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Ambientiamoci, novità in materia di ambiente ed energie

Big data per la qualità dell’aria: nel Valdarno un’app contro i cattivi odori

Presentato a Terranuova Bracciolini (AR) un innovativo sistema per segnalare la presenza di cattivi odori sul territorio valdarnese: Csai Spa ha realizzato, su mandato dell’amministrazione comunale Terranuova Bracciolini e in collaborazione con Arpat e il Comune di San Giovanni Valdarno (AR), un’applicazione per smartphone e tablet che mira a coinvolgere e informare il più possibile i cittadini nella gestione del disagio,

segnalandolo direttamente alle autorità competenti. Il servizio, completamente gratuito, si chiama Claim-app e può essere attivato da tutti i possessori di dispositivi portatili che utilizzano il sistema operativo iOs o Android. L’applicazione può essere scaricata da Apple store o da Google play e permette, previa registrazione, di inviare una segnalazione in tempo reale sulla presenza di molestie olfattive di vario genere e con diverse gradazioni di percezione. L’utente sarà georeferenziato e quindi alle autorità competenti sarà possibile individuare tempestivamente l’ora, il luogo preciso, la tipologia di odore segnalato e la sua intensità, limitando in questo modo il problema, riscontrato con le precedenti modalità di segnalazione, di gestire comunicazioni non sufficientemente complete e/o imprecise.

La pompa di calore: da sola, con la caldaia a gas, con il fotovoltaico

Le pompe di calore elettriche possono coprire i bisogni di raffrescamento, riscaldamento e produzione di acqua calda sanitaria, praticamente per ogni abitazione. Ma per evitare spese inutili e per un corretto dimensionamento bisogna conoscere le caratteristiche dell’abitazione e le esigenze di chi vi abita.

Risparmio ed efficienza energetica per ridare competitività alla nostra industria

Nel primo trimestre del 2016 l’industria italiana ha fatturati in calo e, al contempo, una produzione in leggero aumento: segno di una deflazione in atto. Sui consumi di energia il segno è mediamente negativo. Tuttavia diversi settori industriali potrebbero essere oggi molto più competitivi abbattendo i costi dell’energia.

Quando il Comune risparmia puntando sulla mobilità elettrica

Molte amministrazioni locali in Italia hanno scelto di promuovere la mobilità elettrica, con notevoli risparmi, puntando anche su punti di ricarica alimentati a rinnovabili. Sono tante le buone pratiche: ne raccontiamo qualcuna con l’aiuto dell’ultima edizione del rapporto Comuni Rinnovabili di Legambiente. I mezzi comunali elettrici, alimentati dalle rinnovabili locali; bici a pedalata assistita per i dipendenti municipali; punti di ricarica smart accessibili e facili da installare; taxi più puliti grazie a mezzi ibridi o full-electric, sempre alimentati dall’energia solare: sono tantissime le buone idee messe in pratica in giro per lo Stivale e ce se ne rende conto sfogliando l’ultima edizione del rapporto Comuni Rinnovabili di Legambiente al capitolo dedicato alla mobilità sostenibile.

Mezzi comunali elettrici a Ferrara

Il Comune di Ferrara, ad esempio, dal 2013 ha deciso di dotare i propri dipendenti di mezzi elettrici per gli spostamenti di servizio. Grazie al progetto Mi Muovo Elettrico – free Carbon City ha acquistato 10 veicoli elettrici tra quadricicli, VAN e furgoni, per una spesa complessiva di 210mila euro a cui si aggiungono 37mila euro finanziati dalla Regione Emilia Romagna per l’installazione delle colonnine di ricarica presso la strutture comunali.

Veicoli che vengono alimentati da un impianto fotovoltaico da 99,40 kWp installato sul tetto dei magazzini di proprietà del Comune, portando un risparmio per le casse comunali di 40-45mila euro l’anno.

A questo si aggiunga che il Comune nel 2013 per incentivare l’utilizzo di biciclette a pedalata assistita ha realizzato 2 postazioni da 10 biciclette di cui una a servizio delle polizia municipale.

