentivare la diffusione di buone pratiche quotidiane, sia a casa che a scuola, e ridurre l’impatto dei nostri comportamenti quotidiani sull’ambiente, costruendo un sistema di relazioni finalizzato a creare occasioni utili nell’educazione allo sviluppo sostenibile dei cittadini del domani. Anche per questa seconda edizione del progetto, l’offerta formativa prevede dei percorsi diversificati e strutturati in relazione alle varie fasce d’età degli alunni e finalizzati all’approfondimento di una o più delle “4R” del ciclo dei rifiuti (Riduzione, Riutilizzo, Riciclo, Recupero).
Sei Toscana ha avviato a riciclo e recupero più di 220 tonnellate di olio alimentare esausto
Sono stati più di 220mila i kg di olio alimentare esausto raccolti e avviati a recupero da Sei Toscana nel corso del 2016 nei 106 comuni dove il gestore svolge il proprio servizio. Di questi, quasi centomila sono stati raccolti nei comuni della provincia di Arezzo, mentre dal territorio senese provengono circa 71 tonnellate. Val di Cornia e comuni della provincia di Grosseto hanno invece raccolto nel corso del 2016 poco più di 53mila kg. Dati significativi che evidenziano una sempre maggiore attenzione da parte dei cittadini della Toscana del sud alle tematiche ambientali e, al contempo, l’impegno di Sei Toscana, in collaborazione con le aziende private del territorio, le amministrazioni comunali e l’autorità di ambito nell’allargare la rete di punti di raccolta per mettere a disposizione degli utenti un servizio sempre più efficace rispondente alle esigenze della popolazione.
Mobilità condivisa Una rivoluzione nei trasporti
Passo dopo passo, negli ultimi anni, il nostro modo di viaggiare è profondamente cambiato. Qualche tempo fa, per andare al lavoro o in vacanza, potevamo scegliere se muoverci con i mezzi per il trasporto pubblico o se optare per un veicolo privato. Oggi abbiamo imparato a spostarci in modo più economico e sostenibile. Per raggiungere un altro quartiere della città, cambiare regione o addirittura stato possiamo contare su una terza alternativa: una soluzione ibrida, a metà strada tra le due precedenti. I dati dell’Osservatorio Nazionale sulla sharing mobility ci dicono che molte persone, nel 2016, hanno deciso di affidarsi alla mobilità condivisa.
È in atto una rivoluzione tecnologica e culturale che ha ancora grandi margini di espansione.
Parlare di mobilità condivisa significa fare riferimento a un ampio gruppo di servizi che comprende la condivisione delle biciclette e altre a soluzioni più recenti come lo “sharing” dei parcheggi o degli scooter. Il principio economico di fondo è semplice: la sharing mobility permette di ottimizzare le risorse, attribuendone di volta in volta l’utilizzo di un servizio a chi ne ha bisogno. Portafogli a parte, i vantaggi sono notevoli anche per l’ambiente. Il Car Pooling, ovvero l’utilizzo di una sola automobile da parte di un gruppo di persone che compiono abitualmente lo stesso tragitto, permette un risparmio nelle emissioni di anidride carbonica del 12% nelle medie-lunghe percorrenze. Con il carpooling aziendale, il taglio potrebbe arrivare anche al 30% nel caso di brevi spostamenti casa-lavoro.
Il Car Pooling è una delle pratiche di mobilità condivisa più diffusa, insieme al Bike e al Car Sharing. Per quanto riguarda il bike sharing, che è stato avviato in Italia nel 2001, le biciclette in condivisione hanno raggiunto le 13mila unità: questa cifra conferisce al nostro Paese un primato europeo in termini di numero di servizi attivi. Il car sharing, la cui esplosione risale a 3-4 anni fa e coincide con la diffusione di massa degli smartphone, conta una flotta di 5.764 auto per 700mila utenti in 29 diverse città italiane.
In Italia è il Nord, con Milano in particolare, a essersi dimostrato molto più pronto a raccogliere le novità della sharing mobility. Qui si trova il 64% dei servizi di bike sharing e l’81% delle bici condivise. Anche nel Mezzogiorno, però, questa pratica potrebbe crescere in tempi relativamente brevi. La mobilità condivisa, infatti, non richiede grossi investimenti economici infrastrutturali. L’importante è attuare delle politiche che possano agevolare l’azione dei privati che erogano questi servizi.
