AREZZO DICE BASTA ALLA RACCOLTA DIFFERENZIATA porta a porta?
Secondo alcune dichiarazioni riportate dagli organi di stampa, e attribuite all’assessore all’ambiente del comune di Arezzo Sacchetti, sembra che, secondo l’assessore, il sistema di raccolta porta a porta dei rifiuti urbani ad Arezzo “non va è troppo costoso e poco produttivo”!
Queste dichiarazioni, qualora risultino veritiere, dette così sono sconcertanti in quanto chiunque operi nel settore della raccolta è in grado di affermare che con qualsiasi altro sistemi (raccolta stradale, conferimento diretto alle stazioni ecologiche), è impossibile raggiungere le percentuali di raccolta differenziata prefissati dalla Regione Toscana (70% e oltre) ed un livello ottimale da punto di vista qualitativo delle varie frazioni raccolte. Se la frazione raccolta è di alta qualità e purezza si possono ottenere più elevati contributi dai vari consorzi che, insieme alla riduzione dei costi di incenerimento e alla riduzione della tassa regionale sullo smaltimento, possono incidere positivamente sulla riduzione delle tariffe. Certamente un supporto politico che obblighi le aziende produttrici delle varie merci ad utilizzare con maggior parsimonia gli imballi, l’organizzazione di mercatini per lo scambio – baratto e strumenti legislativi più favorevoli al riuso ed al consumo del prodotto riciclato, sono necessariamente tutti elementi che contribuirebbero ad una considerevole riduzione dei costi.
Rifiuti organici, da Geofor il primo impianto anaerobico in Toscana
Potrà accogliere 44mila tonnellate annue di scarti da cucine e mense, e circa 9mila t/a di sfalci e potature: l’impianto di Geofor da 53mila tonnellate l’anno per il trattamento anaerobico dei rifiuti organici si farà, a testimoniarlo c’è la firma del contratto con l’appaltatore siglata ieri nella sede del Comune di Pontedera. L’impianto anaerobico di Gello sarà realizzato in circa due anni con un investimento di circa 18,5 milioni di euro (Iva esclusa), grazie all’appoggio di un pool di istituti di credito (Iccrea, Cassa di Risparmio di San Miniato, Banca di Pisa e Fornacette), ma anche adoperando gli utili (fino a 4 milioni di euro) che Geofor ha accantonato nel corso degli ultimi bilanci e i fondi messi a disposizione dalla Regione Toscana e dalla Provincia di Pisa per circa 5,5 milioni di euro. Il nuovo impianto sostituirà quello attuale, e sarà il primo impianto anaerobico per il trattamento di questi rifiuti in Toscana. Il rifiuto sarà interamente confinato all’interno di corpi di fabbrica mantenuti in depressione con l’aspirazione dell’aria e l’invio della stessa a sistemi a biofiltro di abbattimento delle maleodorante – un particolare di grande rilevanza per ridurre al minimo i disagi nell’area circostante. L’impianto produrrà sia energia elettrica dai rifiuti in quantità di 11.000 MWh di energia elettrica dalla combustione del biogas prodotto, e circa 9.500 t/a di compost di qualità, per i quali sarà determinate trovare un effettivo sbocco di mercato: un punto spesso critico per il compost italiano, la cui qualità non è sempre adeguata alle necessità per uso agricolo.