I veicoli “idroelettrici” dei Comuni trentini

Nasce dalla collaborazione tra aziende pubbliche, private e 13 Comuni  delle Valli del Primiero e Vanoi (TN) l’esperienza che ha portato all’impiego di 18 veicoli elettrici alimentati interamente da fonti rinnovabili e in particolare dagli impianti idroelettrici locali, evitando il consumo di circa 5.000 litri di gasolio l’anno.

Le auto vengono ricaricate attraverso le 16 colonnine diffuse capillarmente sul territorio. Ogni colonnina, che permette la ricarica telecontrollata da remoto al fine di gestire tutti gli aspetti commerciali del prelievo di energia nonché statistiche su consumi e utilizzo delle stazioni di ricarica. Il progetto ha avuto un costo di circa 480.000 euro interamente sostenuto dal Gruppo ACSM S.p.A., società municipalizzata locale e promotore del progetto.

I taxi ibridi a Roma

Esperienza interessante è quella portata avanti dalla cooperativa di Roma Radiotaxi 3570 grazie alla collaborazione con due aziende leader del mercato della produzione auto. Da qualche anno numerosi tassisti hanno scelto di acquistare un’autovettura ibrida grazie ad una partnership con Toyota, coprendo ad oggi circa l’80% delle autovetture appartenenti ai 3800 soci.

La scelta ha permesso ai tassisti di risparmiare in media circa il 30% sui costi del carburante, spingendoli a voler proseguire nella direzione della sostenibilità ambientale: entro fine anno si raggiungeranno i 300 mezzi full-electric.

I mezzi possono ricaricarsi presso un unità mobile di ricarica rapida: 100 kW di energia da fonte rinnovabile a bordo di un Nissan NV400, in grado di fornire dal 30 all’80% dell’energia in soli 15 minuti.

La ricarica completa si effettua invece in meno di 30 minuti presso la sede della Cooperativa dove sono presenti 5 colonnine da 22 kW alimentate dall’impianto fotovoltaico da 120 kW installato a luglio 2012 sulle pensiline dei parcheggi interni alla sede, che permette la copertura del servizio di ricarica e oltre l’80% delle necessità elettriche degli uffici amministrativi, laboratorio tecnico e sala multimediale della sede della cooperativa.

Stazione di ricarica “portatili” e cantine fotovoltaiche

Diversi sono inoltre i casi di progetti più piccoli, e non per questo meno interessanti, come nel caso della stazione di ricarica Self-Energy installata nell’Aeroporto di Bologna, composta da una struttura che si installa in semplice appoggio, senza necessità di ancoraggio al suolo e senza scavi di fondazione. La stazione ospita un impianto fotovoltaico da 1,44 kW in grado di immagazzinare energia elettrica attraverso batterie al piombo gel.

Due esempi virtuosi sono quelli nati dalla collaborazione tra Ingeteam ed Ecomove System Integrator, che hanno realizzato due stazioni di ricarica per veicoli elettrici a disposizione dei viaggiatori del Friuli Venezia Giulia. Grazie a questi impianti possono essere ricaricati tutti i veicoli elettrici, dalle auto alle bici a pedalata assistita, semplicemente con l’inserimento della propria spina e in modo totalmente gratuito, per mezzo di impianti solari fotovoltaici presenti nelle Cantine Jermann nel Comune di Dolegna del Collio (GO) e nei Casali Isola Augusta nel Comune di Palazzolo dello Stella (UD), rispettivamente da 120 e 140 kW.

Lo scooter solare e la sua fabbrica

Altra storia raccontata nel report di Legambiente è quella del primo ciclomotore elettrico in grado di utilizzare l’energia solare come fonte di alimentazione, grazie a dei mini pannelli fotovoltaici presenti sul bauletto che permettono di fornire energia per la fase di avviamento nonché per mantenere sempre carica la batteria di riserva. Questi mezzi realizzati e progettati a Bologna dopo tre anni di studi sono dotati di un’autonomia di oltre 115 km e di una velocità massima di 35 km/h.

Lo stabilimento di produzione prevede una potenzialità produttiva di 35.000 motorini l’anno che sarà alimentata interamente dal fotovoltaico: due impianti con produzione complessiva di 257.000 kWh l’anno in grado di soddisfare la richiesta totale di energia sia per l’illuminazione e per il comfort abitativo che per la propria produzione industriale, di questi circa 17.000 kWh di surplus verranno immessi in rete.