Impatto zero-Vademecum per famiglie a rifiuti zero’, una guida alla decrescita
“Il rimedio è la povertà” scriveva Goffredo Parise, nel 1974. Ma se lo diceva allora, (quando le auto erano poche, le piazze ancora vivibili, i grandi centri commerciali non esistevano e manco gli smartphone), cosa direbbe ora? A volte temo che se ci togliessero il voto e la libertà di stampa, solo in pochi protesterebbero, ma se ci togliessero la possibilità di usare le auto private (dandoci in cambio bici e aumentando i mezzi pubblici), ci sarebbe una rivolta generale, scioperi e barricate. “Il socialismo può solo arrivare in bicicletta”, diceva José Antonio Viera Gallo, il sottosegretario alla Giustizia nel governo Allende. Altri tempi. Chi oserebbe dirlo, oggi?
Per piantare i piedi contro questo “facile vento”, per testimoniare che è possibile, e nemmeno così difficile. Tanti ci chiedono: “Ma se si lavora non si ha il tempo di fare tutto quello che fate voi”. Noi lavoriamo, ma non a tempo pieno (se per lavoro si intende solo quello stipendiato). Un po’ per scelta, un po’ per forza, abbiamo fatto fruttare questo tempo “libero” autoproducendo, andando in bici, stando coi nostri bambini e aprendo le porte ai bambini in difficoltà. Lavorare meno, per lavorare tutti, per vivere meglio.
In fondo, basta fare qualche conto: l’auto costa circa 7.700 euro l’anno solo per mantenerla. Se rinunciamo all’auto (o quantomeno ne riduciamo l’uso) potremmo lavorare meno. Se rinunciamo a comprare prodotti industriali al supermercato autoproducendoli con semplici materie prime, comprate sfuse, potremmo rispamiare soldi, ridurre rifiuti, e non toglieremo tempo ai figli (perché si autoproduce stando in casa e spesso i bimbi si divertono ad aiutare). Se vestiamo abiti usati, se facciamo a meno dello smartphone ultimo modello, risparmieremo soldi, tempo ed eviteremo di consumare inutilmente nuove risorse e materie prime. Ovviamente questa scelta di sobrietà volontaria implica una riduzione dei bisogni, dei consumi, dello spreco, e quindi del Pil della nazione. Ma mentre il Pil decresce, cresce la qualità di vita e la democrazia della nazione.
Italia per la prima volta pro Ogm. Grazie Lorenzin!
Il governo italiano ha votato a favore degli Ogm in sede europea. Era da molto tempo che non succedeva. Dobbiamo ringraziare di questo la ministra della salute Lorenzin, da sempre schierata a favore di Ogm e glifosato. Allo stesso tempo dobbiamo anche capire che in Europa, con l’acquisizione tedesca della Monsanto, si apre probabilmente una nuova fase sulla quale è bene cominciare a tener alta la guardia. Questo clamoroso “scivolone”, come lo ha definito Greenpeace, può almeno in parte essere considerato un ennesimo “danno collaterale” della catastrofe del terremoto e delle nevicate in Centro Italia. Mentre i ministri dell’Agricoltura e dell’Ambiente Martina e Galletti sono impegnati con queste emergenze e il dramma di un tessuto economico e sociale devastato e da ricostruire, la ministra Lorenzin ha avuto modo con un blitz di spostare a favore degli Ogm un equilibrio fra componenti del governo già messo a dura prova all’epoca del voto sull’autorizzazione per il glifosato. Com’è noto glifosato e mais Ogm della Monsanto vanno a braccetto da sempre: le piante sono selezionate in modo tale che si possa usare una grande quantità del principio chimico che l’agenzia di ricerca sul cancro (Iarc) ha definito come probabilmente cancerogeno per gli esseri umani. Ora che la multinazionale americana è stata acquisita dalla tedesca Bayer, ci ritroviamo in casa enormi interessi economici e soprattutto enormi conflitti di interesse. Il fatto è che anche sulla questione degli Ogm l’Europa non riesce a prendere una posizione univoca e chiara. Del resto, quando la politica balbetta è tempo favorevole di scorribande per i sempre più potenti e solitari padroni della chimica e della genetica, non solo in campo agricolo.
Domanda elettrica giù del 2,1% e rinnovabili al 34,2%. I dati Terna per il 2016
Dei 310,2 TWh richiesti dal nostro paese nel 2016, 106,2 sono da fonti rinnovabili, 1,4 TWh in meno rispetto al 2015. In netta crescita l’eolico e il termoelettrico; stabile il fotovoltaico che in appena due anni produce solo 700 GWh in più. I dati di Terna per lo scorso anno.
