Ci vorrebbe poco per essere diversi!
Quando un’amministrazione comunale decide di servire acqua del rubinetto e frutta e verdura di stagione nelle mense scolastiche, sta attuando una politica del cibo. Assegnare spazi per gli orti urbani o per un farmer’s market, imporre una tassa sul consumo di bibite zuccherate o scrivere un piano urbanistico che preveda spazi per l’agricoltura: anche queste azioni fanno parte delle politiche del cibo urbane.
In questi e in molti altri casi, gli interventi delle amministrazioni locali possono dare ottimi risultati su questioni come la sostenibilità, la riduzione degli sprechi e la lotta al cambiamento climatico, il benessere e la salute dei cittadini e degli ecosistemi. Il tutto senza bisogno di investimenti eccessivi e avviando percorsi di partecipazione.
Il modo in cui mangiamo, infatti, è strettamente legato a strutture ecosistemiche e a forme di organizzazione socioeconomica che comprendono una grande quantità di elementi che vanno dagli stili di vita individuali fino agli elementi strutturali e di lungo periodo delle nostre socioeconomie: la produzione, la trasformazione, il trasporto, il commercio, il riuso degli scarti e lo smaltimento dei rifiuti.
Le prime esperienze di vere e proprie strategie urbane per il cibo sono nate negli Stati Uniti negli anni Ottanta, in Europa, queste politiche nascono anche sotto altri nomi e rispondono a bisogni diversi: sviluppandosi prevalentemente all’interno di programmi per la sostenibilità urbana e anche sulla scia delle Agende 21 Locali sottolineando, ancora una volta, il forte legame tra le politiche urbane per il cibo e le dimensioni della sostenibilità. A questo tipo di politiche fanno riferimento, per esempio, le numerose iniziative esistenti sull’agricoltura e l’orticoltura urbana, quelle per la produzione locale di compost derivato dai rifiuti organici domestici e le politiche per la sostituzione dei mezzi dedicati alla distribuzione del cibo con mezzi non inquinanti.
In alcune città, infine, queste politiche sono esplicitamente promosse anche come strategie di sostenibilità che alimentano politiche di marketing territoriale e competitività per aumentare l’attrattività urbana.
Ecomondo torna da martedì 3 a venerdì 6 novembre 2015 e si conferma:
Il luogo ideale dove connettersi con gli operatori dell´industria della Green economy e dell´economia circolare, chiudere accordi commerciali, generare valore e acquisire clienti.La vetrina più completa nell´area euro mediterranea sulle soluzioni tecnologiche più avanzate e sostenibili per la corretta gestione e valorizzazione del rifiuto in tutte le sue tipologie; la gestione e la valorizzazione dell´acqua, delle acque reflue e dei siti e comparti marini inquinati; l´ efficienza nell´uso e nella trasformazione delle materie prime e seconde e l´utilizzo di materie prime rinnovabili
L’Italia può diventare leader dell’economia circolare europea
L’economia circolare in Italia è senza rappresentanza, manca politica nazionale che la promuova. La seconda edizione del Forum rifiuti, in scena a Roma si è aperta all’insegna del pragmatismo nonostante tante buone pratiche ed esperienze di successo, l’Italia non riesce a superare completamente l’emergenza rifiuti. Questo settore oggi non viene considerato nelle politiche governative, in attuazione dell’articolo 35 del decreto Sblocca Italia, che prevede 12 nuovi inceneritori in Italia e che andrebbe sostituito con un nuovo testo per promuovere l’economia circolare sul territorio nazionale. Criticità note, in molti casi le stesse da decenni. L’Italia abbia ancora un grosso deficit commerciale nel settore del riuso dei material», con lo status quo degli acquisti verdi che ne è una chiara testimonianza, l’Italia ha un gran bisogno di politiche e impianti per il riuso e il riciclaggio e di un nuovo sistema di incentivi e disincentivi che rendano la prevenzione e il riciclo più convenienti, anche economicamente, rispetto al recupero energetico e allo smaltimento in discarica. Uso efficiente delle risorse che non può voler dire concentrarsi esclusivamente sulla gestione dei rifiuti, che per quanto determinante riguarda solo le code dei flussi di materia che attraversano il nostro sistema economico. Vera economia circolare è possibile pensarla e promuoverla solo partendo da una gestione più efficiente delle risorse naturali. A livello globale, nei prossimi 15 anni altre 2 miliardi di persone faranno il loro ingresso nella classe media, aumentando i propri consumi, e se dal 1900 a oggi l’uso delle risorse naturali è già decuplicato, raddoppierà ancora al 2030. L’Italia, un Paese manifatturiero ma povero di risorse minerali, può e deve aumentare la propria produttività (oggi ferma a 2,3 euro/kg) per rimanere competitiva. Una mossa doppiamente vincente: implementando un’economia più circolare in tutta Europa, il Pil dell’area guadagnerebbe l’11% entro il 2030, dimezzando al contempo le proprie emissioni di gas serra. Una «necessità ambientale e una chance interessante sul piano economico.