Sindaci geotermici, l’esperienza toscana al centro del club internazionale
La conferenza inaugurale del Mayors’ Geothermal Club (Club dei sindaci geotermici), che si terrà a Budapest l’8 e 9 ottobre 2015, rappresenta un evento rivolto ai comuni e alle organizzazioni interessate a identificare ed esplorare le opportunità di collaborazione, al fine di migliorare le proprie potenzialità di implementazione dei sistemi di teleriscaldamento geotermico. Il Club dei sindaci geotermici faciliterà le sinergie e la cooperazione tra gli attori principali del mercato europeo del settore e fornirà alle amministrazioni comunali (principalmente europee), dotate di potenzialità di sfruttamento di questa fonte, un quadro adeguato di riferimento in cui tutte le questioni relative all’utilizzo del loro potenziale geotermico possano essere discusse apertamente. L’evento è promosso da Geonardo Environmental Technologies Ltd, coordinatore del Geothermal Communities (Geocom) project, finanziato con 11 milioni di euro dal Programma Concerto, nell’ambito del Settimo programma quadro dell’UE. Fra i precursori della formazione del club il Comune di Montieri che in occasione del meeting 2014 del Progetto Geocom in Serbia, come dichiarato da il Sindaco Nicola Verruzzi, aveva auspicato che l’esperienza potesse essere replicata ed arricchita dall’incontro con altre realtà che hanno la possibilità di mettere a frutto l’esperienza geotermica. Fra i partecipanti alla Conferenza oltre a Montieri, alcuni comuni soci del Co.Svi.G.: Montecatini Val di Cecina, Chiusdino, Monterotondo Marittimo e Radicondoli, che vanno a costituire la “squadra” italiana, composta inoltre dal Politecnico di Torino e dalla Società di Consulenza SOFTECH energia tecnologia e ambiente. Per maggiori informazioni visitate il sito web della conferenza inaugurale del Mayors’ Geothermal Club.
Energie rinnovabili e posti di lavoro
Secondo il rapporto Renewable Energy and Jobs – Annual Review 2015, recentemente pubblicato dall’Agenzia Internazionale per l’Energia Rinnovabile (IRENA) da IRENA, attualmente oltre 7,7 milioni di persone nel mondo lavorano nel settore delle energie rinnovabili. Si è registrato un aumento del 18% rispetto all’anno scorso (+1,2 milioni di posti di lavoro). In particolare, un sempre maggior numero di posti di lavoro nel settore delle energie rinnovabili viene creato in Asia, in particolare in Cina, India, Indonesia, Giappone, e Bangladesh. Di conseguenza, anche se la crescita di posti di lavoro continua, l’Unione europea e gli Stati Uniti rappresentano oggi il 25% dei posti di lavoro a livello globale nel settore dell’energia rinnovabile, rispetto al 31% nel 2012. I 10 paesi, nel mondo, con maggiori posti di lavoro nell’ambito delle energie rinnovabili sono: Cina, Brasile, Stati Uniti, India, Germania, Indonesia, Giappone, Francia, Bangladesh e Colombia. L’industria del solare fotovoltaico è il maggiore datore di lavoro per le energie rinnovabili in tutto il mondo con 2,5 milioni di posti di lavoro, seguito dai biocombustibili liquidi con 1,8 milioni di posti di lavoro, e l’energia eolica, che ha superato un milione di posti di lavoro per la prima volta quest’anno. L’aumento dell’occupazione si diffonde in tutta la gamma delle energie rinnovabili con solare, eolico, biocarburanti, biomasse, biogas e piccoli impianti idroelettrici che registrano tutti aumenti di occupazione. Il lavoro nelle delle energie rinnovabili è però diminuito nel 2013 nell’Unione europea, risentendo della situazione complesisva di crisi economica nel vecchio continente, con una forte riduzione degli invetimenti, passando da 1,25 a 1,2 milioni di posti di lavoro. La Germania rimane il paese europeo con la più alto numero di occupati in assoluto nel settore (371.400 nel 2013). Un valore più che doppio di quello che si ha in Francia (176.200), che a sua volta è sensibilmente maggiore rispetto a Gran Bretagna, Italia e Spagna. Peraltro, complessivamente questi 5 paesi hanno circa il 70% del totale dei posti di lavoto nelle energie rinnovabili dell’Unione europea.