I dati di Terna per il 2016 ci confermano una riduzione della domanda, che a fine dicembre risulta inferiore del 2,1% rispetto al 2015, dato che si conferma anche in termini decalendarizzati (vedi rapporto mensile A livello territoriale nel 2016 la variazione del fabbisogno è pari a -2% al Nord, a -2% al Centro, -2% al Sud e -4% nelle Isole. Dei 310,2 TWh richiesti nel 2016, l’89% è stato prodotto a livello nazionale (275,6 TWh). Nel grafico possiamo vedere l’andamento dei consumi elettrici negli ultimi 17 anni in Italia.
Il saldo con l’estero nel 2016 è stato di circa 37 TWh, in diminuzione del 20,2% rispetto al 2015, mentre cresce del 38% l’export.
Da registrare una significativa crescita annuale del termoelettrico (187,4 TWh, +2,5% sul 2015), con una impennata nel mese di dicembre (vedi tabella).
È pari a 106,2 TWh l’elettricità generata da fonti rinnovabili, circa 1,4 TWh in meno rispetto al 2015. La quota delle rinnovabili elettriche sulla domanda è del 34,2%, mentre nel 2015 si attestava sul 34% anche e va ricordato che quell’anno la domanda era di circa 6,7 TWh più elevata.
Sulla produzione nazionale invece, la quota da rinnovabili nel 2016, pari al 38,5%, scende rispetto al 2015 (era del 39,5%).
Entrambe queste percentuali calano rispetto al dato 2014. Due anni fa infatti la quota delle rinnovabili sulla domanda si attestava intorno al 38,4% e quella sulla produzione del 44,3%.
Tutte le rinnovabili producevano 119 TWh, soprattutto grazie a una notevolissima produzione da idroelettrico: 59,5 TWh contro 42,3 del 2016 (-8,9% sul 2015 quando furono prodotti 46,4 TWh).
Il fotovoltaico ha prodotto 22,5 TWh, più o meno quanto fatto nel 2015. Lo scorso anno il fotovoltaico ha coperto il 7,3% della domanda elettrica (l’8,2% della produzione interna).
Dal 2014 la produzione annuale da solare FV è cresciuta di appena 700 GWh. Oggi rappresenta il 21,2% di tutte le rinnovabili.
In notevole crescita la produzione da eolico: +18,7% (con 17,4 TWh nel 2016), così da coprire il 5,6% della domanda elettrica (6,3% della produzione). A dicembre la produzione è più che raddoppiata rispetto allo stesso mese del 2015. L’energia dal vento oggi costituisce in Italia il 16,4% delle fonti rinnovabili.
Inquinamento nelle città italiane: la fotografia di Legambiente
Il rapporto Mal’aria di città di Legambiente analizza l’inquinamento atmosferico e acustico nelle città italiane e fa una lista delle situazioni più critiche, tra cui Frosinone, Pavia, Vicenza, Milano e
Città soffocate e avvolte dallo smog. Anche il 2015 per l’aria respirata nei centri urbani è stato un anno da “codice rosso”, segnato da un’emergenza smog sempre più cronica.
Milano avvolta in una cappa che la fa somigliare a Pechino, la Pianura Padana coperta da un manto di nebbia e smog, la città della Mole dove non si intravedono sullo sfondo le montagne e la vetta del Monviso, o Roma che si risveglia più volte velata da un’insolita foschia sono solo un esempio.
Non basta appellarsi all’assenza di vento e pioggia per intere settimane, l’aria diventa sempre più irrespirabile a causa delle elevate concentrazioni delle polveri sottili, dell’ozono e del biossido di azoto che causano, tra l’altro, danni alla salute dei cittadini e all’ambiente circostante.
A conferma di ciò arrivano i dati scientifici di Mal’Aria di città 2016, il dossier annuale di Legambiente sull’inquinamento atmosferico e acustico nelle città italiane (link in basso).
Delle 90 città monitorate dall’associazione ambientalista nella campagna “PM10 ti tengo d’occhio”, nel 2015 ben 48 (il 53%), hanno superato il limite dei 35 giorni di sforamento consentiti di PM10.
Le situazioni più critiche si sono registrate a Frosinone che guida anche quest’anno la classifica dei capoluoghi di provincia dove i giorni di superamento nel 2015 sono stati 115; seguita da Pavia con 114 giorni, Vicenza con 110, Milano con 101 e Torino con 99.
Dei 48 capoluoghi fuori legge il 6% (Frosinone, Pavia e Vicenza) ha superato il limite delle 35 giornate più del triplo delle volte, andando oltre i 105 giorni totali; il 33% lo ha superato di almeno due volte e il 25% ha superato il limite legale una volta e mezza.