Mobilità sostenibile, ecco il decreto: ma la bici dov’è?

Il ministero dell’Ambiente ha trasmesso a Camera e Senato la bozza del programma nazionale per favorire gli spostamenti ecologici casa-lavoro e casa-scuola, con un finanziamento complessivo pari a 35 milioni di euro per attività di vario tipo proposte da uno o più enti locali. Progetti, iniziative e osservazioni sul testo. In Italia è ben nota la preferenza accordata dalle persone all’auto privata per gli spostamenti urbani, soprattutto quelli casa-lavoro e casa-scuola. È una tendenza che si rinnova da tanti anni, sospinta dai problemi che affliggono molte delle nostre città: mezzi pubblici inadeguati, pochi investimenti in nuove forme di mobilità ecologica (come car-sharing e bike-sharing, auto elettriche, piste ciclabili), con il risultato di avere strade sempre più congestionate e difficoltà a ridurre l’inquinamento atmosferico.

Le misure previste Il programma nazionale intende finanziare, con un totale di 35 milioni di euro, progetti di vario tipo presentati da uno o più enti locali (la popolazione interessata però deve essere di almeno 100.000 abitanti): possono concorrere le iniziative di piedibus e per la condivisione di auto/biciclette, laboratori didattici di educazione e sicurezza stradale, programmi per ridurre il traffico e la sosta dei veicoli presso scuole e uffici, creazione di percorsi protetti pedonali/ciclabili e di zone con velocità degli autoveicoli limitata a 30 km/h, “buoni mobilità” o agevolazioni tariffarie sui trasporti pubblici, da assegnare ai lavoratori che rinunciano all’auto privata per raggiungere le sedi di lavoro. Una quota fino al 4% delle risorse complessive servirà a monitorare/verificare l’attuazione dei diversi progetti e i relativi vantaggi ambientali, in particolare l’abbattimento delle emissioni inquinanti e la riduzione del traffico veicolare cittadino. I progetti, una volta promossi dal ministero, riceveranno una prima somma pari al 30% del cofinanziamento attribuito; lo stesso ministero verserà gli importi successivi (in tranche del 25% del totale assegnato) dopo aver approvato una relazione dell’ente locale che attesti lo stato di avanzamento dell’iniziativa coofinanziata. L’obiettivo insomma è incentivare servizi e infrastrutture per la mobilità collettiva o condivisa “a basse emissioni”, cioè in grado di sfruttare mezzi ecologici e contribuire così a migliorare la qualità dell’aria e la vivibilità dei centri urbani. Nella bozza alcuni punti sono migliorabili, come osserva Giulietta Pagliaccio, presidente FIAB (Federazione italiana amici della bicicletta). «Nel leggere il testo del decreto – spiega – ci siamo però accorti che c’è ancora molta confusione nell’affrontare il tema: non cita mai (o quasi) la parola bicicletta e si usa un linguaggio sconosciuto ai più, come ad esempio parlare di attività di bike pooling, per riferirsi alla pratica del bicibus già diffusa in moltissimi comuni.

Eolico, si aprono prospettive per i rifacimenti?

In Italia c’è un grande potenziale per il rinnovo degli impianti eolici esistenti, bloccato da una normativa che rende di fatto impossibile sfruttarlo. La situazione però potrebbe cambiare presto: in una serie di incontri, l’associazione di settore Anev ha ottenuto aperture dai ministeri competenti per risolvere il problema. Gli obiettivi italiani di medio-lungo periodo sull’eolico – 12 GW al 2020 e 16,8 al 2030 – sono irraggiungibili senza un programma incisivo di rinnovamento del parco esistente, che sta ormai invecchiando. In assenza di efficaci politiche per il rinnovamento, si stima infatti che si perderanno 3,5 GW di potenza installata.