Pm 2.5, inquinamento da 3,2 milioni di morti. In Italia 11mila vite salvabili con rispetto leggi
Uno nuovo studio sugli effetti da particolato fine (il Pm 2.5), appena pubblicato su Nature, aggiorna le stime sulla mortalità indotta da questo particolare – e assai diffuso – tipo di inquinamento. Ad oggi si individuano in più di 3,2 milioni le vite prematuramente spezzate a livello globale dal Pm 2.5, un numero destinato a più che raddoppiare (fino a 6,6 milioni) da qui al 2050 in assenza di adeguati interventi contenitivi. Numeri che arrivano da ricercatori del Max Planck institut e dalla Harvard school of public health, e che evidenziano come l’imposizione di limiti normativi all’inquinamento (e il loro rispetto) influenzino pesantemente il numero delle potenziali vittime; il problema del Pm 2.5 è infatti particolarmente acuto in Asia – dove i vincoli sono assai minori –, mentre Europa e Usa ne sono soggette in misura minore, per quanto importante. A livello globale – sintetizza l’edizione italiana di Scientific american – la principale fonte di inquinamento atmosferico esterno è quella residenziale, ossia il combustibile usato per il riscaldamento e la cucina, e lo smaltimento dei rifiuti», mentre la seconda fonte di inquinamento da PM2,5 secondo la ricerca pubblicata su Nature è l’agricoltura, «a causa della trasformazione in particelle di nitrato e solfato di ammonio dell’ammoniaca rilasciata dai fertilizzanti e dal bestiame degli allevamenti. Secondo i ricercatori, le fonti agricole sono la principale causa di mortalità prematura in Russia, Turchia, Corea e Giappone, manche negli Stati Uniti orientali, e in Europa, dove in molti paesi contribuiscono fino al 40 cento circa delle morti premature. Il traffico si attesta invece al terzo posto.
Lo spreco alimentare nelle mense scolastiche, quali soluzioni?
Lo spreco di generi alimentari non è solo un problema etico ma anche ambientale. Quando buttiamo il cibo, gettiamo l’acqua, il suolo e l’energia necessari per produrlo. Slow Food ci ricorda che, nel nostro Paese, per produrre prodotti ortofrutticoli, vengono utilizzati 73 milioni di metri cubi di acqua e 400 chilometri quadrati di terra, oltre ai prodotti chimici impiegati nella coltivazione, che impattano sul terreno e sulle acque sotterranee e superficiali. Bisogna, poi, tenere conto delle emissioni in atmosfera legate al ciclo di produzione e distribuzione che incidono sulla qualità dell’aria ma anche sul clima. Infine per smaltire i rifiuti alimentari ci vogliono altre risorse naturali: ancora acqua ed energia, con conseguenti ullteriori impatti sulla qualità dell’aria, del suolo, della risorsa idrica, oltre che denaro; secondo i calcoli nell’AMA di Roma, sono necessarie 250 euro a tonnellata per lo smaltimento di questa tipologia di rifiuto. La soluzione dunque è prevenire, il decalogo contro lo spreco alimentare contiene 10 misure: dalla vendite al ribasso del cibo in scadenza alla donazione dei prodotti invenduti, dagli accordi volontari con le imprese della ristorazione/distribuzione alla consegna gratuita delle eccedenze di cibo provenienti dalla ristorazione collettiva ed altro ancora. Concetti e principi che ritroviamo anche nella Carta di Bologna contro lo spreco alimentare, che sarà operativa da ottobre 2015, quando i paesi partecipanti all’Expo la firmeranno e diventerà l’eredità culturale-immateriale di EXPO. A livello locale, molto può essere fatto dai Comuni, aderendo volontariamente alla Carta SprecoZero di Last Minute Market, che rende operative le indicazioni presenti nella Risoluzione del Parlamento Europeo contro gli sprechi alimentari. Uno dei luoghi dove si creano maggiori eccedenze alimentari sono le mense scolastiche, per evitare che il cibo somministrato ai bambini avanzi, la via maestra sembra essere quella dell’educazione-sensibilizzazione. Nell’indagine Ipsos “Verso EXPO: gli italiani e gli sprechi alimentari, a casa e mense scolastiche” il 43% degli intervistati risponde che nella scuola vengono realizzate delle campagne di sensibilizzazione contro gli sprechi alimentari e che talvolta sono coinvolti anche i nuclei famigliari.Un’iniziativa interessante è quella promossa, a livello nazionale, da ActionAid “Io Mangio Giusto” che ha l’ambizioso obiettivo di garantire, entro il 2015, che 15mila bambini possano avere accesso ad una mensa “più giusta” e almeno 40mila, insieme alle loro famiglie, possano capire l’importanza di una dieta sostenibile. Bisogna, in primo luogo, distinguere tra il cibo somministrato ed avanzato nei piatti e quello avanzato ma non somministrato. Il primo è più difficile da gestire e destinato, per lo più, alla filiera della raccolta differenziata (organico), mentre, per il secondo, vi è la concreta possibilità di donarlo alle Onlus.