Anche a livello regionale, la situazione non è delle migliori: in Veneto il 92% delle centraline urbane monitorate ha superato il limite dei 35 giorni consentiti; (in particolare quelle di Padova, Rovigo, Treviso, Venezia, Verona e Vicenza), in Lombardia l’84% delle centraline urbane (tutte quelle di Milano, Bergamo, Brescia, Cremona, Lodi, Mantova, Pavia, Como e Monza), in Piemonte l’82% delle stazioni di città (en plein per le centraline di Alessandria, Asti, Novara, Torino e Vercelli), il 75% delle centraline sia in Emilia-Romagna (Ferrara, Modena, Piacenza, Parma, Ravenna e Rimini) sia in Campania (Avellino, Benevento, Caserta e Salerno).
Per quanto riguarda gli altri inquinanti, PM2,5, ozono troposferico, e ossidi di Azoto, il bilancio è relativo al 2014. Per il PM2,5 i capoluoghi di provincia Monza, Milano e Cremona hanno superato il limite del valore obiettivo di 25 µg/m3 di PM2,5 (erano 11 le città nel 2013 e 15 nel 2012).
Dati poco rassicuranti riguardano invece dall’Ozono: un terzo dei capoluoghi di provincia monitorati (28 su 86) ha superato il limite dei 25 giorni (dati 2014). Prime in classifica Genova e Rimini con 64 giorni di superamento, seguono Bologna (50), Mantova (49) e Siracusa (48). Particolarmente critica la situazione nell’area padana per le elevate concentrazioni di questo inquinante. Per gli ossidi di Azoto, sempre nel 2014, sono 10 i capoluoghi di provincia sui 93 monitorati (il 12%) che hanno superato il limite normativo (Torino, Roma, Milano, Trieste, Palermo, Como, Bologna, Napoli, Salerno, Novara).
Per Legambiente, per contrastare in maniera efficace l’inquinamento atmosferico è indispensabile un cambio di passo nelle politiche della mobilità sostenibile, potenziando il trasporto sul ferro, l’uso dei mezzi pubblici e la mobilità nuova, e rendere così le auto l’ultima delle soluzioni possibili per gli spostamenti dei cittadini.
Oggi l’Italia continua ad avere il record per numero di auto per abitante: il tasso di motorizzazione arriva a 62 auto ogni 100 abitanti della città di Roma o ai 67 di Catania, contro le 25 auto ogni 100 abitanti di Amsterdam e Parigi o le 31 di Londra.
Per l’associazione ambientalista è perciò indispensabile una strategia nazionale per la qualità dell’aria e un piano per la mobilità in città, accompagnato da studi accurati sulle fonti di emissione, eseguiti a scala locale e urbana, per pianificare le giuste politiche di intervento.
“L’emergenza smog – dichiara Rossella Muroni, la presidente nazionale di Legambiente – difficilmente si potrà risolvere con interventi sporadici che di solito le amministrazioni propongono in fase d’emergenza tra targhe alterne, blocchi del traffico, mezzi pubblici gratis, come avviene attualmente in gran parte delle città italiane, e senza nessuna politica concreta e lungimirante. Per uscire dalla morsa dell’inquinamento è fondamentale che il Governo assuma un ruolo guida facendo scelte e interventi coraggiosi, mettendo al centro le aree urbane e la mobilità sostenibile, impegnandosi per approvare a livello europeo, normative stringenti e vincolanti, abbandonando una volta per tutte le fonti fossili e replicando quelle esperienze anti-smog virtuose messe già in atto in molti comuni italiani in termini di mobilità sostenibile, efficienza energetica e verde urbano”.
“Il protocollo firmato lo scorso 30 dicembre – continua Muroni – tra ministero dell’ambiente, rappresentanti di comuni e regioni, non è stato all’altezza del problema e il rischio è che si rincorra sempre l’emergenza senza arrivare a risultati concreti e di lunga durata. Per questo è urgente e indispensabile che l’Italia adotti un piano nazionale per la mobilità urbana, dotato di risorse economiche, obiettivi misurabili e declinabili. La priorità deve essere la realizzazione di nuove linee metropolitane e di tram, a cui devono essere vincolate da subito almeno il 50% delle risorse per le infrastrutture, da destinare alle città, dove si svolge la sfida più importante in termini di rigenerazione urbana e di vivibilità”.
Mal’aria 2016
Nel dossier Legambiente evidenzia come il superamento del PM10 sia avvenuto già all’inizio del 2015: ad esempio Frosinone scalo, prima in classifica anche nel 2015, ha raggiunto il limite del 35° giorno di superamento il 16 febbraio scorso, Pavia e Torino, rispettivamente seconda e quinta in classifica, il 22 e il 27 febbraio e Milano il 10 marzo. Dati che lasciano pochi dubbi su come sia stata mal gestita fino ad oggi l’emergenza smog.