Agricoltura quale futuro

Formaggi, i rischi iniziano dal mangime

Influenza dell’alimentazione animale sulla qualità del prodotto latte destinato al consumo alimentare umano. Come si sviluppano funghi e batteri. Alimentarsi è un?esigenza primaria di ogni organismo vivente, ma è stata l’agricoltura, assicurando una maggiore disponibilità alimentare, a rendere possibile lo sviluppo della civiltà. Il consumo di prodotti agricoli tropicali minaccia la biodiversità

«Il 30% delle specie minacciate è a rischio a causa del commercio internazionale. In molti paesi sviluppati, il consumo di importazione di caffè, tè, zucchero, tessile, prodotti ittici e altri manufatti provoca un?impronta ecologica sulla biodiversità, che è più grande all’estero che in patria. I nostri risultati sottolineano l?importanza di esaminare la perdita di biodiversità come un fenomeno sistemico globale»

Boom polistirolo e tappi, tante anche le reti da pesca

Un tappeto multicolore di rifiuti, dal verde al bianco, dall’azzurro all’arancione, è lo spettacolo indecoroso che regalano alcune spiagge italiane. Tra gli oggetti “dimenticati” dai cittadini e quelli che passano tra le maglie larghe dei depuratori, i volontari di Legambiente impegnati nel monitoraggio dei litorali si sono cimentati con un pattume variopinto e altamente deleterio per l’ecosistema marino. Plastica in primis, ma anche carta, metallo, vetro e ceramica. La top ten del rifiuto vede al primo posto pezzi di plastica e polistirolo, che rappresentano il 22,3% degli oltre 33mila oggetti raccolti sulle 47 spiagge oggetto dell’indagine. Onde, correnti e raggi del sole frammentano questi materiali fino a renderli microparticelle, ingerite dai pesci che poi portiamo in tavola. La medaglia d’argento va ai cotton fioc, che dal wc arrivano in spiaggia attraverso fiumi, canali e scarichi grazie alla complicità di sistemi di depurazione poco funzionali. Di bastoncini colorati ne sono stati rinvenuti oltre 4mila (il 13,2% del totale dei rifiuti), molti di più dei mozziconi di sigaretta (7,9%) che pure sono in aumento e si aggiudicano il terzo posto. Tra la sabbia ce n’erano 2.642, il 3% in più rispetto a un anno fa. Fuori dal podio per un soffio si trovano i tappi e i coperchi di plastica e metallo (7,8%), che sono circa 2.600 (il 2% in più del 2015). Seguono le bottiglie di plastica per bevande (7,5%), le reti da pesca e i rifiuti provenienti dall’acquacoltura (3,7%), in particolare le cosiddette “calze” per l’allevamento dei mitili, a quota 900 unità. Più di mille sono i piatti e i bicchieri usa e getta raccolti (3,5%), che precedono materiali da costruzione come calcinacci e spugne sintetiche, bottiglie e pezzi di vetro, contenitori di detergenti e detersivi.

Dieci consigli per risparmiare energia e dare una mano all’ambiente

Dedicata a famiglie e piccole imprese, la “Guida Energia, 10 consigli per cambiare strada” realizzata da ANCI Emilia Romagna suggerisce diverse azioni che hanno una reale capacità di incidere sui consumi, sull’inquinamento e il cambiamento climatico. Nella lotta ai cambiamenti climatici e nella transizione energetica, insieme a politiche energetiche che puntino alla graduale decarbonizzazione dell’economia, è necessario anche un cambiamento radicale nella cultura e nelle abitudini di ogni singolo cittadino. Alcuni principi valgono ad entrambi i livelli: usare meno energia, usare solo risorse rinnovabili (materie prime, cibo, tempo), non produrre rifiuti (riciclare non basta). Su questi aspetti si basano i 10 consigli raccolti in una guida realizzata da ANCI Emilia Romagna con l’Unione Reno Galliera e adottata anche dall’Unione Terre d’Acqua. Per ogni azione la guida segnala: quanto costa in termini economici e in fatica, quanto è efficace, quali benefici porta al singolo e alla collettività ogni specifica azione, ‘chi ci aiuta’ sul territorio comunale, eccetera.

Cambia Energia – Modificare il contratto di fornitura di energia elettrica passando al consumo di energia certificata “GO” o “GO – ICS: RECS”.

Scopri i tuoi consumi – Analizzare il consumo di energia elettrica della propria abitazione. Il solo fatto di essere consapevoli dei propri consumi può portare a risparmi anche superiori al 20%.