La plastica nei mari di tutto il mondo
Recentemente è stato pubblicato un articolo scientifico da parte di ricercatori di vari paesi (Stati Uniti, Cile, Francia, Sud Africa, Australia) nel quale si stimano nell’ordine di 5.250 miliardi le particelle di plastica che si trovano nei mari di tutto il mondo, per un peso complessivo di circa 269.000 tonnellate. La stima è stata effettuata sulla base dei risultati di 24 spedizioni effettuate fra il 2007 ed il 2013 attraverso i tutti gli oceani. Questi dati, poi sono distribuiti tra quattro classi dimensionali delle particelle (due di microplastiche, di dimensione inferiore a 4,75 mm e due di dimensioni superiori, di macroplastiche). Infatti, oltre alla plastica che tutti noi possiamo osservare galleggiare in mare o ritrovare spiaggiata sulla riva (bottiglie, sacchetti, tappi, cavi, reti, polistirolo, ecc.), una importante componente è costituita dai frammenti microscopici che, pur scomparendo alla vista umana, restano nell’ambiente marino e, spesso, vengono ingeriti dagli organismi acquatici (uccelli, pesci, tartarughe e mammiferi), principalmente da quelli che si nutrono di plancton. Tali microplastiche possono causare danni sia di tipo meccanico (intasamento o abrasione degli organi interni, infiammazioni, ecc.) che chimico, trasportando composti inquinanti idrofobici (PCB, DDT e suoi metaboliti) e rilasciando, nei processi di degradazione, altre sostanze tossiche (ftalati, alchilfenoli, ecc.). Da pochi giorni (15 luglio 2015 è iniziato il primo programma triennale di monitoraggio previsto dalla “strategia marina”, finanziato dal MATTM ed affidato, in gran parte, alle Agenzie suddivise nelle 3 sottoregioni del Mediterraneo Occidentale (Liguria, Toscana, Lazio, Campania e Sardegna), dello Ionico (Calabria, Basilicata e Sicilia) e dell’Adriatico (Friuli V.G., Veneto, Emilia R., Marche, Abruzzo, Molise e Puglia): anche in Toscana, quindi, si stanno raccogliendo i primi dati sistematici sulle microplastiche e sui rifiuti marini, secondo protocolli metodologici condivisi ed uniformi.
Come il bike sharing ha cambiato il ruolo della bici nella mobilità urbana
La terza generazione di servizi di bike sharing, introdotta in alcune città francesi e poi applicata su larga scala a Parigi, ha dato il via ad una nuova epoca in cui, in molte città, la bici condivisa è parte integrante di un sistema di trasporto pubblico pratico e più sostenibile. Un settore leggero, in grado di migliorare la mobilità con positive ricadute economiche, è certamente quello delle biciclette, guardato in Italia con sufficienza ma che in altri paesi sta dando ottimi risultati. Il 16% di tutti gli spostamenti in Danimarca è fatto in bicicletta. A Copenaghen, il 36% dei cittadini usa quotidianamente la bici per andare a scuola o al lavoro e il Comune si è dato l’obiettivo di alzare la quota al 50% entro il 2015. La bicicletta potrà diventare un’importante opzione della mobilità urbana in presenza di scelte forti, magari sollecitate dai cambiamenti climatici? E’ esportabile un modello che, nei casi più virtuosi, ha visto prevalere le bici sulle auto negli spostamenti urbani? I segnali che arrivano da varie parti del mondo indicano un crescente interesse verso le due ruote, anche grazie alla diffusione del bike-sharing che sta dimostrando il suo effetto moltiplicatore. Si creano nuovi adepti e biciclette rimaste per anni sepolte in cantine e solai ritornano su strada. La preistoria del bike sharing si può far risalire all’idea “folle” di un consigliere comunale di Amsterdam, Luud Schimmelpennink, che nel 1965 propose di mettere gratuitamente a disposizione dei cittadini 20.000 biciclette dipinte di bianco. Idea bocciata dal consiglio comunale. Un’estensione del servizio pubblico. Concettualmente il bike-sharing può considerarsi un’estensione del servizio pubblico e in effetti in molte città, soprattutto in Cina, è organizzato dalle aziende di trasporto locale, mentre nella maggioranza delle città occidentali la gestione è affidata a privati. Per quanto riguarda i costi, oltre all’investimento iniziale vanno considerate le spese di gestione che in occidente variano tra 500 e 2.000 €/anno per ogni bicicletta. Si tratta, come si vede, di investimenti non irrisori, ma molto inferiori rispetto a quelli richiesti dal trasporto pubblico tradizionale. E c’è chi si può permettere il free bike sharing: molte delle più note società della Silicon Valley mettono infatti a disposizione dei propri dipendenti biciclette gratuite. Nel campus di Google a Mountain View sono 1.300 le bici utilizzabili liberamente. Il sogno del consigliere comunale di Amsterdam si è realizzato cinquanta anni dopo in un angolo della California