Energia dalle acque nere, a Washington l’impianto da record
L’Authority idrica del Distretto di Colombia lo ha appena annunciato: nella capitale degli stati Uniti è stato realizzato un nuovo sistema per la produzione di energia dalle acque nere del valore di ben 470 milioni di dollari. Cifra esorbitante ma che ben si spiega se si considera che il nuovo impianto è il primo di tutto il Nord America ad impiegare nel trattamento dei reflui urbani l’innovativa tecnologia di idrolisi termica della norvegese Cambi; e che, stando a quanto riferito dai funzionari, è oggi la più grande centrale “waste-to-energy” mai realizzata al mondo. Nel dettaglio, il brevetto norvegese si basa sull’impiego di una sorta di gigantesca pentola a pressione: il processo combina calore e pressione, entrambi ad alti valori, per cuocere i fanghi ottenuti dalla depurazione delle acque refluee trasformarli in biosolidi più facilmente degradabili all’interno dei 4 digestori anaerobici dell’impianto. Qui il metano prodotto dalla fermentazione batterica viene catturato e reimpiegato per alimentare delle turbine, che a loro volta producono elettricità. Questo progetto incarna il passaggio delle acque nere trattate, da rifiuto da eliminare a risorsa da sfruttare.
Troppi pesticidi sulle mele
Si mette a rischio la salute e l’ambiente. Mentre i test sulle mele biologiche non hanno evidenziato tracce di pesticidi, ben l’83 per cento delle mele prodotte in modo convenzionale sono risultate contaminate da residui di pesticidi, e nel 60 per cento di questi campioni sono state trovate due o più sostanze chimiche. Greenpeace pubblica oggi i risultati di un’analisi sulle mele acquistati nei supermercati di 11 Paesi europei, Italia compresa. Mentre i test sulle mele biologiche non hanno evidenziato tracce di pesticidi, ben l’83 per cento delle mele prodotte in modo convenzionale sono risultate contaminate da residui di pesticidi, e nel 60 per cento di questi campioni sono state trovate due o più sostanze chimiche. Metà dei pesticidi rilevati hanno effetti tossici noti per organismi acquatici come i pesci, ma anche per le api e altri insetti utili. Molte di queste sostanze chimiche, inoltre, sono bioaccumulabili, hanno impatti negativi sulla riproduzione o altre proprietà pericolose. Infine, a causa dell’incompletezza di dati e conoscenze disponibili soprattutto sugli effetti di residui multipli, non si possono escludere rischi per la salute umana.Greenpeace ha analizzato 126 campioni di mele, di cui 109 prodotte convenzionalmente, le rimanenti provenienti da coltivazioni biologiche. Le mele sono state acquistate in 23 catene di supermercati e analizzate in un laboratorio indipendente per verificare la presenza di un’ampia gamma di residui di pesticidi. In Italia le mele sono state acquistate presso le catene Auchan, Carrefour, Lidl e un campione di mele biologiche presso Naturasì. Nella maggior parte dei campioni era presente almeno il residuo di un pesticida: in un campione acquistato presso Lidl sono stati trovati residui di tre pesticidi. La sostanza trovata più frequentemente è il THPI, un metabolita del fungicida captano. Greenpeace chiede ai supermercati di abbandonare l’uso di pesticidi pericolosi nella produzione ortofrutticola, incentivando gli agricoltori a preferire pratiche di coltivazione sostenibili.
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