Regola il termostato – Abbassare la temperatura del riscaldamento a 19° C.

Cambia mobilità – Evitare l’uso dell’auto privata. Camminare, usare la bicicletta, i mezzi pubblici, bici o scooter elettrici, condividere l’uso dell’auto quando indispensabile (car pooling) e la proprietà del mezzo (car sharing).

Coibenta – Dotare le abitazioni di un “cappotto termico”, il costo indicativo è di 70 € al metro quadro (chiavi in mano).

Produci elettricità – Installare un impianto fotovoltaico nella tua abitazione e in azienda e produrre energia elettrica con il sole. Il costo indicativo di un’installazione tipica da 3 kW è di circa 6.000 €.

Produci calore – Dotare l’abitazione di un impianto per la produzione di calore dall’energia solare termica. Generalmente questo fornisce acqua calda sanitaria all’abitazione e, in alcuni casi, supporta anche il sistema di riscaldamento. Il costo dell’intervento può variare molto a seconda della situazione, serve un’attenta fase di preventivo e una scelta accorta della tecnologia necessaria.

Non produrre rifiuti – Smettere di essere un “consumatore” e di produrre rifiuti.

Occhio al cibo – Scegliere ogni volta che è possibile prodotti locali, di stagione e prodotti con metodo biologico (anche autocertificato se è possibile conoscere il produttore), cercare di ridurre il consumo di carne, specialmente bovina.

‘No alle favole’ – Comprendere bene che dobbiamo affrontare problemi seri. Solo un intenso impegno collettivo può portarci a trasformare l’attuale situazione critica in una vera opportunità di cambiamento positivo.

Rifiuti speciali esclusi dal pagamento del tributo comunale sui rifiuti urbani

La recente sentenza della Corte di Cassazione sezione tributaria n. 9858/16 ha stabilito definitivamente che le aziende che sostengono in proprio i costi di raccolta affidati ad aziende specializzate dei propri rifiuti speciali (e non rifiuti urbani) prodotti nei locali adibiti alla lavorazione artigianale, dedicati e destinati all’attività aziendale (sale di lavorazione) che appunto producono rifiuti speciali non possono essere assoggettate alla tassa sui rifiuti i locali.

Con questa sentenza, anche alla luce della giurisprudenza precedentemente (Cass. sez. trib. 5829/2012 http://www.studiocerbone.com/cassazione-sentenza-n-2857-del-24-febbraio-2012-accertamento-con-adesione-ed-effetti-sui-termini-di-impugnazione/ e 3756/2012 http://www.provincia.pisa.it/uploads/2012_04_16_16_13_44.pdf), è stato confermato quanto già stato espresso dal Ministero dell’Economia e delle Finanze con nota n. 38997 del 9 ottobre 2014 http://www.apiteramo.com/attachments/article/1440/2014_NotaMEF_38997_Tari_magazzini.pdf, che i Comuni dovrebbero rinunciare a pretendere la Tari sulle aree aziendali dedicate alla produzione consentendo alle imprese di privilegiare i circuiti di raccolta privati che hanno dimostrato di garantire una gestione più efficiente e sostenibile da un punto di vista ambientale.  La pratica diffusa di assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi prodotti dalle “utenze non domestiche” (aziende e imprese) ai rifiuti solidi urbani ha generato nel tempo molte distorsioni, di tipo statistico con quantità elevate di produzioni pro-capite di rifiuti, di assogettazione delle imprese al gestore unico delle raccolte differenziate dei rifiuti e di passiva adesione ai tributi comunali. Nello specifico è da segnalare il caso della Regione Emilia-Romagna che, rispetto a regioni con analoghi livelli economici e stili di vita, registra, da un punto di vista statistico, alti quantitativi di rifiuti urbani pro-capite raccolti che testimoniano di quote consistenti di rifiuti e scarti prodotti da attività economiche che vengono assimilati agli urbani dai regolamenti comunali.m Il potere dei comuni di “assimilare” i rifiuti speciali a quelli urbani ha sottratto quote rilevanti di fatturato alla libera iniziativa economica, riconducendole nell’ambito dell’esclusiva concessa al gestore di RSU … Attraverso l’assimilazione il gestore in esclusiva di RSU può raccogliere anche i rifiuti speciali, sottraendo quote di fatturato alla libera iniziativa economica.
(Autorità garante della concorrenza e del mercato, bollettino settimanale znno XXIV, n. 27 http://docplayer.it/10133740-Bollettino-settimanale-anno-xxii-n-27.html, pag. 98).