Confrontando poi i dati del 2015 con quelli raccolti da Legambiente negli ultimi anni, emerge come per il PM10 il numero di città che ha superato il limite dei 35 giorni di sforamento consentiti (48 nel 2015) sia in linea con la media del numero di città fuorilegge degli ultimi sette anni (48 di media dal 2009 ad oggi).
Inoltre le città coinvolte sono quasi sempre le stesse: ben 66 infatti compaiono almeno una volta nella classifica dei capoluoghi che hanno superato i 35 giorni ammessi e di queste ben 27 (il 41%) lo ha fatto sistematicamente 7 anni su 7.
Numeri che si trasformano in rilevanti impatti sulla salute: ogni anno l’inquinamento dell’aria causa oltre 400.000 morti premature nei paesi dell’Unione Europea. Fra questi, l’Italia ha uno dei peggiori bilanci in Europa: la Penisola detiene il record di morti per smog con 59.500 decessi prematuri per il PM2,5 – 3.300 per l’Ozono e 21.600 per gli NOx nel solo 2012 (Dati Agenzia Europea dell’ambiente).
Stime che potrebbero crescere esponenzialmente se come valori limite di riferimento per gli inquinanti si prendessero quelli consigliati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità; in base a questi valori dell’OMS, la percentuale di popolazione in ambiente urbano esposta a concentrazioni di polveri sottili dannose per la salute salirebbe dall’attuale 12% a circa il 90%; per l’Ozono si passerebbe dall’attuale 14-15% al 97-98%.
I danni alla salute della popolazione – ricorda Legambiente – si traducono in costi economici dovuti alle cure sanitarie, che nella Penisola si stimano tra i 47 e 142 miliardi l’anno (dati riferiti al 2010).
Ci sono poi i danni economici legati al mancato rispetto delle norme italiane ed europee sulla qualità dell’aria. Sono due le procedure d’infrazione contro il Belpaese, entrambe nella fase di messa in mora. La prima, la 2014_2047, avviata nel luglio 2014 riguarda la “cattiva applicazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell’aria ambiente e il superamento dei valori limite di PM10 in Italia”; mentre la seconda, la 2015_2043, avviata nel maggio 2015 riguarda “l’applicazione della direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell’aria ambiente ed in particolare obbligo di rispettare i livelli di biossido di azoto (NO2)”.
Aria sempre più irrespirabile, ma anche città sempre più rumorose. Legambiente ricorda che in Italia sono quasi sei milioni (il 10% della popolazione) i cittadini esposti, negli ambiti considerati, al rumore prodotto dal traffico stradale a livelli giornalieri inaccettabili secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità.Le persone esposte, invece, ad elevati livelli di inquiamento acustico durante la notte sono quasi cinque milioni.
La risposta a questa situazione è però ancora del tutto insufficiente. Non per nulla l’Italia è in procedura d’infrazione, in stato di messa in mora, per il mancato rispetto della normativa comunitaria relativa ai livelli di inquinamento acustico, la Direttiva 2002/49/CE.
Proposte
Di seguito alcune proposte di Legambiente per Governo, Regioni e amministrazioni locali, per liberare le città dallo smog e renderle più vivibili:
incrementare il trasporto su ferro con 1000 treni per i pendolari;
incentivare la mobilità sostenibile attraverso, 100 strade per la ciclabilità urbana, realizzando un primo pacchetto di nuove corsie ciclabili all’interno dell’area urbana
limitare la circolazione in ambito urbano dei veicoli più inquinanti (auto e camion) sul modello di Parigi
prevedere, con una disposizione nazionale, l’estensione del modello dell’Area C milanese a tutte le grandi città con una differente politica tariffaria sulla sosta, i cui ricavi siano interamente vincolati all’efficientamento del trasporto pubblico locale
fermare i sussidi all’autotrasporto per migliorare il TPL (Nella legge di stabilità 2016 i sussidi all’autotrasporto sono 3miliardi di esonero sull’accisa e 250milioni di sconti su pedaggi autostradali).
vietare l’uso di combustibili fossili, con esclusione del metano, nel riscaldamento degli edifici a partire dalla prossima stagione di riscaldamento.
ridurre l’inquinamento industriale applicando autorizzazioni integrate ambientali (AIA) stringenti e rendere il sistema del controllo pubblico più efficace con l’approvazione della legge sul sistema delle Agenzie regionali protezione ambiente ferma al Senato da oltre un anno.
nuovi controlli sulle emissioni reali delle auto.