Energia: il futuro è nella bioenergia, elettricità da paglia, alghe e scarti agroindustriali
Presentati da ENEA i risultati di una ricerca sulla bioenergia, l’energia prodotta dalle biomasse. In questo settore, ricerca e innovazione permettono di ridurre i costi e dimezzare i tempi di produzione del biogas, abbattere gli inquinanti e incrementare le rese energetiche. I risultati della ricerca nel settore delle bioenergie sono stati recentemente presentati da ENEA, durante un workshop organizzato nell’ambito del ciclo di seminari di presentazione dei risultati della Ricerca di Sistema Elettrico. Nell’occasione è stato fatto il punto sulle innovazioni tecnologiche più recenti: dalla produzione di elettricità da biomasse per sviluppare nuovi processi per ottenere biocombustibili gassosi a più alto valore energetico, alle caldaie a sali fusi e a cicli termodinamici non convenzionali per incrementare le rese energetiche, ai nuovi dispositivi per ridurre le emissioni prodotte dalla combustione delle biomasse. Per quanto riguarda i biocombustibili gassosi, i ricercatori dell’ENEA hanno realizzato un impianto pilota alimentato a scotta, uno scarto delle industrie casearie, che consente di dimezzare i tempi di produzione del biogas ed aumentare del 35% la resa energetica complessiva. Tutto ciò grazie ad un processo di digestione anaerobica a ‘doppio stadio’, con un primo reattore nel quale avviene la degradazione delle biomasse, ed un secondo in cui si produce biogas.
I lampioni smart al FV che si regolano da soli e tagliano le spese del 90%
In un comune pugliese si sta sperimentando un nuovo sistema di illuminazione pubblica che integra LED, fotovoltaico, sensoristica e sistemi di comunicazione M2M. Una combinazione che permette di avere luce in maniera intelligente, dosandola secondo il bisogno effettivo e che consente risparmi enormi rispetto ai vecchi lampioni al sodio. A Capurso, in provincia di Bari, i lampioni fanno luce solo quando serve, ad esempio quando passa una persona, consumano pochissimo, si producono l’energia da soli e si auto-diagnosticano eventuali guasti e inefficienze, comunicandoli a chi fa la manutenzione. Tutto ciò grazie a un mix di tecnologie come LED, fotovoltaico, sensoristica, e sistemi di comunicazione M2M. Una combinazione che ha permesso di creare un sistema di illuminazione pubblica intelligente, che fa risparmiare non poco al Comune pugliese: i costi di gestione complessivi – si legge nella documentazione del progetto – sono inferiori di oltre il 90% rispetto a quelli di un sistema con “normali” lampioni al sodio. L’impianto innovativo, chiaramente più costoso sia dell’illuminazione al sodio che di sistemi a LED “semplici”, si ripaga così in circa 9-11 anni; anche se nel caso specifico in realtà la municipalità non ha dovuto investire di tasca propria, perché la sperimentazione è stata finanziata da un bando della Regione Puglia (vedi in basso documentazione e link al sito del progetto, denominato Smartlights, che ha portato allo sviluppo del sistema, basato su tecnologie già esistenti). Il kit su cui si basa il sistema è composto così: lampioni LED da 61W; un sistema di controllo e gestione (che funziona con sensori, sistemi di comunicazione ed è coordinato da un software); un’applicazione per smartphone sviluppata per il cittadino, che consente di visualizzare i dati caratteristici dell’impianto e inviare anche dei suggerimenti o delle segnalazioni e, last but not least, moduli fotovoltaici integrati nei lampioni. Ad arricchire il tutto servizi aggiuntivi quali un sistema di filodiffusione e uno schermo per la proiezione di contenuti multimediali. Grazie a sensori e sistemi di controllo i nuovi lampioni possono essere regolati per funzionare nel modo più efficiente possibile: per ogni punto luce e in ogni momento il sistema decide, seguendo particolari algoritmi, la quantità di potenza necessaria, in base ai flussi di persone, la categoria della strada, le condizioni meteorologiche e la auto-diagnostica del sistema stesso. Considerando tutti i costi, mostrano i calcoli del progetto, le spese di gestione annuali con i lampioni smart sono del 94% inferiori rispetto a quelle di un sistema con lampade al sodio e l’investimento nei lampioni smart si ripaga in 9-11 anni.
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