La Toscana, aggiornate procedure di screening e VIA e relativi oneri istruttori
Definite le nuove modalità organizzative per lo svolgimento dei procedimenti di VIA e di assoggettabilità alla VIA e anche le nuove tariffe da applicare a copertura degli oneri istruttori.

Comuni Rinnovabili, il premio a un piccolo paese in provincia di Bolzano
Si chiama Val di Vizze, è un piccolo comune in provincia di Bolzano e ha vinto il premio “Comuni Rinnovabili 2016” raggiungendo il traguardo del 100% rinnovabile grazie a un mix di 5 tecnologie diverse.

Obbligo di rinnovabili negli edifici, problemi e soluzioni

La normativa sull’efficienza energetica in edilizia è sempre più severa e complessa. Ricordiamo che cosa prevede il criticato decreto 28/2011 su consumi energetici e fonti rinnovabili negli edifici e con l’aiuto di due esperti del settore vediamo le possibili combinazioni tecnologiche per adempiere agli obblighi. L’edilizia del futuro ha iniziato il suo cammino, grazie al concetto di NZEB, ossia “near to zero energy building”, contenuto nella direttiva europea 31/2010, recepita nel nostro Paese dalla legge 90/2013 e dai provvedimenti attuativi del 2015 (in particolare il decreto dei requisiti minimi, si veda QualEnergia.it, Efficienza energetica in edilizia, il punto sugli aggiornamenti della normativa). Progettare una “casa passiva”, in grado di ridurre ai minimi termini il suo fabbisogno energetico, richiede per prima cosa un attento esame dell’involucro, per ottimizzare la sua efficienza. La partita si gioca su diversi fronti, tra cui l’obbligo di integrazione delle fonti rinnovabili negli edifici nuovi o sottoposti a ristrutturazioni rilevanti (sopra 1000 mq di superficie utile). Tale obbligo è stato introdotto dal decreto 28/2011 che, a sua volta, ha accolto la direttiva 28/2009 sulla promozione dell’utilizzo di energia verde.

Gli obblighi di rinnovabili. Il decreto del 2011, fin dalla sua entrata in vigore, ha prestato il fianco ad alcune critiche. Innanzitutto, ricordiamo che gli impianti di produzione di energia termica, come dispone l’allegato 3 del provvedimento, devono coprire attraverso le fonti rinnovabili percentuali crescenti dei consumi energetici previsti per l’acqua calda sanitaria, il riscaldamento e il raffrescamento. Ora la quota è pari al 35%, ma da gennaio 2017 gli impianti dovranno raggiungere il 50% della somma di tali consumi negli edifici. Il problema è che le tecnologie come il solare termico, le caldaie a biomasse e le pompe di calore sfruttano l’energia rinnovabile esclusivamente per soddisfare il fabbisogno termico per l’acqua calda e il riscaldamento.

Pompe di calore e raffrescamento estivo

I vari tipi di pompe di calore rientrano a pieno titolo tra gli apparecchi alimentati da fonti rinnovabili, perché utilizzano l’energia solare indiretta, contenuta nell’aria, nell’acqua o nel terreno, per coprire il fabbisogno termico.

Stando perciò alla lettera del decreto, la pompa di calore impiega l’energia rinnovabile solo per il riscaldamento invernale e la produzione di acqua calda sanitaria, mentre il calcolo della copertura del 35%, destinato a salire al 50%, va fatto sulla totalità dei consumi, includendo quelli del raffrescamento estivo. Il problema, infatti, insorge quando il fabbisogno invernale per il riscaldamento è piuttosto basso e, al contrario, quello estivo per il raffreddamento è particolarmente elevato. In situazioni del genere, l’unico modo per rispettare i calcoli imposti dal decreto 28/2011 sarebbe utilizzare il solar cooling (solare termico abbinato a una macchina frigorifera ad assorbimento), ma questa tecnologia, spiega l’ingegnere di Aicarr, non è sempre una soluzione ottimale e praticabile nelle diverse zone climatiche.

Teleriscaldamento e impossibilità tecnica

Per derogare all’obbligo stabilito dal decreto, ci sono due soluzioni, aggiunge Piterà. La prima è allacciare l’edificio a una rete di teleriscaldamento, in grado di coprire l’intera richiesta di calore per la produzione di acqua calda e il riscaldamento.

C’è però il rischio di una contraddizione, perché l’allegato 3 non specifica le caratteristiche che deve possedere il sistema: ad esempio, se la rete di teleriscaldamento è alimentata con un combustibile fossile, allora non può rientrare nella generazione da fonti rinnovabili.

La seconda soluzione per derogare al decreto 28/2011 è che il progettista attesti l’impossibilità tecnica di ottemperare agli obblighi d’integrazione, dopo aver valutato tutte le possibili combinazioni tecnologiche, per esempio a causa di qualche problema tecnico o perché, eseguendo gli interventi previsti dal decreto stesso, potrebbe verificarsi un’alterazione incompatibile con il carattere o l’aspetto di un edificio storico vincolato.

Le soluzioni per il residenziale

Tornando all’ambito prettamente residenziale, abbiamo chiesto a Marco Delle Curti, ingegnere esperto di edilizia sostenibile, quali sono gli elementi di forza e debolezza del decreto 28/2011.

Il punto,«non è la normativa, ma la sensibilità del cliente. Se tutto è visto come un obbligo cui ottemperare, allora si cercano soluzioni di minima spesa, come mantenere piccole caldaie a gas e affidare la quota rinnovabile a stufe a pellet o altre configurazioni, mirate solamente a rispettare i requisiti minimi di prestazione energetica».

Il problema più importante da affrontare è l’efficienza dell’involucro. L’edificio dev’essere ben coibentato e senza ponti termici. Risolto questo nodo, «le strade sulla produzione sono infinitamente più ampie e tutte in discesa». La combinazione tecnologica più utilizzata in assoluto è la pompa di calore aria-acqua abbinata con il fotovoltaico.

Le pompe di calore geotermiche, hanno generalmente un impatto maggiore, poiché la spesa di trivellazione delle sonde o dei pozzi, confrontata con la modesta differenza di resa media stagionale rispetto a una macchina ad aria, consente di raggiungere la parità di costo solo dopo molti anni. L’utilizzo di pompe aria-acqua, inoltre, consente di installare sistemi di riscaldamento/climatizzazione radianti, che assicurano un benessere ambientale superiore a quello degli apparecchi aria-aria.

Vincoli storici/ambientali

Per quanto riguarda, infine, le circostanze in cui è possibile non ottemperare agli obblighi del decreto 28/2011, che «gli unici casi che mi è capitato di affrontare sono legati a costruzioni in zona a vincolo ambientale, o dotate di un proprio vincolo storico. In entrambe le situazioni, il fotovoltaico non è installabile sulla copertura dell’edificio, ma mentre nel caso della tutela storica mi è capitato di poter montare i pannelli solari su immobili accessori, previo accordo con la locale soprintendenza; quando il vincolo è ambientale questa soluzione, di solito, non è percorribile. Rimane, tuttavia, la possibilità di ottemperare alle disposizioni sulla produzione di acqua calda sanitaria e calore/climatizzazione estiva attraverso le pompe di calore, la cui unità esterna va collocata in modo da mascherarla alla vista».

Michele Lupetti

Colui che nel lontano 2006 ideò tutto questo. Fondatore e proprietario di ValdichianaOggi, dopo gli inizi col blog "Il Pollo della Valdichiana". Oltre a dispensare opinioni sulle cose locali è Beatlesiano da sempre (corrente-Paul Mc Cartney), coltiva strane passioni cinematografiche e musicali mescolando Hitchcock con La Corazzata Potemkin, Nadav Guedj con i Kraftwerk. I suoi veri eroi, però, sono Franco Gasparri, Tomas Milian, Maurizio Merli, Umberto Lenzi... volti di un'epoca in cui sarebbe stato decisamente più di moda: gli anni '70

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